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domenica 31 gennaio 2010

Alessandro Sallusti, il nuovo Sallustio dell'era moderna


Nel panorama nazionale della carta stampata c'è un giornalista che già dal cognome pare un lontanissimo parente di quello che in epoca romana fu un delfino di Cesare, vale a dire Sallustio. Questo giornalista, attualmente alla corte di Re Silvio, si chiama Alessandro Sallusti. E' il condirettore de il Giornale ed è fedele amico di Vittorio Feltri, con cui era già legato ai tempi di Libero. Scriveva Sallustio duemila anni fa: "Nella molteplicità delle attività umane, la Natura offre sempre a ciascuno la propria strada". Nel terzo millennio Sallusti non ha avuto soverchie difficoltà nel trovare una sorta di strada maestra del servilismo d'assalto, grazie al quale ha potuto beneficiare di lodi e di incensi da parte del suo padrone editoriale e del suo degno compare di merende giornalistiche. Un esempio per tutti? Basta andare a rileggersi quel pezzo da premio Pulitzer che il prode Sallusti ha scritto poco più di due settimane fa (http://www.ilgiornale.it/interni/di_pietro_trema_ce_un_dossier_su_di_lui/16-01-2010/articolo-id=414087-page=0-comments=3). Il magno Alessandro non appare molto sicuro di ciò che dovrebbe scrivere riguardo il dossier contro l'ex pm. Ma lo scive comunque: "...C'è qualche cosa che non torna nella mossa a sorpresa di Di Pietro. Questo mettere le mani avanti rispetto a una notizia di cui nulla si sapeva, e che probabilmente non sarebbe mai stata pubblicata, crea più sospetto che solidarietà". Addio buon vecchio cogito ergo sum! Cartesio non poteva minimamente immaginare che un giorno qualcuno (Sallusti, per l'appunto) sarebbe riuscito a formulare una teoria secondo cui chi denuncia qualcosa di losco, architettato alle proprie spalle, dimostra che ha qualcosa da nascondere. Basterebbe già questo per allertare il 118 ma Sallusti, non ancora soddisfatto, si spinge anche oltre: "...questo non basta a capire che cosa sta succedendo. E non basterà fino a che Antonio Di Pietro non racconterà al Paese la verità, tutta la verità e niente altro che la verità su tre fatti che lo riguardano. Il primo: come ha fatto un giovane poliziotto della bergamasca a laurearsi tanto rapidamente e a diventare magistrato? Il secondo: come ha fatto un inesperto pm a diventare improvvisamente il più bravo e importante della storia del Paese? Il terzo: come mai, all'apice del successo e del potere, abbandonò la toga per buttarsi in politica? So che lui ha già risposto a queste domande. Riassumo in sintesi: sono bravo. Rispondo in sintesi: è vero, ma noi non siamo fessi. La storia di Mani pulite è ancora avvolta nel mistero e piena di buchi neri. E la reazione di Di Pietro al presunto dossier, che potrebbe aprire uno squarcio sull'omertà di questi anni, ha il sapore della excusatio non petita, accusatio manifesta...". La raffinata orazione sallustiana d'altri tempi tocca l'apice nel finale dello scritto: "...Restiamo garantisti ma anche curiosi di capirne di più, come dice Santoro quando i killer della mafia accusano i vertici del centrodestra. Vedremo". Mi viene in mente una cosa: ma i gentili lettori del quotidiano diretto da Feltri (e da Sallusti) avranno apprezzato e colto il messaggio subliminale del novello Catilina di via Negri e cioè: tentiamo nuovamente di smontare la credibilità di Di Pietro per riabilitare tutti quelli dell'epoca di Tangentopoli (in primis il Cinghialone), grazie a un bislacco revisionismo. E poi (smontando l'ex pm molisano) si potrà anche affermare che, visti i danni irreparabili combinati da certi giudici, la magistratura non può non dipendere dal potere politico (dal Pifferaio in altre parole). Ma soprattutto non potrà indagare sul potere politico. Come dire: due piccioni con una fava. Proprio quella fava del novello Sallustio. Pardon, Sallusti.

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