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lunedì 30 novembre 2009

il No B Day & la forza della Rete


Il tam tam generato dalla Rete che ha dato vita al No Berlusconi Day del prossimo 5 dicembre, non può non farci riflettere sul significato che ha assunto il web come mezzo di comunicazione e strumento di battaglia politica. La mobilitazione, promossa dal web e nata grazie all'utilizzo di un social network come Facebook, ci racconta una realtà ben diversa da quella che conoscevamo fino a qualche anno fa. Una realtà a cui la politica si deve saper adattare, aggiornando i propri strumenti comunicativi in funzione dei cambiamenti avvenuti nella nostra società. Il dato che emerge navigando sui principali siti che si occupano di politica, è che i politici (e dunque i partiti) scontano un grosso limite: quello di non utilizzare al meglio le potenzialità di internet come strumento di comunicazione. Essi vengono avvertiti, soprattutto dalle nuove generazioni, come lontani, il che alimenta sentimenti diffusi come l'antipolitica, rendendo i giovani sempre più restii ad ogni forma di inquadramento politico. Il fenomeno scaturito a seguito del famoso V Day di Beppe Grillo a Bologna ha dimostrato chiaramente quale sia il potenziale del web. Il blog diventa uno strumento per mobilitare le piazze, per consentire maggiore partecipazione politica, per ottenere maggiori informazioni, decretando Internet come un mezzo di comunicazione potentissimo che entra nelle case, sui telefonini, in modo immediato e diretto. E soprattutto non ha filtri, non è sottoposto a nessun controllo o censura. Ed è gratuito. Basti pensare a Genova, ai fatti del 2001: già allora questo importante strumento è servito a far vedere ciò che il potere voleva tenere nascosto ma che in realta la Rete impedì. Oggi continua ad essere così, in maniera sempre più diffusa. L'oscuramento mediatico che stiamo sistematicamente notando rende sempre più difficile il passaggio delle informazioni e crea quel contesto melmoso di non democrazia nel quale sguazzano gli uomini del Pifferaio di Arcore (Belpietro e Feltri in primis), tutti presi nel non far capire alla gente la realtà dei fatti ostile al proprio Capo. Credo che la legittima battaglia contro questo vergognoso oscuramento debba essere caratterizzata da un utilizzo massiccio della Rete, potente strumento di denuncia in grado di rompere censura e mistificazione. Recenti indagini hanno dimostrato che dopo la Tv, Internet è il principale mezzo di comunicazione per informarsi sui temi politici (62%) e quello che incide maggiormente sulla scelta del proprio orientamento. Di fronte al crollo dei media tradizionali, in particolare di tv e giornali (-21.5%), i media digitali rappresentano l'unico mezzo in crescita. Su un campione di intervistati di età superiore ai 18 anni, è emerso un dato significativo: il 77% cerca le informazioni su quotidiani online (blog 25% e forum 21%). Internet sta diventando il maggiore mezzo di comunicazione per approcciare il mondo politico, uno strumento che consente di informarsi e stabilire un dialogo diretto e costruttivo con la classe politica. La parola chiave diventa "interattività", aumenta il bisogno di confrontarsi in spazi virtuali di discussione. Diversi esponenti politici hanno intuito le potenzialità del web come luogo del dibattito. Basti pensare ad Obama, negli Usa, che è riuscito a creare una nuova forma di campagna elettorale usando i social media. In Italia siamo ancora un po' indietro. Ma, nonostante il timido approccio della politica alle nuove forme di comunicazione, qualche passo avanti si sta facendo. Penso alla crescente diffusione dei blog come luogo di discussione e confronto politico, una sorta di diari online che mettono in condivisione i propri pensieri e le proprie riflessioni. Un tentativo per rompere la distanza che esiste tra la politica e il "mondo reale". Discorso a parte meritano i siti di partito, soggetti anch'essi a diverse indagini, le quali hanno dimostrato che spesso gli appartenenti ad uno schieramento politico non visitano quasi mai il loro sito di riferimento. Pochissimi sondaggi, assenza di forum di discussione aperta, mancanza di coinvolgimento degli iscritti. Spesso non si trovano nemmeno i calendari delle iniziative. Il senso di questa riflessione è quello di cercare di comprendere (e far comprendere) che è necessario e vitale aggiornare il proprio modo di comunicare attraverso l'utilizzo di nuovi media, tentando anche di modificare il proprio linguaggio, migliorando l'efficacia dei messaggi che vogliamo dare. Ciò non sostituisce affatto l'importanza del radicamento, della presenza non solo virtuale, ma anche reale. Ma credo che l'utilizzo della Rete sia un elemento praticamente imprescindibile per caratterizzare la bontà democratica e sociale di un Paese libero e civile, come dovrebbe essere realmente il nostro.

lunedì 23 novembre 2009

almeno ribelliamoci...


Ogni tanto osservo la realtà dei fatti che mi circonda e rimango perplesso. Leggo i giornali e mi sembra di vivere in un altro Paese. Per fortuna che esiste il Web e allora mi accorgo che anche le minoranze hanno diritto di cittadinanza, hanno voglia di dire la loro: in una parola hanno voglia di ribellarsi. Ma non sempre purtroppo questo avviene. La stragrande maggioranza degli italiani arranca, tira la cinghia ed è costretta a subire la legge del mercato che impone salari miserevoli e pensioni da fame. Intanto però, la classe politica (ma anche la casta dei giudici, gli imprenditori schiavisti, i personaggi del mondo dello spettacolo e le altre categorie di privilegiati) vive nell’agiatezza e non rinuncia a viaggi di piacere dell’anima, dello spirito e soprattutto del corpo. Così risulta essere alquanto ingiusto che un semplice cittadino non possa godere degli stessi vizi dei potenti, come ad esempio una nottata di sesso più o meno sfrenato pagando 2.000 euro per una non proprio escort di primo pelo e utilizzando un comodo lettone a tre piazze (un omaggio di Putin), oppure scegliere di accoppiarsi con un transessuale pagando 5 mila euro sniffatina compresa. È allora mi sembra giusto ribellarsi. Ribellarsi allo sfruttamento e alle imposizioni di un mercato che fa della migrazione dei popoli un affare. Ribellarsi al mercato delle braccia (nere, gialle o bianche non fa differenza) e agli stipendi miserevoli e vergognosi che non solo non consentono di programmare il proprio futuro ma nemmeno permettono di pensare ad un alloggio decente con il rischio di finire come gli extracomunitari in cerca di un posto letto. Credo sia giusto ribellarsi al precariato che offende la dignità e le coscienze e ad ogni forma di ricatto nel lavoro, come in tutti gli altri settori. È giusto ribellarsi alla falsa moralizzazione che ha portato la magistratura ad essere idolatrata e servita. E’ giusto ribellarsi alle morti bianche. È giusto ribellarsi alla condanna a 4 anni per il furto di uno zainetto negando perfino i domiciliari, con il conseguente suicidio del detenuto nel carcere di Palmi, in Calabria. È giusto ribellarsi alle botte in una cella di un tribunale, come nel caso di Stefano Cucchi, morto per qualche grammo di hashish e di cocaina. Tutto questo solo perché si è cittadini comuni. Al contrario di Montecitorio e Palazzo Madama dove siedono tossicodipendenti intoccabili. È giusto ribellarsi alla morte del giovane Federico Aldrovandi ucciso, senza alcuna giustificazione, da 4 agenti di polizia. È giusto ribellarsi all’omicidio di Gabriele Sandri colpito da un poliziotto in vena di rambismo. È giusto ribellarsi ai Centri di Identificazione ed Espulsione, sinonimi di carceri a cielo aperto per gli immigrati. È giusto ribellarsi al pizzo come alle banche usuraie. È giusto ribellarsi allo sfratto di persone anziane impossibilitate a pagarsi l’affitto. È giusto ribellarsi al caro affitti e allo sfruttamento dei posti letto per gli immigrati. È giusto ribellarsi ai governi, indifferentemente dal colore politico, che privatizzano beni primari come l’acqua e il lavoro. È giusto ribellarsi alle guerre democratiche imposte dagli angloamericani che hanno fatto centinaia di migliaia di vittime e di invalidi. Ma in questo Paese, in cui la legge e i diritti non sono uguali per tutti, ribellarsi è un reato. Anche se piacerebbe a molti di noi dichiararci rei confessi...

venerdì 20 novembre 2009

gli amici del "piacione"...


L'uscita di Cicciobello (al secolo Francesco Rutelli) di qualche settimana fa dal Partito Democratico ha fatto rumore, ma non più di tanto. E' la solita storia del "mi si nota di più se resto o vado via?" che accompagna sempre i virtuosi del protagonismo di bassa lega (tranquilli, Bossi non c'entra nulla...), dediti con ostinata protervia nel condurre azioni di disturbo nei confronti di ex colleghi e finti amici. Così anche il piacione romano non si è sottratto a questa regola non scritta e, nel volgere di poco tempo, ha fondato un movimento politico (per il momento alquanto statico) dal nome patriottico: Alleanza per l'Italia (http://www.alleanzaperlitalia.it/). Detto fatto, molti nomi altisonanti della cultura e della finanza, della politica e dei mass media hanno aderito con leggiadra soddisfazione all'invito di Francesco, costituendo una sorta di associazione a metà strada tra un Rotary casareccio e un club dei trombati (a scanso di equivoci è bene precisare che non ci sono nè trans nè mignotte). Di questa nuova e particolare galassia mediatico-culturale fanno parte Maurizio Costanzo (oramai ex uomo Mediaset e prossimo al rientro in pompa magna tra le braccia di mamma Rai), da tempo amico personale dell'ex sindaco di Roma, Marco Bassetti (patron di Endemol Italia), Giorgio Gori (marito della Parodi e ras di Magnolia), Giuliano da Empoli (consigliere della Biennale e assessore alla cultura per il Comune di Firenze e già consigliere del Cicciobello ministro per i Beni Culturali), Vincenzo Spadafora (Unicef Italia), Nicoletta Fiorucci (un nome una garanzia per AltaRoma, moda al top) e tanti altri: da Gianpaolo Manzella a Giuseppe Vita, da Roberto Mazzotta a Luigi Abete, da Linda Lanzillotta a Franco Bassanini, per finire (il che non guasta mai) ai mammasantissima dell'edilizia Caput Mundi, da Caltagirone a Toti, da Parnasi a Rebecchini. Insomma un bel parterre de roi per il piacione numero uno della Città Eterna: roba da far invidia alle aspirazioni salottiere di un Gianni Letta piuttosto che di un Bertinotti e signora. Auspicando, per il piacione, una visita di cortesia di Berlusconi che nel 1993, all'epoca della corsa alla poltrona di sindaco di Roma, gli preferì però il suo attuale nemico interno del PdL: Gianfranco Fini.

giovedì 19 novembre 2009

il rapporto feudale all'interno del PdL


Ecco alla fine riemergere il tipico rapporto da feudalesimo moderno tra il Pifferaio di Arcore e la sua corte dei miracoli. L'imperatore era assente da qualche giorno dalla scena mediatica (quella naturalmente più consona alle sue caratteristiche) e i suoi vassalli ne hanno approfittato per mettersi in mostra e dire ognuno la sua. Fini in primis (che mostra sempre più la sua voglia di smettere i panni da primo vassallo e indossare quelli più comodi di novello imperatore) non perde occasione per mettere in difficoltà il Signore di Arcore con le sue affermazioni; Bossi che, pur di difendere il suo padrone, torna ad abbaiare contro gli immigrati cercando di spezzare la catena che lo tiene legato alla cuccia di Arcore; infine Schifani che cerca di mettere paura a tutti agitando lo spauracchio delle elezioni anticipate in faccia ai valvassori che si ostinano a non rientrare docilmente nei ranghi. Insomma, a ben vedere, si è ricreata una situazione tipica di un partito nato sul predellino di un'automobile, in una fredda sera d'inverno, in una famosa piazza di Milano: una situazione nella quale gli insofferenti ai diktat del Capo optano per un comportamento di palese contrasto mentre al contempo i riconosciuti lecchini del Signore fanno comunella per riproporre una falsa visione del volemose bene. A questo punto è facile intuire che tenere unita una coalizione di questo genere non è proprio cosa da poco e la tentazione per l'imperatore di mandare tutto a ramengo è abbastanza forte anche in relazione alla certezza di poter contare sul bagno di folla che da quindici anni circonda il dominus di Arcore. Ma non sempre i sondaggi tagliati su misura e i voti di fiducia (28 con quello di ieri sulla privatizzazione dell'acqua) possono far dormire sonni tranquilli al Capo e allora è meglio farsi rivedere nelle austere sale di Montecitorio attorniato da donzelle più o meno di primo pelo adoranti e ocheggianti; è meglio tornare all'antica abitudine dei comunicati e delle dichiarazioni stucchevoli ma sempre efficaci che riportano all'ordine e alla realtà i sognatori e i cospiratori del cosiddetto Popolo della Libertà. Il tutto con l'unico intento di ricomporre la fronda interna e mettere così fine allo spettacolo da bordello, sottile metafora usata dal vassallo di seconda fila Verdini. E poi ci sono sempre quei corvi neri (meglio sarebbe dire rossi) che continuano a volteggiare sul capo dell'imperatore, rovinando il sonnoe il riposo: incubi nefasti che hanno le sembianze di aule di tribunale e di giudici assetati di voglia forcaiola, messi lì con l'unico scopo di destituire il Signore di Arcore e di spogliarlo (non solo in senso metaforico) di tutti i suoi averi e delle sue ricchezze, non sempre lecitamente accumulate. Ossessionato dal tradimento dei suoi vassalli e valvassori, il dominus torna sistematicamente a parlare di complotto e di progetto eversivo, di giornalisti e di giudici comunisti coalizzati per farlo fuori. Decide allora di uscire allo scoperto, affermando che la compagine di governo è unita e forte e che il popolo (i contadini liberi e i servi della gleba) è sempre dalla sua parte. Ma se alla fine la minaccia elettorale dell'imperatore riporterà l'ordine, o se al contrario i feudatari decideranno di togliergli la corona, fondamentalmente non cambierà la sostanza di un sistema politico-istituzionale comunque in fibrillazione, anche a causa delle imminenti elezioni regionali. Fortunatamente, a mio modesto avviso, esiste pur sempre una buona parte del feudo berlusconiano che non è per niente rassegnato nel subire le angherie dell'imperatore e che anzi dà segni inequivocabili di risveglio e di reazione, mostrando quella naturale e legittima voglia di cambiamento anche attraverso la prossima manifestazione del 5 dicembre con il NO B. Day, che potrà ridare un senso di coerenza e di coesione a quella parte di opposizione per troppo tempo assente ingiustificata nella lotta per libertà e per la democrazia reale del nostro Paese. Che non dovrà più essere un feudo dell'imperatore di Arcore. Mai più.

lunedì 16 novembre 2009

il lato oscuro del digitale terrestre


Il digitale terrestre è nato male, anzi, non doveva proprio nascere (almeno per quanto riguarda il mio pensiero). E mi riferisco alle motivazioni che stanno dietro a quello che è stato presentato come un grande vantaggio per i telespettatori. Parliamoci chiaro: ci sono sempre e comunque soltanto gli interessi economici (stratosferici) dei soggetti che vogliono fare soldi a palate. E nient'altro. Stabilendo il passaggio fra sistema televisivo a diffusione analogica a quello digitale, il Parlamento europeo ha ceduto alle pretese lobbistiche di chi guardava alle prospettive di potere facendosi scudo del progresso tecnologico. Le diffidenze in tutti i Paesi europei verso questo progresso sono state tante perché, mentre il sistema analogico consente ricezioni anche in presenza di deboli segnali, il digitale non ha mezze misure: si vede o non si vede. Non a caso i tempi sono stati stabiliti dalla Unione Europea al 2012, pensando che la sperimentazione finisse per accertare in modo inoppugnabile i benefici. Ma in Italia (come al solito) si è colta la palla al balzo per risolvere certi problemi di bottega: primo fra tutti quello di Rete4, decidendo di bruciare le tappe a favore delle reti nazionali private e del mondo degli affari oscuri. Non si è scelto (come erroneamente sembra) la strada del vero avanzamento tecnologico di qualità e del risparmio che poteva essere ottenuto con il potenziamento delle trasmissioni da satellite (che consentivano tra l’altro un enorme risparmio energetico): un solo trasmettitore per ciascun bouquet a copertura di tutta Europa contro i circa 1.500 necessari per illuminare il solo territorio italiano. Questa soluzione avrebbe consentito l’esistenza in parallelo dell’analogico terrestre a scelta dell’utenza, evitando di mandare al macero un numero spaventoso di ricevitori; inoltre, potevano essere abbassate le potenze di trasmissione, diminuendo gli sprechi in tempo di grave crisi economica. A differenza di quanto dichiarato dal ministro Scajola e dal suo vice Romani, l’inquinamento e il dispendio energetico non potranno essere ridotti, ma aumenteranno perché le difficoltà legate alla difficile ricezione in digitale per coloro che non hanno la ventura di risiedere vicino alle antenne che emettono il segnale, si tenterà di superarle impiegando (rispetto all’analogico) un numero superiore di apparati di trasmissione e di potenze a radio frequenza maggiori. Il quadro generale che si presenta per gli operatori e gli ascoltatori è dunque indefinibile e presenta anche aspetti comici. Non a caso Mediaset, Rai e La7 hanno cercato di correre ai ripari in base alla previsione che la ricezione dei loro canali in certe zone sarà difficile, fondando una società chiamata Tivù Sat che si avvale di un satellite. Posso a questo punto immaginare, tra il serio e il faceto, la condizione di un ascoltatore abbonato a Sky che ha l’abitazione fuori dal campo di ricezione Rai, Mediaset e La7. Già in possesso del decodificatore per la sintonizzazione di Sky, per vedere Tivù Sat avrà bisogno di un secondo; se poi vorrà vedere anche le emittenti locali avrà bisogno di un terzo decoder. Il tutto condito dalla continua commutazione dei tre dispositivi verso le prese scart del televisore e con in mano ben quattro telecomandi, uno per accendere l’apparecchio e gli altri tre per effettuare la ricerca! Queste ultime difficoltà potevano essere attenuate se l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni avesse disposto l’adozione di un decodificatore unico. Ma la sua incapacità e la relativa imprevidenza difficilmente potranno essere recuperate perché nel frattempo sono stati venduti un gran numero di televisori con un solo decoder incorporato, non modificabile. Grave risulta essere la situazione, poi, in cui si troveranno le altre reti nazionali e locali che per gli alti costi non sono in grado di avvalersi di Rai Way che oramai è a disposizione di Rai, Mediaset e La7. Esse rischieranno l’estinzione perché perderanno quel vantaggio che oggi consente ancora all’utenza in appena 20 secondi di esplorare con il telecomando tutta l’offerta del momento, fermandosi sul programma che gli interessa. Invece gli ascoltatori, un po’ per le difficoltà di ricezione, un po’ per la ricerca complicata, finiranno per ignorarle orientandosi a seguire le emittenti visibili con più facilità. C'è da registrare, inoltre, che ovunque siano cessate le trasmissioni in analogico si sono manifestati i contorni di una possibile catastrofe: in Sardegna centinaia di comuni sono rimasti privi di segnali che erano soliti ricevere, e lo stesso è avvenuto in alcuni comuni del Piemonte. Una sorta di interruzione di pubblico servizio. Come tamponare gli effetti di una scelta sbagliata, aggravati da una serie di grossolani errori commessi dal ministero per lo Sviluppo economico e dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni? In primo luogo con la cessazione del silenzio stampa voluto per non turbare la grande festa del digital divider ossia la divisione delle frequenze fra coloro che ne hanno già tante (reti nazionali, telefonia, ecc.), buona parte delle quali è rappresentata da editori di giornali e proprietari di televisioni in palese conflitto di interesse (e non mi va di fare nomi...); in secondo luogo ridisegnando il numero dei canali delle reti nazionali che ambiscono a restare incontrastate padrone del settore; terzo, bloccando il processo di distruzione dell’esistente per almeno due anni come stabilito dall’Unione Eropea. Non sarà facile toccare interessi pianificati, ma la forza della protesta potrebbe riuscire a condizionarli. E credo che alla protesta dei telespettatori non sia possibile mettere uno switch off...

sabato 14 novembre 2009

ci mancava solo Gasparri...


Tutto mi sarei immaginato tranne che tra i firmatari e promotori del disegno di legge (giustamente definito una porcheria da Casini), pensato unicamente per salvare le chiappe del Pifferaio di Arcore, ci fosse pure il nome di Maurizio Gasparri, nume tutelare della giurisprudenza e riconosciuto principe del Foro. La fervida mente dell'on. Gasparri ha partorito pure un titolo che è tutto un programma: "misure per la tutela del cittadino contro la durata indeterminata dei processi, in attuazione dell'art. 111 della Costituzione e dell'art. 6 della Convenzione europea sui diritti dell'uomo". Si nota ad occhio nudo che non è farina del suo sacco (cosa scontata per uno che non aveva nemmeno letto un rigo della famigerata legge recante il suo nome), ma almeno il titolo sembra avere la parvenza di una sorta di messaggio accattivante di pace e di amore (nei confronti del popolo bue). Non preoccupatevi cari cittadini italiani, sembra dire tra le righe il solerte Maurizio, il potere ha a cuore i vostri diritti e ha predisposto delle misure per attuare la Convenzione europea dei diritti dell'uomo che ci impone di assicurarvi un processo equo che deve svolgersi in un tempo ragionevole. A ben vedere però, almeno a mio giudizio, è difficile immaginare una falsificazione maggiore per presentare all'opinione pubblica una legge che per il suo contenuto dovrebbe intitolarsi "norme per introdurre una giustizia castale", visto e considerato che in un solo articolo (per la precisione il numero 2) riesce a trasformare il processo penale in uno strumento a disposizione di una casta per neutralizzare gli effetti dannosi dell'obbligo di rispettare le leggi penali, facendo in modo di dispiegare in pieno la sua geometrica potenza nei confronti dei ceti sociali più deboli, degli emarginati e dei senza diritti. In poche parole questo disegno di legge targato Gasparri ci dice che, salvo casi eccezionali, i reati dei cosiddetti colletti bianchi non saranno più punibili. Pensiamo, ad esempio, al crack della Parmalat di mister Tanzi che ha comportato un danno alle famiglie italiane di 14 miliardi di euro; oppure alle vicende di malasanità, come quella della clinica Santa Rita di Milano dove si facevano operazioni chirurgiche al solo scopo di lucrare i finanziamenti della Regione Lombardia. Per non parlare, poi, delle innumerevoli frodi messe in atto per il conseguimento di erogazioni pubbliche che creano un danno enorme e che sottraggono risorse che potrebbero invece essere destinate all'occupazione e allo sviluppo economico. Come ho detto in questo modo si realizza una giustizia castale, che riflette una società castale al cui vertice si pone un ceto di privilegiati, uniti in vincoli di sangue e di interessi per i quali non c'è legge che tenga. A costoro tutto è consentito, perfino l'impunità garantita per legge, al solo costo (alquanto realtivo) delle parcelle degli avvocati che piloteranno il processo incanalandolo sul binario morto dell'estinzione inevitabile. Al contrario, tutti quelli che sono fuori da questa casta di privilegiati (e che normalmente compiono reati minori collegati ad una condizione di emarginazione sociale) continueranno ad essere soggetti ai rigori della legge penale. Quindi, in questo caso specifico, a mio avviso è sbagliato parlare di legge ad personam perchè, quali che siano i motivi contingenti, quello che conta è che ci troviamo di fronte ad una disciplina che costruisce un privilegio di casta riservato ad un ceto sociale di elitari, portando a conseguenze estreme la politica della discriminazione consacrata nei vari pacchetti sicurezza tanto cari ai leghisti. L'altra faccia della medaglia della porcata di Gasparri è il correlativo indebolimento dei beni pubblici, a tutela dei quali sono poste le norme penali dribblate con il processo breve: tanto per fare degli esempi, la correttezza e il buon funzionamento dell'amministrazione pubblica, l'efficienza della spesa pubblica, la salute dei cittadini garantita dal Servizio Sanitario Nazionale, la correttezza nell'esercizio delle attività economiche e produttive. Così, grazie a Gasparri (e ai suoi degni compari Quagliariello e Bricolo), il governo Berlusconi, il migliore che abbiamo avuto negli ultimi 150 anni, ci sta conducendo verso un traguardo mai raggiunto prima nella nostra storia nazionale: quello di agevolare la criminalità dei colletti bianchi. Un traguardo che nemmeno il fascismo si era mai sognato di toccare.

giovedì 12 novembre 2009

il conflitto (di interessi) di Adriano Celentano


Leggendo la lettera di Adriano Celentano pubblicata ieri dal Corriere della Sera (http://www.corriere.it/spettacoli/09_novembre_11/celentano-chi-ama-la-musica-non-puo-fare-a-meno-di-x-factor-adriano-celentano_e1ad6aee-ce8b-11de-9c90-00144f02aabc.shtml) non ho potuto fare a meno di pensare che il Molleggiato questa volta è incorso (volutamente o meno) in un clamoroso incidente di percorso: un conflitto di interessi a sfondo musicale. E nel contempo ho anche scoperto che Adriano è umano. Forse più di qualcuno ce ne ha messo di tempo per accorgersi che Adriano non era più quel guru per cui qualcuno lo voleva spacciare e per il quale lui stesso voleva spacciarsi e riciclarsi. Oramai è chiaro che Adriano Celentano è solo e soltanto un uomo. E meno male. Me ne sono accorto proprio dalla stesura della lettera al Corriere con la quale, rompendo un silenzio mediatico che da qualche tempo lo circondava, ha generosamente lodato il programma di RaiDue X Factor. La cosa strana è che incensando lo show ha indirettamente fatto una bella marchetta televisiva per la moglie Claudia Mori, giudice insieme a Morgan e alla Maionchi, che ha dato pepe e verve alla trasmissione dopo aver preso il posto della Ventura. Affermando che chi ama la musica non può non seguire X Factor, Adriano ha dato una bella mano a mamma Rai e alla sua continua guerra dell'Auditel contro Mediaset: un megaspot anche per la propria consorte che, non dimentichiamolo, è anche produttrice musicale e che dal talent show ha tutto da guadagnarci, sia in termini di visibilità che di lauti guadagni e investimenti. A dire il vero la Mori all'inizio della sua avventura sembrava avere sempre la puzza sotto il naso, non risparmiandosi in sceneggiate e polemiche affermando che il programma non era proprio come se lo aspettava, ma correggendo ultimamente il tito fino a far presagire una sua partecipazione anche per la prossima edizione. E' plausibile, quindi, che la Rai e gli italiani dovranno sorbirsi la famiglia Celentano anche per il futuro, confermando quel trend che vuole sempre bene accolti (in particolar modo dai dirigenti di viale Mazzini) i portatori sani di ascolti e di inserzioni pubblicitari con tanti zeri. Fa pensare un pò, in verità, il fatto che Adriano su X Factor non ci era mai capitato (nemmeno sbagliando il tasto sul telecomando) se non da quando fra i giudici è comparsa la sua signora, alimentando il sospetto che magari un pò di puzza sotto il naso anche lui ce l'aveva. Ora, se uno volesse essere un pò cattivello, interpreterebbe la lettera di Adriano paventando due ipotesi: la prima è che il Molleggiato abbia voluto (sapendo di poter dare pareri da esperto conoscitore di musica) aiutare il programma in calo di ascolti rispetto alle precedenti edizioni, cercando così di dare un parere illustre che influenzi favorevolmente il pubblico televisivo. La seconda ipotesi è che Adriano stia rosicando (come si dice a Roma) perchè la RAI non gli ha fatto più sapere niente circa un suo programma per la prima serata di RaiUno: si spiegherebbe solo così il virulento attacco alla rete ammiraglia che in fondo alla famiglia Celentano ha sempre fatto del bene (soprattutto a livello di emolumenti) grazie alla passata intercessione di Fabrizio Dal Noce (anche lui oggetto di lodi e di attenzioni nella stesura della lettera) che, da direttore di RaiUno, gli aveva sempre lasciato carta bianca, soprattutto per il budget utilizzato in passato per la realizzazione dei programmi televisivi di Adriano. A pensarci bene, se debbo essere sincero fino alla fine, ci sarebbe una terza ipotesi sul perchè della lettera al Corriere: è vero che Adriano è umano, ma è anche vero che è abituato a camminare tre metri sopra il cielo, su una nuvoletta che si è gonfiata (negli anni scorsi) anche grazie a tutti quelli che per tanto tempo hanno continuato a farsi domande sulle sue strampalate esternazioni e sulle sue indisponenti pause all'interno dei suoi programmi in tv. E questo suo camminare tre metri sopra il cielo gli permette di dire la sua su qualsiasi argomento (da Dio a Berlusconi, e scusate l'accostamento...), non risparmiandosi mai dal farlo benchè nessuno glielo chieda espressamente. Spero, però, che questa volta il suo conflitto di interessi messo in campo per X Factor serva almeno per tirar su le sorti del programma, in particolare per gli indici di gradimento e di ascolti. Il che non sarebbe proprio malaccio.

domenica 8 novembre 2009

Santoro & il nervo scoperto della politica mafiosa


Ancora una volta Michele Santoro è riuscito nel suo intento grazie al sottile stratagemma di parlare a suocera perchè nuora intenda. Ha dedicato infatti l'intera puntata di Annozero di giovedì scorso (http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-4013cc78-c285-4617-9a88-4c5f3a2242ad.html?=0) al mancato scioglimento del comune di Fondi, in provincia di Latina, per infiltrazione mafiosa ed ha orientato il suo personale occhio di bue giornalistico sulla figura (alquanto censurabile) di Claudio Fazzone, senatore pidiellino smaccatamente berlusconiano ed ex presidente del Consiglio Regionale del Lazio nonchè autentico ras della cittadina pontina, sede del più grande mercato ortofrutticolo d'Italia da sempre obbiettivo degli appetiti della criminalità organizzata. Non tutti, credo, conoscevano la faccia di Fazzone nè tantomeno le sue gesta politiche: ci ha pensato quindi il conduttore salernitano, non troppo simpatico all'entourage del Cavaliere, a farci apprezzare la vis polemica ricoperta di tracotanza del senatore pidiellino accusato (a ragione) di non essersi opposto allo strapotere criminale delle cosche mafiose (e della 'ndrangheta) che nell'ultimo decennio hanno devastato la città pontina. Il reportage giornalistico su Fazzone ci ha consegnato il ritratto di un personaggio di primo piano nella mappa del potere elettorale della fu Forza Italia. Nelle elezioni del 2000 e successivamente in quelle del 2005 Fazzone è stato (un pò inopinatamente) il consigliere regionale più votato d'Italia. A chi gli chiedeva il motivo di tanto inaspettato successo rispondeva, in modo serafico e berlusconiano, che lui era l'eletto dal popolo e non certo dalle cosche o dagli uomini del malaffare. E ci mancherebbe altro. Nemmeno Berlusconi oserebbe rispondere in modo diverso. E tanto per non distanziarsi troppo dal modus operandi televisivo del suo mentore e padrino politico, Fazzone in tv da Santoro grida al complotto (dei comunisti) che ha lo scopo di sottrarlo al consenso dei suoi elettori. E ascoltando quanto da lui riferito in trasmissione viene fuori il lato grottesco della vicenda: chi ordirebbe l'oscuro complotto sarebbe il Prefetto di Latina coadiuvato da polizia, carabinieri e magistrati in odore di toga rossa. In pratica le istituzioni e la giustizia contro un benefattore dell'agro pontino. E come se non bastasse ci si è messo pure il ministro dell'Interno Maroni che avrebbe avallato la congiura. Ma nonostante tutto l'indefesso lavorìo dei complottisti la situazione è che non si è riusciti ad abbattere il muro d'omertà e a sciogliere il Comune di Fondi ma soltanto ad indire nuove elezioni per il marzo 2010 accompagnando il tutto con un Commissariamento ordinario. Grazie a Santoro la cronaca di questa brutta storia di malapolitica italiana è stata portata a conoscenza anche del grande pubblico televisivo e non solo di quello dei giornali: l'inchiesta di Stefano Bianchi ha evidenziato come terre fertili e un mare bellissimo siano stati devastati dall'abusivismo, come assessori e imprenditori abbiano scientemente consegnato la città di Fondi nelle mani della mafia. L'unica voce in studio da Santoro (oltre a quelle di De Magistris, Fava e Travaglio) che cercava di contrastare lo strapotere verbale di Fazzone era quella del direttore di Latina Oggi, quotidiano locale di proprietà di Ciarrapico, in prima fila nella battaglia contro il malaffare. Ma anche Alessandro Panigutti alla fine è stato sopraffatto dal senatore in odore di mafia ed è stato additato come uno del complotto, manovrato dall'editore Ciarrapico dipinto come un neobolscevico e non già come un vecchio estimatore di Mussolini. Poco ci mancava che Fazzone puntasse il dito contro il suo collega di partito Bocchino, intervenuto più volte per dire che sarebbe stato opportuno sciogliere il comune di Fondi. Alla fine mancava solo la telefonata in diretta di Berlusconi per mettere il sigillo a tutta questa storia surreale ma deprimente, tipica cartina da tornasole della politica italiana impastata nella cloaca massima dell'egemonia mafiosa e oramai incapace di separare, in una sorta di raccolta differenziata delle istituzioni, la cacca dalla cioccolata.

martedì 3 novembre 2009

Fedele, di nome e di fatto...


E' proprio vero: il destino, quasi sempre, combacia con il nome che si ha. I latini dicevano che nomen omen, ovvero che il nome è un presagio oppure il destino è nel nome. E pensando alla vita di Fedele Confalonieri e alla sua settuagenaria amicizia con il presidente del Consiglio Berlusconi non si può non sottolineare la fedeltà alle cose e alle persone dimostrata dall'attuale presidente di Mediaset (nonchè Consigliere di Amministrazione della Mondadori e del Giornale oltre che fidato consigliere di Silvio) nel corso della sua lunga vita. Non mi sorprende, quindi, la lettura di una sua intervista concessa a Claudio Sabelli Fioretti e pubblicata ieri su La Stampa di Torino (http://stampa.ismea.it/Viewer.aspx?Date=Today&ID=2009110214101169) dalla quale si evince, senza troppe difficoltà, quanto lui sia devotamente legato al Pifferaio di Arcore di cui tratteggia (quasi senza pudore) una solenne figura di salvatore della Patria e di benefattore del genere umano, senza neanche la modalità (in uso dalle parti di Cologno Monzese) di dover rispolverare la fatidica formula del milione e mezzo di posti lavoro promessi (e mai mantenuti). Sul versante della giustizia e delle peripezie slalomistiche, tra i paletti del codice penale, che il suo fedele amico ha dovuto espletare, Fedele dice che è stato quasi un atto dovuto: Silvio è stato costretto a cucirsi addosso le leggi ad personam per un unico motivo, per proteggersi. Perchè altrimenti sarebbe finito dentro (arguta intuizione...) e che una volta dietro le sbarre nessuno gli avrebbe più chiesto scusa (ma non credo ci sia in giro qualcuno con questa peregrina intenzione...) e quindi amen. Giusto così, quindi, dal suo versante di fedele fruitore dell'altrui amicizia e dei relativi generosi emolumenti, ricevuti come quasi fossero attestati di stima e non già indicatori consistenti di estratti conto a nove zeri (compresa la virgola). Ma anche per una sorta di vicinanza giudiziaria nei confronti dell'amico Silvio il presidente di Mediaset ha voluto commettere (di proposito o su induzione ancora non si sa) qualche marachella da tribunale: un rinvio a giudizio per frode fiscale (http://www.pupia.tv/notizie/0003067.html) e uno per favoreggiamento riguardo la bancarotta della HDC (http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/cronache/200902articoli/41183girata.asp: così, tanto per non far sentire troppo solo il presidente del Consiglio nella sua annosa battaglia contro le toghe rosse. Anche questo vuol dire essere fedele. Di nome e di fatto.