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giovedì 25 febbraio 2010

il Promotore della Libertà


Bisogna essere obiettivi e sinceri: occorre riconoscere che, nei momenti di difficoltà, quel marpione di Silvio Berlusconi riesce a catalizzare l'attenzione e a calarsi nei panni del trasformista. Fiutata la brutta aria che tira, propagandata per sua la volontà di escludere dalle liste del partito coloro che si trovano inguaiati con la giustizia (a tal proposito vi consiglio di leggere lo spassoso articolo di ieri scritto da Marco Travaglio per il Fatto Quotidiano, http://rassegnastampa.formez.it/rassegnaStampaView2.php?id=210476), ecco che il grande ayatollah della legalità e della giustizia italiana chiama a raccolta i suoi fedeli pasdaran, i suoi paladini della libertà, con una di quelle sue uscite pubbliche (al Tempio di Adriano, a Roma) che tanto fanno audience e altrettanto generano ilarità e salaci commenti. Affiancato da una delle sue amate ancelle (Michela "Autoreggente" Brambilla), da sempre prona e servizievole per il bene e per il piacere del suo adorato padrone, spalleggiato dalla solita pletora di lecchini e di yes man sempre pronti a non contraddire il capo, il nuovo Promotore della Libertà lancia l'idea di formare un grande Corpo di Guardiani della rivoluzione meneghina, con l'asserita volontà di salvaguardare e difendere il Bene da quell'esercito del Male costituito dai soliti comunisti, dalle toghe rosse e dagli incalliti detrattori di Sua Maestà Silvio I°. Ancora una volta il principe della corruzione e dell'illegalità riesce a mistificare la realtà con il solito giochetto delle tre carte, con la reiterata matrioska delle dichiarazioni, spacciando per falso il vero e viceversa. Un modo come un altro per infinocchiare il prossimo e soprattutto gabbare chi ancora pende dalle sue labbra, chi ancora crede nella rappresentazione deformante dell'informazione targata Cavaliere. La rotazione senza soluzione di continuità di questa fabbrica dello scandalo italiano made in Arcore non è stata sufficiente, a quanto pare, a far indignare il Paese quanto basta per cacciare a pedate nel culo il reggente di tale sfascio morale ed economico, la concausa acclarata di uno stato di vergognoso abbandono e dilapidazione dei valori e degli ideali di legalità, da sempre fulcro inossidabile di un qualunque Paese civile. Ma come dichiara giustamente oggi Roberto Saviano (http://tv.repubblica.it/copertina/saviano-ribellarsi-allo-scandalo/43061?video) quello che più preoccupa, e che rappresenta un forte pugno allo stomaco della voglia di indignazione dell'italiano medio, è l'assoluta indifferenza e assuefazione a quel senso di illegalità e ingiustizia diffusa, che oramai permea fin nel profondo il tessuto sociale dell'Italia. Hai voglia a scrivere sui blog, a fare le manifestazioni di piazza, a cercare di sensibilizzare l'animo italico, a stuzzicare l'orgoglio e l'amor proprio: tutto inutile, tutto vano, tutto miseramente naufragato nel marasma dell'indolenza e della rassegnazione cui ci ha costretti da quindici anni il Cavaliere, autore riconosciuto e incontrastato di quelle melliflue e rivoltanti campagne dense di squallide menzogne e di sclerotici attacchi alla sinistra, a quella frangia di uomini di buon senso e di cultori del bene e del senso di legalità, fatti passare per demoni invasati e sobillatori, rivoluzionari del Male e attentatori dell'ordine costituito, degni soltanto di essere spazzati via e inghiottiti nel frullatore mediatico degno generatore di quella cartina di tornasole che oggi prende il vergognoso nome di Promotore della Libertà.

sabato 20 febbraio 2010

Antonella Clerici, nostra signora del tortellino


Scrivere qualcosa sul 60° Festival della canzone italiana mi sembra quasi d'obbligo, alla vigilia della serata finale. Partendo da una considerazione: se qualcuno aveva storto il naso, nel momento della decisione di mamma RAI di affidare ad Antonella Clerici la conduzione della kermesse sanremese, questo qualcuno deve necessariamente ricredersi. Soprattutto perchè sono i numeri dell'Auditel a tacitare ogni qualsivoglia malalingua sulle capacità della riccioluta ex giornalista sportiva circa la conduzione di un programma che definire totem della televisione è anche poco. Superare tutte le sere la soglia dei 10 milioni di telespettatori (ieri sera erano ben 11.274.000, un televisore su due sintonizzato su RaiUno) farebbe venire il magone anche a uno scafato come Paolo Bonolis, incensato lo scorso anno come salvatore unico dell'italica canzonetta, dopo anni di crisi di ascolti. Figuriamoci quindi come potrebbe sentirsi l'ego professionale della signora grandi forme dopo il profluvio di un oceano di numeri a lei favorevoli. E allora diciamolo subito: ha vinto lei, la signora di Legnano mamma da appena un anno, l'edizione numero 60 del Festival di Sanremo. E non poteva essere altrimenti per la regina del tortellino e delle tavole imbandite, riconvertita sapientemente in estimatrice della musica italiana e internazionale dal look a volte da matrona, a volte da fetish con intercalate sadomaso, a volte da elegante dama di compagnia. Fatto sta che comunque la signora Antonella piace e attualmente incarna abilmente la figura della donna media italiana: la sua avvenenza è accessibile e non troppo ostentata, si porta appresso i suoi chili e i suoi anni (47) con serena disinvoltura. Certo, a volte i suoi costumisti esagerano e la incartano come fosse un cioccolatino, la fanno arrancare (manco fosse un'anatra zoppa) su tacchi 12 o 15, la lasciano senza fiato (tipo ieri sera) strizzandola in corpetti stile Olivia Newton-John di Grease, ma perlomeno siamo di fronte a una donna che non esibisce labbra a canotto e che non ingaggia guerre perdute contro l'età. Siamo di fronte a una signora della televisione semplice, sobria (quasi sempre), senza troppe sovrastrutture, nella quale potrebbe comodamente riconoscersi anche una tipica casalinga di Voghera (o di Avellino o di Comiso) dal palato non troppo fine. E poi sul palco di Sanremo, bisogna ammetterlo, Antonella si comporta da perfetta padrona di casa: ti accoglie sempre con l'immancabile sorriso, manifesta una riverenza e un senso di stupefatta accondiscendenza che mette a proprio agio chiunque, dalla regina di Giordania a Jennifer Lopez passando per Cassano (e mi si perdoni il paragone blasfemo). Chiede con assoluta discrezione, quasi fosse la più cara delle amiche con i bigodini in testa, se a casa tutto va bene e se i pupi mangiano e fanno il ruttino. Nel parossismo dell'intervista riesce addirittura a chiedere il segreto della ricetta dei biscotti con il cioccolato preparati dalle abili e curate mani di Rania di Giordania. Insomma, non possiamo mica pretendere che a Sanremo la nostra signora del tortellino si metta a disquisire di questioni palestinesi o di convocazioni per i Mondiali di calcio, nè di forum aperti al pubblico argomentando su come tenersi in forma, ovvero se sia meglio frequentare una scuola di ballo o limitarsi nell'assunzione di vagonate di biscotti. In fin dei conti l'Antonellona nazionale ci piace così, incorniciata in quella dolce goffaggine e accompagnata da quelle involontarie gaffes (tipo quella di adesso la do, la reclame) che tanto ci ricordano il grande Mike recentemente scomparso. Per dirla nel sarcastico modo usato da Natalia Aspesi, la bella Antonella ci ricorda "l'asettico borotalco sul sederino dei neonati o le caste leccate al cucchiaio del gelato" e ci evoca quasi inconsapevolmente "la moglie tradizionale che tutti gli uomini (che sognano le escort) vorrebbero". Come dire: cosa vuoi di più dalla vita? Semplice, una Clerici!

giovedì 18 febbraio 2010

un Caligola a Palazzo Chigi


Questa storia del Bertolaso indagato deve aver provocato una sorta di cortocircuito cerebrale nell'attuale presidente del Consiglio. L'aver capito che la melma della corruzione non sfiora soltanto chi gli sta vicino istituzionalmente ma anche chi orbita in prossimità delle sue amicizie più convinte e più celebrate, deve avergli inopinatamente oscurato le facoltà cognitive e di giudizio. Adesso non si tratta più di fare il solito quadrato difensivo intorno agli amici lesi da inchieste giudiziarie sbrigativamente catalogate con la reiterata formula complottistica; ora è giunto esplicitamente il momento di erigere una sorta di fortezza dell'impunità e dell'intoccabilità ad uso e consumo di quei gaglioffi troppo spesso ammantati di virtuale credibilità e di indelebile onestà, facilmente smacchiabili da semplici intercettazioni telefoniche e da sacrosante inchieste giudiziarie. E in questa fortezza dell'arroganza e della impunibilità, del privilegio e della mazzetta dovuta, il presidente del Consiglio si affretta a far accomodare i tanti grand commis e burocrati permeati dall'avida tentazione del facile arricchimento; i tanti pluridecorati ministri e sottosegretari, a lui profondamente devoti e riconoscenti, che continuano indefessamente a difenderlo e a blandirlo nonostante il sentore di uno tsunami giudiziario e morale che farebbe paura anche al più incallito dei galeotti. Tutto questo non basta per capire e giustificare l'odierna presa di posizione del Pifferaio (impazzito) di Arcore, il quale continua a lamentarsi con la magistratura ribalda e forcaiola, comunista e persecutoria, indicando nel contempo il suo caro amico (e compagno di merende) Gianni Letta come unico e degno aspirante alla carica di presidente della Repubblica, non già per pregressi meriti acquisiti quanto per la sua faccia tosta nell'aver negato qualche giorno fa che nessuno dei costruttori inquisiti dalla Procura di Firenze si sarebbe mai messo in tasca un euro dalla ricostruzione del post terremoto aquilano (prontamente smentito dai fatti, http://ilcentro.gelocal.it/dettaglio/articolo/1861735). Ma come se non bastasse la follia berlusconiana (paragonabile a un novello Caligola dell'era moderna) si manifesta ancor di più con la sua autocandidatura per la nomina di senatore a vita, in virtù delle acclarate e incontrovertibili qualità morali, politiche e umane dell'ex chansonnier da crociera. E allora, caro presidente del Consiglio, tanto per restare in tema di follie e di ipotesi bislacche, perchè non proporre anche la candidatura di Marcello Dell'Utri per la presidenza della Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della mafia e delle altre associazioni criminali? Davvero in questo caso nessuno avrebbe qualcosa da obiettare... Post Scriptum: se effettivamente il cortocircuito mentale del Cavaliere dovesse persistere, allora ci sarebbero tutti i presupposti per pensarla come Curzio Maltese, che cioè siamo in dirittura finale per quanto riguarda il declino inesorabile del presidente del Consiglio (http://www.repubblica.it/politica/2010/02/17/news/gli_uomini_del_cavaliere-2327127/) .

martedì 16 febbraio 2010

non è solo una questione di volpi e di pollaio


Cerchiamo di mettere bene a fuoco la situazione. L'effetto domino innescato dal terremoto dell'inchiesta della Procura di Firenze su Bertolaso & C. sta facendo parlare (e sparlare) alcuni protagonisti della vita politica italiana. Il Cavaliere in primis che, memore della stagione di Tangentopoli, non ha proprio alcuna voglia di correre il rischio di venire spazzato via da questa nuova ondata di amore per la legalità e per la giustizia. Lui parla di pollai e di piccole volpi che metaforicamente (mica poi tanto) si introducono per rubare quanto più è possibile e che cercano di non restare impigliati nella tagliola dei giudici. A volte senza riuscirci. E poi c'è il presidente della Camera che dice ai giovani di non preoccuparsi, che questa non è una Tangentopoli due, che chi ruba lo fa esclusivamente per se stesso, non già (come una volta) per il partito. Non mancano di certo pure gli opinionisti dell'ultima ora che amano schierarsi dalla parte di chi indaga, costi quel che costi. Anche a rischio di vedersi sputtanato l'amico del cuore con la colonna vertebrale bisognosa di cure amorevoli, magari presso il Salaria Sport Village di Roma. Sì, proprio quello dove lavora la Regina (Profeta) di tutte le escort. No miei cari amici e lettori. Qui il problema non è solo e soltanto punire chi dà e chi riceve tangenti al fine di prevenire questo malcostume. Qui il vero nodo della situazione è solamente quello di evitare che torni l'onda anomala della corruzione, figlia di Tangentopoli uno, che sconvolse e affossò l'Italia degli anni 90. Con i risultati politici, ma soprattutto economici, che sono sotto gli occhi di tutti. Il nostro Paese non si è più ripreso da quella batosta e la nuova classe politica (se così impropriamente la vogliamo chiamare), oltre a essere corrotta come la precedente (se non peggio), è anche molto meno affidabile. In buona sostanza, aver azzerato una DC o un PSI per ritrovarci oggi un PdL e una Lega Nord non mi sembra di certo un buon affare. Basta fare un paio di esempi. Chi mai, tra i politici della Prima Repubblica, avrebbe proferito frasi infami come rastrellare gli extracomunitari casa per casa? E chi, tra i politici dell'epoca di Craxi, si sarebbe mai messo in testa di dubitare della laicità dello Stato, delle grandi conquiste civili come il divorzio, l'aborto e quant'altro? Nessuno. Allora esistevano delle conquiste e dei valori condivisi (per quanto criticabili e opinabili fossero). Esistevano dei confini oltre i quali non era lecito spingersi. Oggi, invece, in Italia è ritornato in auge un malinteso senso dell'onnipotenza politica, giustificata dal consenso: vinco le elezioni e quindi faccio quel che mi pare. Sono un anchorman della tv pubblica (o commerciale) che fa molta audience e quindi invito chi mi pare. Sono un capitano d'industria che dà lavoro e quindi prendo contributi dallo Stato e licenzio chi mi pare e piace. Gli esempi, come si intuisce, sono infiniti. Sono, purtroppo, tutte conquiste della Seconda Repubblica. E se adesso ne arrivasse una Terza (a seguito di un'ipotetico azzeramento dell'attuale classe politica o dirigente), staremmo veramente tutti freschi. Basti pensare a chi potrebbe essere un sostituto di un Berlusconi o di un Bossi: per caso un Alfano o un Cota? Per carità! E che dire allora del versante economico? In Italia oggi viene considerato economista uno come Tremonti che era (che è) un semplice tributarista. Una volta c'erano i La Malfa, i Formica, perchè no i Cirino Pomicino. E adesso chi ci ritroviamo? Lasciam perdere. A me pare, comunque, che l'attuale situazione vada più che bene a certi poteri forti (compreso il Vaticano), indotti a credere che una sorta di Termidoro all'italiana sia inevitabile, perchè fatalmente con l'acqua sporca si butterebbero a mare anche i bimbi. E loro si spartirebbero tutto il resto. Altro che una semplice questione di volpi e di pollaio.

venerdì 12 febbraio 2010

FATE SCHIFO! (ma per davvero!)


Due parole. Soltanto due parole, per rendere bene il sentimento che alberga in questo momento in chi vi scrive e, credo, anche in tantissimi italiani. Due parole che il direttore de il Fatto Quotidiano ha scelto stamani per intitolare il suo editoriale. Due parole, gìà usate ieri dal sindaco aquilano Massimo Cialente (http://tv.repubblica.it/dossier/bertolaso-indagato/cialente-sciacalli-fanno-schifo/42452?video), per catalogare i protagonisti dell'ennesimo scandalo all'italiana fatto di sesso, corruzione e sciacallaggio morale: FATE SCHIFO! Non ci sono altre espressioni per poter definire i contorni di questa squallida storia di denari sperperati e rubati, di corruzione continua, di favori per potenti e intrallazzatori a base di massaggi e ripassate. Tangentopoli e la fine della Prima Repubblica non hanno insegnato nulla; anzi, a ben guardare, sembra proprio che il cancro inestirpabile della corruttela e della mazzetta (anche convertibile con prestazioni sessuali a scopo fisioterapico) continui a far breccia nei sudici protagonisti della vita politica e imprenditoriale del nostro Paese. Come tanti rapaci e volgari avvoltoi, intrisi di melma grondante e di cinico imbarbarimento dell'animo, dei loschi individui si gettano famelici su sventure e tragedie italiche per poter vergognosamente trarre il massimo profitto dalla solita sciagura a tinte tricolori. Per potersi fare un'idea della bassezza umana e della volgare rappresentazione che ognuno dà della propria persona, basta scorrere le pagine dell'ordinanza di custodia cautelare emessa dal GIP di Firenze, Dott. ROSARIO LUPO (http://www.corriere.it/Media/pdf/ORDINANZA_CUSTODIA_CAUTELARE_110210.pdf). C'è da dire anche che il culmine dello schifo è rappresentato poi dalle dichiarazioni di chi dovrebbe per primo vergognarsi di tale situazione: proprio il presidente del Consiglio (avvezzo e forgiato alla corruzione e allo scambio di favori sessuali) si sente in diritto di dire ai giudici, che hanno scoperchiato l'ennesimo coperchio di questo nauseabondo pentolone di letame made in Italy, di vergognarsi. Che schifo! Nauseato ma non rassegnato, chiudo questo mio odierno post riproponendovi l'editoriale di Antonio Padellaro che mi sento di sottoscrivere parola per parola.
La peggiore storia italiana ci ha abituati a ruberie di ogni genere da parte di affaristi manigoldi in combutta con politici degni compari. Ma non si ricorda una scena come quella dei due costruttori amici di un amico della Protezione civile. Esultanti per il terremoto che ha appena spianato L'Aquila. Raggianti al pensiero della fetta a loro destinata nel bottino della ricostruzione. Quei due rappresentano lo spirito di un tempo triste dove, per dirla con un altro "imprenditore" a fauci spalancate: "possiamo pigliare tutto quello che ci pare". Purtroppo è così: tutto è permesso alla "cricca dei banditi e degli appalti", altra autodefinizione ribalda di chi, vivendo nel Paese delle immunità e delle impunità, si sente giustamente al sicuro: e a noi che ci tocca, e a noi chi ci tocca? Finchè un giorno la magistratura scoperchia il pentolone dei grandi eventi, trasformati in emergenze nazionali per meglio distribuire montagne di quattrini in deroga a leggi e controlli. E accusa un gruppo di pubblici ufficiali di avere asservito la loro delicata funzione, che comporta la gestione di enormi poteri e di rilevantissimi importi, in modo totale e incondizionato agli interessi di tal Anemone, costruttore romano. Ci interessa poco sapere che tipo di massaggiatrici frequenti Bertolaso. Fatti suoi. Altre sono le domande che lo riguardano, visto che di quella Protezione civile intrisa di "corruzione gelatinosa" e assalita da torme di anemoni affamati, il capo onnipotente è lui. Nella consueta invettiva contro i pm che "devono vergognarsi", questa volta il lord protettore Berlusconi non ha tenuto conto dello schifo di cui si è fatto interprete il sindaco de L'Aquila. Un sentimento largamente collettivo. Il limite della decenza è stato superato.

mercoledì 10 febbraio 2010

Guido Bertolaso, indagato non certo per caso


Non ci voleva proprio questa tegola giudiziaria (http://www.repubblica.it/cronaca/2010/02/10/news/arrestato_vice_bertolaso-2243342/) sul capo di Guido Bertolaso, in un momento di massimo splendore mediatico e quasi alla vigilia di una nomina a ministro (come anticipato dal Pifferaio di Arcore lo scorso 29 gennaio). Il potente ex medico, con specializzazione in malattie tropicali africane, si ritrova ora invischiato in una melma, fatta di inchieste e di intercettazioni telefoniche, molto più simile alle sabbie mobili che non agli sfarzosi palazzi del potere da lui frequentati nell'ultimo decennio. Va dato atto, comunque, al prode Bertolaso il significativo merito di aver rimesso tutti i suoi incarichi nelle mani del suo mentore di Palazzo Chigi, non appena saputo dell'avviso di garanzia. Un gesto assolutamente non comune e non praticato da ministri e potenti di turno di questa scellerata Seconda Repubblica, più propensi a bullonare le proprie poltrone al pavimento piuttosto che dar segnali al popolo di resa o di auspicabili dimissioni. Gettando un'occhiata al corposo curriculum di Bertolaso (insignito fra l'altro di onorificenze tipo Cavaliere di Gran Croce della Repubblica, medaglia d'oro al merito nella Sanità Pubblica, medaglia d'argento di pubblica benemerenza della Protezione Civile, cittadinanza onoraria di Ostuni e due lauree honoris causae) mi accorgo della parentela con un pezzo da novanta del Vaticano (Camillo Ruini è suo zio...) e allora capisco il motivo per cui nel 2000 affidano proprio a lui tutte le incombenze (lautamente remunerate) per il Giubileo e successivamente nel 2005 (alla morte di papa Wojtyla) l'organizzazione per i funerali del Pontefice più amato. Dal settembre 2001 è diventato (a seguito dello scioglimento per decreto della vecchia Agenzia della Protezione Civile, all'epoca diretta dal prof. Franco Barberi) uno degli uomini più potenti d'Italia, coccolato sotto l'ala protettiva dell'amato Silvio. Nel contempo è diventato inviso e soffusamente odiato da molti ministri con e senza portafoglio, forse proprio perchè il suo è senz'altro il portafoglio più gonfio di tutti: una sorta di bancomat illimitato, un pozzo senza fine, da cui attingere senza dover rendicontare niente a nessuno. Eccetto al suo padrone. Il segreto della sua forza risiede negli enormi flussi di denaro che è in grado di gestire: persino i servizi segreti (che notoriamente sono dotati di una gestione fuori bilancio) hanno certi obblighi di trasparenza che lui non ha. Insomma, un ex camice bianco che lavorava nel terzo mondo per conto della Farnesina e che, a causa del suo carattere litigioso e arrogante, fu licenziato dall'allora direttore generale della Cooperazione Paolo Galli e che, successivamente, ebbe anche un feroce scontro con il ministro degli Esteri dell'epoca (Lamberto Dini), sembrava inevitabilmente avviato verso una parabola professionale destinata all'estinzione. Invece, sorprendentemente, in questa Seconda Repubblica povera e stracciona, che non ha perduto affatto i vizi clientelari della precedente, basta poter gestire (in nome e per conto di qualcuno che si trova dalle parti di Palazzo Grazioli...) una montagna di soldi per diventare un pezzo da novanta: soprattutto quando non devi rendere conto a chicchessia. In quest'ultimo decennio, in buona sostanza, Berlusconi ha scoperto (con la Protezione Civile) una sorta di lampada di Aladino e Bertolaso è stato il suo genio silenzioso e obbediente (debitamente e perennemente oliato...), fino a questo inaspettato (mica tanto poi) e increscioso incidente di percorso, con i soliti giudici di sinistra, questa volta di Firenze, sempre pronti a rompere le uova nel ricco paniere. E non solo quelle.

domenica 7 febbraio 2010

il Taormina (Carlo) un pò Catilina


Una premessa è d'obbligo. Il personaggio in sè non mi è un granchè simpatico: vuoi per la faccia, vuoi per come dice le cose e infine vuoi per l'eterna aria di supponenza. Ma perlomeno bisogna riconoscere che non è un falso. Dice con schiettezza quello che pensa, non soffre di certo la sudditanza psicologica nei confronti del suo ex datore di lavoro (il Pifferaio di Arcore) e in questa intervista con CARLO TECCE de IL FATTO QUOTIDIANO si toglie qualche sassolino dalla scarpa nel modo più sincero ed elegante possibile. Se poi tutto ciò non dovesse bastare per capire il personaggio, invito i lettori di questo blog a rivedersi il suo intervento dell'altra sera nella trasmissione di Santoro (http://www.youtube.com/watch?v=jUPfaqV2imY) oppure a rileggersi un'altra intervista: quella concessa ad ALESSANDRO GILIOLI (http://gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it/2010/01/29/la-verita-su-b-raccontata-dal-suo-ex-avvocato/) che dà l'idea di come il Taormina-pensiero sia oggi una rivisitazione moderna dell'antico scontro di duemila anni fa tra Cicerone e Catilina. Ma torniamo all'intervista di Tecce.

Chi l'ha cacciata da Fi?

C'era un'operazione.

Ordita da chi?

Fabrizio Cicchitto mi ha escluso dalle liste politiche. Niccolò Ghedini mi ha scavato la fossa.

Il collega che l'ascoltava stizzito ad Annozero.

C'è un fatto preciso: commissione giustizia, ex Cirielli sul tavolo per salvare Cesare Previti. Dovevamo includere processi in Appello e in Cassazione, e invece Cesare resta all'asciutto. Noi da una parte, Gaetano Pecorella e Ghedini dall'altra.

Invidie nel palazzo.

Ghedini fa fuori Pecorella, vince la partita. Comanda lui. Non pensavo fosse scorretto. Non vengo inserito alle politiche. Chiamo, mi rassicura: 'Tranquillo, un disguido'.

E’ la mente delle leggi ad personam?

No, il coordinatore è Previti. Il più intelligente. Ghedini ha chiesto un posticino per Piero Longo, un pupazzo.

Lascia per una crisi morale?

Definizione impropria. Lascio perché schifato. Facevo politica, vivevo il partito. Avevo un movimento, confluito nei circoli di Dell'Ultri.

Scrive a Sandro Bondi.

Per provocarlo: Sandro, facci sognare, firma una lettera. Tu sei il coordinatore !

Cicchitto il vice.

La gestione della triade (con Verdini) non mi piaceva. Forza Italia era inesistente, il PdL è doppiamente inesistente. C'era gente incapace, arrogante e disonesta.

Disonestà?

A qualsiasi livello: dirigenti nazionali, regionali, comunali. C'era affarismo. Gente che intascava soldi utilizzando la tessera di Forza Italia per accreditarsi.

Tangenti?

No. Erano affari dei capi del partito. A titolo privato: c'è una discarica o un immobile da costruire, cercano spazio e fanno soldi. Approfittavano della loro posizione. Il partito veniva sfruttato. Questi pensano ai cazzi loro.

Nemmeno al capo.

Il sultano. Siamo in un regime: la democrazia è in pericolo. Mi facevano schifo i soldi e mi faceva schifo fare il servitore. Se cerchi di fare opposizione a Berlusconi, prima vieni blandito e poi fottuto. E' in pieno delirio di onnipotenza.

E il freno Gianni Letta?

Sono convinto: Letta è un altro che non conta un cazzo.

E Giulio Tremonti?

Mi fa ridere: quando credi di essere autonomo, sei manovrato. Se Tremonti è ministro vuol dire che la testa di Berlusconi è in Tremonti.

La sua firma per gli ordini del capo.

Non siamo nemmeno riusciti a fare gli esecutori: dal falso in bilancio alla prescrizione, progetti quasi abortiti.

Legittimo impedimento.

La norma più anticostituzionale del mondo. Berlusconi ora punta al lodo Alfano-bis. Dipende da Mills.

Dalla Cassazione.

E che succede? Un gravissimo accerchiamento. Stanno per prolungare l'età pensionabile, da 75 a 78 anni, per consentire a Carbone, al primo presidente, di restare in sella altri tre anni e poi trasferirlo alla Corte Costituzionale. Mentre la Cassazione deve pronunciarsi su Mills. Leggo che il figlio di Carbone lavorerebbe alla presidenza del Consiglio.

Un pasticcio.

Peggio. La più dannosa delle leggi ad personam. Perché l'Anm di Palamara non protesta? Dobbiamo combattere.


giovedì 4 febbraio 2010

regaliamo Silvio agli israeliani


Un sogno che coltivo da un pò di tempo è quello di risvegliarmi al mattino e leggere sulla prima pagina di un quotidiano (qualunque esso sia) la notizia riguardante il presidente del Consiglio e la sua decisione di abbandonare la politica e il nostro Paese. Lo so, è solamente un sogno e come tale destinato a rimanere irrealizzato. Ma la speranza è l'ultima a morire, soprattutto dopo quello che ho visto (e sentito) in occasione della recente visita del Pifferaio in Israele. La sua visita a Tel Aviv ha avuto un tale successo che forse gli sarà balenata l’idea di rimanere e di concorrere alle prossime presidenziali israeliane. Tutto potrebbe nascere dalla standing ovation ottenuta alla Knesset (il Parlamento israeliano), con il suo intervento in toto a favore dello stato sionista e totalmente contro il popolo palestinese, che rivendica da decenni i suoi diritti schiacciati dai carrarmati con la stella di David e sbriciolati dai missili intelligenti. Per non parlare del suo j’accuse all’Iran e al suo presidente Ahmadinejad, paragonato a Hitler (al quale, recentemente, anche il Caimano era stato accostato). La decisione di lasciare Palazzo Chigi e di dedicarsi per tre giorni, con passione e dedizione, alle sorti del popolo ebraico oppresso e minacciato dalle fionde e dai sassi del popolo palestinese mi è sembrata quasi dettata dalla sua voglia messianica di voler piacere urbi et orbi. Una tre giorni paragonabile a una passeggiata sulle acque: prima la richiesta di far entrare Israele nell’Ue, poi la visita nel tempio della shoah con il rinnovato j’accuse alle leggi razziali, quindi le sberle all’Iran e al suo presidente da fermare assolutamente con azioni forti (è un invito agli anglo-americani a bombardare Teheran?); infine il suo discorso alla Knesset dove ha raggiunto l’apoteosi con una serie infinita di esaltazione dello stato ebraico, grande, giusto, liberale e pieno d’amore. Soprattutto nei confronti dei palestinesi, giudicati degli ingrati. E poi la chicca finale: Israele fece bene a bombardare Gaza. Al che è venuto giù il proscenio con un classico coro da stadio: Berlusconi for president. Da Netanyahu a Sharon (si è risvegliato dopo il bacio del principe Silvio) per finire a Perez è stato tutto uno strabuzzamento: nessuno credeva ai propri occhi. E così in tutta Israele è risuonato un solo grido: Berlusconi for president. Altro che discorso del predellino a piazza San Babila. Silvio è proprio un grande. Il tanto amore ricevuto gli ha così aperto il cuore che gli è venuta un’idea geniale che solo un genio come lui può avere: restare in Israele e magari farsi le treccine come gli ebrei ortodossi. D’altronde i grandi meritano un popolo eletto e non un popolino come quello italiano. Insomma ci voleva questo viaggio per immaginare di sbarazzarsi di un personaggio simile. E pensare alla fatica che Di Pietro e le procure più politicizzate hanno fatto in questi anni per provare a mettere il Cavaliere con le spalle al muro, accusandolo di corruzione e quant’altro, oltre che di essere un referente delle cosche mafiose. Quanta fatica sprecata. Pensare che basterebbe un altro viaggio a Tel Aviv per sbarazzarci di Berlusconi. E allora, Silvio for president ebraico.

martedì 2 febbraio 2010

quel partito che non c'è...


Nell'approssimarsi delle elezioni regionali di fine marzo, se mi si chiedesse di tracciare un'ipotetica linea ideale che fosse in grado di attraversare l'intero schieramento politico di centrosinistra, potrei rispondere evidenziando i punti portanti (almeno a mio giudizio) di questa linea cosituiti dai nomi di Nichi Vendola, Emma Bonino, Antonio Di Pietro e Pierferdinando Casini. Tutti personaggi ai quali il maggior partito di opposizione, vale a dire il Partito Democratico, ha delegato (nel bene e nel male) l'iniziativa politica nei confronti del governo del Pifferaio di Arcore. In questo contesto, a mio modo di vedere, del PD non se ne trovano praticamente tracce, se non per quanto riguarda stantìe disquisizione teoriche sulle cose che potevano essere e che non sono state. In buona sostanza, se il Partito Democratico volesse realmente sopravvivere, in vista della scadenza del 28 e 29 marzo, dovrebbe necessariamente pescare i suoi candidati tra quelli che, ai tempi dell'ex PCI, venivano definiti indipendenti di sinistra. A conferma di una mia concreta e attuale sensazione: che il PD rimane in questo momento un partito senza anima e senza testa, incapace di avanzare una qualsiasi proposta politica. Con una situazione del genere, per quanto riguarda lo stato d'essere di quello che dovrebbe presentarsi invece come uno schieramento protagonista della scena politica italiana, diventa difficile (per non dire impossibile) parlare di confronto con l'altro competitor, rappresentato dal Popolo della Libertà, per quanti problemi anch'esso possa avere. A ben vedere l'ipotetico confronto presuppone la messa in campo di progetti politici di pari dignità e di pari impatto per ciò che concerne le prospettive di sviluppo del nostro Paese. Ma se questi termini di confronto vengono miseramente a mancare, allora ne risente in modo inevitabile il progredire dello stesso processo democratico da cui dipende lo stato di salute di qualsivoglia Paese civile. Spero non appaia fuori luogo (per quei pochi lettori che mi seguono) fare un riferimento alla recente protesta dei magistrati che, per manifestare la loro contrarietà ai provvedimenti governativi sulla giustizia, hanno abbandonato le aule dove si celebrava l'inaugurazione dell'anno giudiziario nel momento in cui ha preso la parola il rappresentante del governo. Invece di esprimere il mio giudizio in merito, trovo giusto ribadire un concetto che sta alla base di ogni sistema democratico: le leggi le fa il Parlamento, liberamente eletto dal popolo, e i magistrati le applicano nella loro autonomia che però non può e non deve sconfinare nel giudizio politico (questa legge è buona, quest'altra no) su quanto viene deciso per l'appunto dal Parlamento stesso. Quella stessa autonomia, giustamente rivendicata dalla magistratura nell'applicazione delle leggi, presuppone però il riconoscimento della pari autonomia della politica (e quindi del Parlamento) nell'elaborazione e nell'approvazione delle leggi medesime. Il giudice che, oltre ad applicare le leggi, vuole anche stabilire quali tra di esse sia una buona legge e quale no, non ha che una strada davanti a sè: lasciare la magistratura e scegliere la politica. Perchè in un Paese che voglia realmente rimanere democratico, una commistione tra le due cose francamente non è possibile. Nè da una parte nè, ovviamente, dall'altra. Al riguardo un partito di opposizione, che volesse dimostrare di avere le caratteristiche indispensabili per proporsi come partito di governo (secondo le legittime aspettative di un terzo degli italiani), non cavalcherebbe un atteggiamento sbagliato di una parte dei giudici di casa nostra, ma si misurerebbe con l'attuale maggioranza (ove possibile) per cercare di realizzare quella riforma della giustizia che è oramai tra le necessità più impellenti e ineluttabili per il nostro Paese. Ma così, purtroppo, non è. A conferma che quello che manca al sistema politico italiano (per credere in un'alternativa) è proprio un partito riformista, liberal-socialista, garantista, di stampo europeo. Disgraziatamente molti italiani sono costretti a fare i conti con questa evidente mancanza, tutti i giorni e su tutti i problemi che contano. Per di più, a cinquantaquattro giorni dall'appuntamento elettorale, siamo alle prese con un Partito Democratico che dice una cosa e fa esattamente l'opposto; dà da intendere di essere una cosa e poi dimostra nei fatti di esserne un'altra. Oggi come ieri, siamo sempre alla ricerca di quel partito che non c'è...