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giovedì 29 ottobre 2009

Berlusconi & l'uso (criminoso) del telefono in tv


C'è uno strano e morboso rapporto tra il presidente del Consiglio e il telefono. Non sta certo a me sindacare modi e opportunità di utilizzo del mezzo di comunicazione, nel suo privato, da parte del premier (può telefonare a Saccà come alla Gelmini, a Ghedini come alla Carfagna, a Bondi come alla D'Addario e finanche al Gabibbo); posso però infastidirmi (spero mi sia consentito) allorquando verifico il sistematico uso dell'intervento telefonico (in diretta o in differita) di Berlusconi volto a sconfessare, in modo piuttosato goffo e ripetitivo, dichiarazioni e sottolineature di chi non la pensa come lui. La casistica al riguardo è abbastanza ampia e ben fornita: basta andare a rivedersi il famoso intervento dell'oramai lontano 2001 nella trasmissione di Santoro, il raggio verde, (http://www.youtube.com/watch?v=PgUFclMkPhk&NR=1) per misurare la verve dissuasiva del Pifferaio di Arcore nei confronti di chi, a distanza di 13 mesi, sarebbe diventato l'epurato numero 1 della televisione di Stato a causa del famigerato editto bulgaro. E' sufficiente altresì ricordare la recente incursione telefonica nel programma di Vespa, Porta a Porta, durante la quale Silvio fece l'infelice battuta nei confronti della Bindi (http://www.youtube.com/watch?v=HfqmaO1Bu3w). E finire in bellezza con la telefonata dell'altra sera nel programma di Floris, Ballarò, dove ha dimostrato (ma comunque già lo sapevamo) tutta la sua insolente protervia e vergognosa villanità nel voler zittire gli interventi degli ospiti a lui non graditi (http://www.youtube.com/watch?v=6WnuBQcaRb0). Nel corso di questa telefonata Berlusconi ha dato la sua versione riguardo al caso Marrazzo, mettendo in risalto il fatto di aver lasciato libera scelta, all'ex Governatore del Lazio, sul da farsi dopo avergli comunicato dell'esistenza del video incriminato. E mi pare il caso, in questa sede, di mettere in evidenza il comportamento oltremodo differente tra questi due soggetti istituzionali (uno governava una Regione, l'altro governa il Paese), sottolineando che Marrazzo neppure è stato indagato mentre per quanto riguarda Berlusconi parlano gli archivi delle cancellerie dei tribunali. Delle dimissioni di Marrazzo ne abbiamo avuto prova, di quelle di Berlusconi neppure il sentore. E dire che la sua intrusione telefonica nella vicenda dolorosa dell'ex Governatore può essere letta come evidente incoerenza politica e personale. La prima incoerenza riguarda il conflitto di interessi: Berlusconi ha sempre dichiarato che lui delle sue aziende (in primo luogo quelle editoriali) non si interessa e non sa nulla di quello che pubblicheranno i suoi giornali. Lo ha ripetuto anche recentemente a proposito della vergognosa vicenda che aveva visto il Giornale, diretto da Feltri, attaccare violentemente Boffo fino a raggiungere le volute conseguenze: le dimissioni da direttore del quotidiano Avvenire. E allora, se il premier (come dice) si disinteressa delle vicende delle sue aziende editoriali, per quale motivo Signorini (direttore di Chi) ha sentito il bisogno di allertare il suo editore sul famoso filmato di Marrazzo? E perchè Berlusconi si è sentito in dovere di avvisare l'ex Governatore del Lazio, uomo politico non certo amico e men che mai non di sinistra? Resta il fatto, molto grave, che Berlusconi, nel corso della telefonata non certo fulminea (15 minuti) con Marrazzo, abbia rivelato notizie e fatti ancora coperti dal segreto istruttorio che vedevano coinvolti quattro militari della Benemerita. E alla fine della fiera i fatti dicono questo: le quattro mele marce restano in galera, Marrazzo forse resta in convento e l'unico che resta a piede libero è sempre Berlusconi. Ma fino a quando?

domenica 25 ottobre 2009

un trans chiamato desiderio (di vendetta politica)


Non mi sono stupito più di tanto nell'apprendere oggi il voltafaccia (oramai una sorta di sigillo di garanzia) di quello stinco di santo che risponde al nome di Maurizio Gasparri sulla penosa vicenda che ha avuto come protagonista il Governatore (a questo punto da considerarsi ex) della Regione Lazio, Piero Marrazzo. Nelle ore immediatamente successive al fattaccio Gasparri si era lasciato andare a strane e irrituali dichiarazioni di solidarietà e di vicinanza umana nei confronti dell'ex conduttore di Mi manda RaiTre non mancando di augurare una sorta di lieto fine della vicenda esortandolo a non mollare. Oggi, inspiegabilmente, il dietro front: l'autosospensione è illegale, si deve dimettere, dobbiamo andare ad elezioni anticipate. E qui si scopre tutto il reale interesse politico che sta dietro al dramma umano di una persona che dava fastidio (politicamente parlando) in quanto non voleva chinare la testa ed uniformarsi alla pratica del clientelismo e della spartizione consueta della torta milionaria data dalla galassia sanitaria laziale. Non potendolo far fuori con i voti di sfiducia, con le chiassose assemblee di protesta e nemmeno con l'astensione di pochi giorni fa, i pidiellini hanno trovato il modo di scaricare nel modo più brutale e infame (grazie alla solerte collaborazione di quattro mele marce dell'Arma dei Carabinieri di Roma Trionfale) il Governatore Marrazzo. Oltre il danno politico ecco quello sociale, con una condanna di per sè peggiore a cui un essere umano possa essere sottoposto da una società: la vergogna. Fango travestito da pallottole di carta (con tanto di filmini appositamente preparati), pronte a trafiggere gli animi, non solo dei diretti interessati ma anche delle relative famiglie. E questa volta ce ne sono diverse in gioco, sia per quanto riguarda gli arrestati sia per la parte offesa (basti pensare a cosa starà provando la moglie di Marrazzo, la giornalista del TG3 Roberta Serdoz insieme alle sue tre figlie). La storia, comunque, si ripete: da Lapo Elkann a Sircana e poi Boffo, ora Piero Marrazzo. Lo squallido vizietto di scavare nella melma e portare fuori il privato ancora fa scuola, forse fino a quando le stesse cronache non riporteranno il suicidio di qualcuno. Avvenne nel 1992 per Sergio Moroni, e per Raul Gardini nel 1993. Era l'epoca di Tangentopoli e del tintinnìo delle manette dove bastava l’avviso di garanzia per essere già condannati dalla società, prima ancora che da un giudice. Oggi, tre lustri dopo, la musica non è molto cambiata con questo continuo killeraggio giornalistico e televisivo al grido di chi è senza peccato scagli la prima pietra. "E' stata una debolezza privata", si è difeso il Governatore autosospesosi. Quattro carabinieri arrestati, un matrimonio distrutto, una carriera politica da appendere al chiodo, come avvenne già per Cosimo Mele dell’Udc. Chi l'avrebbe mai detto, si staranno ripetendo in tanti in queste ore: proprio lui, proprio Marrazzo che è stato il più degno dei successori di Lubrano alla guida della più nota trasmissione di Rai3. Sì, proprio lui che per anni accusava aziende e truffatori, difendeva i consumatori ed inveiva contro le quotidiane ingiustizie. Come giornalista è stato indiscutibile, perché la professione non muore per un errore. Poi ha scelto la politica, dove ha fatto tagli di sprechi, riordini interni alla Regione. Nell’aprile scorso, durante una presentazione di un libro a palazzo Valentini a Roma, ci fu una vivace contestazione da parte di mamme di ragazzi disabili nei confronti del Governatore del Lazio con cartelloni e foto che parlavano molto più delle parole. Nella riorganizzazione del piano sanitario regionale nei tagli c’erano finiti pure quei poveri ragazzi. Marrazzo tuonò con il suo collaboratore: "...non è andato bene se questi sono i risultati", e giù via a spiegare cosa aveva trovato e cosa aveva fatto, le spese gonfiate e quant’altro. Ultimamente sempre più voci infastidite si rincorrevano nei corridoi della Regione: "Da quando c'è Marrazzo non si può fare più nulla...". Nessun affare, nessun progetto, niente clientelismo. E’ poco? E’ tanto, per un politico è tutto. L’onestà. E Piero Marrazzo una persona onesta lo è. Suo padre, il mitico Giuseppe Marrazzo, gliene aveva lasciata (di onestà) in quantità industriale. L'unica debolezza che mi sento di rimproverare a Piero Marrazzo è quella di non aver denunciato subito il ricatto, senza indugiare e senza essere frenato dalla paura o dalla vergogna. Avesse fatto come David Letterman oggi, forse, scriveremmo di un'altra storia. O forse non scriveremmo proprio niente. Certo, ogni persona ha pregi e difetti, debolezze e virtù, e Marrazzo ne ha come tutti noi. Ma se non avesse mentito in prima battuta, tacciando subito la cosa come "una bufala, una vicenda surreale", forse adesso non si ritroverebbe in questa condizione di perdente e di umiliato. E comunque un giudizio sul suo privato credo che nessuno possa sentirsi in diritto di poterlo dare, nè tantomeno i molti moralisti che riempiono gli scranni di Palazzo Madama o di Montecitorio, perché nessuno è senza peccato e, in genere, chi accusa è sempre peggiore dell’accusato. Quanti politici, tra quelli che reclamano le immediate dimissioni di Marrazzo per andare presto al voto, possono mettere le mani sul fuoco sulle loro sane abitudini sessuali? In pochi credo: le fiamme li divorerebbero. A ben vedere, alla fine di questa triste storia, credo che si possa dire una cosa: non è finita la moralità pubblica. Sta morendo, invece, l’ipocrisia nei costumi sessuali.

giovedì 22 ottobre 2009

la politica al tempo del puttaniere


Ha rinunciato all'incontro con Rania al 'Abd Allah, 39enne regina di Giordania (che proprio bruttina non mi sembra), in visita ufficiale in questi giorni a Roma e la cosa mi pare alquanto sospetta, per non dire paradossale. Uno come lui, abituato a fare apprezzamenti più o meno pesanti alle belle gnocche, che si perde l'incontro ravvicinato di questo tipo. E per cosa poi? Per incontrare il suo caro amico Putin nella bella dacia con favolosa vista sul lago Valdaj e magari per lamentarsi del materasso non proprio ortopedico del lettone a tre piazze regalatogli. Il Pifferaio di Arcore mi sorprende, in negativo, spesso e volentieri: scrivo queste righe con un senso di rabbia mista a rassegnazione, accompagnando il tutto con la sensazione che la politica attuale, quella espressa al tempo del puttaniere, sia solo una grande accozzaglia di interessi personali, di falsità espresse in salsa popolare, di giochini e arrivismi che nulla hanno a che fare con l'interesse di tutti noi, poveri sudditi senza speranza e senza identità. Ed è proprio per questo che la classe politica (e i partiti, indistintamente) vivono una crisi profonda. La gente, quella normale, quella non schierata e non radicalizzata nello scontro in atto oggigiorno, vive con distacco la politica e lo fa con malcelato qualunquismo, con reiterata indifferenza, accentuando caparbiamente una linea di diversità tra sè e chi amministra la cosa pubblica. Molte cose non funzionano e la politica appare incapace, agli occhi di molti, di affrontarle e men che meno di soluzionarle. Molti temi vengono trattati solo con demagogia e pensando prioritariamente agli eventuali effetti mediatici e di consenso. Sembra di vivere in una proiezione di un bellissimo romanzo (Saggio sulla lucidità) dove, in un ipotetico luogo con delle normali elezioni amministrative, la gente non va al mare, non diserta i seggi ma vota tutta scheda bianca. Il governo si interroga, immagina complotti, brogli o atti di terrorismo, emette decreti, pensa che la città cada nel caos, cerca responsabili. Ma al di là di tutto ciò le scuole riaprono, i negozi anche, i bar servono i caffè e la città riprende il suo corso, indifferente dinanzi alla tragedia e a una classe politica che non sa darsi spiegazioni. Verrebbe da chiedersi: può una società civile vivere senza politica? No, non credo si possa immaginare un futuro civile senza chi si prende cura del bene pubblico, che è di tutti e non di qualcuno. Oggi, al tempo del puttaniere, avvengono scontri mediatici epici sulle escort del presidente del Consiglio, su minacce e ricatti personali, su dibattiti volgari e di bassissimo profilo, su scontri interni ai partiti, sulla deligittimazione degli istituti costituzionali, sullo sputtanamento di questo o di quel politico, di questo o di quelo magistrato, giornalista, uomo pubblico e altro ancora. In buona sostanza, esiste un'arena politica che non vede più i cittadini al centro del dibattito ma solo una categoria assolutamente autoreferenziale ed è per questa ragione che i giovani si tengono ben lontani da tutto ciò. E nel frattempo i problemi reali, dai rifiuti alla giustizia, dall’energia alla scuola, dalla sanità ai trasporti non si risolvono. I vecchi sono soli, i giovani impauriti e apparentemente indifferenti, gli imprenditori sempre più soli e costretti a un continuo lavoro di lobbing per difendere le loro imprese, i lavoratori sempre più precari o disoccupati. Nascono estremismi e movimenti demagogici che hanno un'effimera presa su alcuni solo per la crescente insofferenza dei cittadini che si rifugiano nel rifiuto di tutto ciò che sa di politica e nei confronti di tutti i politici. Basta girare per la città, avere una vita sociale e di lavoro normale per avvertire questo clima. Invece, a mio avviso, c'è bisogno di una società civile che si prenda la responsabilità di invadere la politica, che si sporchi le mani, che ci metta la faccia e che cacci la cattiva politica e riporti nelle stanze del potere la buona politica. Pochi principi e molti valori. Niente mignotte e più considerazione per i giovani e per chi crede in un ideale fatto di speranza e di equità, di lavoro e di solidarietà, di partecipazione e di lealtà, oltre che di moralità. Servirebbe un nuovo partito (sì democratico e progressista, ma anche realista) con un programma breve, conciso, possibile e ricco di speranze su cui confrontarsi e che alla prova dei fatti (al voto) raccolga consensi tali da essere in grado di governare. Forse non avverrà mai, forse avverrà dopo il 25 ottobre, forse chissà avverrà quando...Intanto c'è chi sta in dacia e parla magari di pelo e di gas, di molle e di materassi non troppo comodi per la bisogna e se ne strafrega di quelli che ancora attendono un futuro migliore. Un futuro che vorremmo ma che ci sfugge sempre di più tra le dita. mi piacerebbe che qualcuno facesse un appello alla società civile e a qualche politico avveduto: è il momento di scendere in campo, affrontare il futuro e impegnarsi per mettersi a disposizione della cosa pubblica che è una delle più belle opportunità che la politica (ma anche la vita) ci offre.

lunedì 19 ottobre 2009

meno male che Milena c'è


La Milena del titolo di questo post è ovviamente la Gabanelli e non potrebbe essere diversamente. Qui non si tratta della canzoncina dedicata a Silvio, qui si parla di giornalismo d'inchiesta, di professionalità acclarata e di intelligenza fin troppo evidente. Tutte cose che mancano (ma anche questo si sapeva) a molti giornalisti televisivi e direttori di giornali orbitanti nella sfera d'influenza del Pifferaio di Arcore. I nomi sono i soliti, da Belpietro a Sallusti, da Feltri a Brachino, passando per Fede e Vespa. Dicevo, meno male che Milena c'è e ancor di più il suo Report che anche ieri sera ha ripreso un servizio già andato in onda nel marzo scorzo e riguardante la città amministrata per molti anni dal medico personale (nonchè amico intimo) del premier, quell'Umberto Scapagnini già inquisito e dall'aureola nient'affatto lucente. Per chi se la fosse persa ecco la puntata del 15 marzo (http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-6b76e15d-a80b-465e-9531-131a194e030b.html), puntigliosamente ed efficacemente realizzata da Sigfrido Ranucci, uno dei giornalisti di punta della trasmissione di RaiTre. Ieri sera Ranucci è tornato a Catania per vedere come era andata a finire la questione (http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-4f94b734-ba22-4892-98dc-8af1ac969639.html?p=0) e mi sembra che le cose proprio per bene non stiano. Da aggiungere, tanto per tornare sul discorso del vero giornalismo d'inchiesta, che anche un quotidiano non proprio simpatizzante nei confronti del presidente del Consiglio (l'Unità) oggi ha rincarato la dose con un articolo di Nicola Biondo (http://rassegnastampa.formez.it/rassegnaStampaView2.php?id=182271) che non credo riprenderanno nei loro editoriali nè Feltri nè tantomeno Belpietro. Propendo anche per l'ipotesi che Vespa non si affannerà a mettere in piedi una puntata speciale di Porta a Porta sull'argomento, nè che lo farà il suo dirimpettaio Vinci con Matrix. Molto meglio parlare di Cogne e di Garlasco oppure di Striscia e delle veline. Questa è la vera informazione di massa, che fa bene alla salute e agli ascolti e che accontenta soprattutto l'investitore pubblicitario il quale tiene più al risultato dell'Auditel, a favore di plastici e criminologi o di carriere televisiva con culi e tette al vento, piuttosto che a inchieste serie, documentate, allarmanti ma che non interessano i fruitori della verità. Perchè certa verità fa male. E fa paura solo ad ascoltarla. Ma alla fine (e per fortuna) meno male che Milena c'è. E guai se non ci fosse.

venerdì 16 ottobre 2009

ma che schifezza di premier abbiamo in Italia?


Per i lettori di questo blog non è certo una novità il fatto che il sottoscritto abbia dedicato numerosi post alle vicende riguardanti l'attuale presidente del Consiglio. Non starò qui a ripetermi e a sottolineare ancora quanto questa persona provochi in me una sorta di naturale repulsione (fisica e intellettuale) che nella vita non avevo mai provato fin qui. Eppure questa volta vorrei sottolineare la sua profonda cattiveria e la sua dimostrata insofferenza per i rappresentanti della giustizia. La botta ricevuta dalla sentenza del lodo Mondadori (appendice civile di una sentenza penale passata in giudicato di cui è bene ricordare qualche estratto, http://www.ilbarbieredellasera.com/documenti/disponibilitafinanziarieMetta.pdf) ha, se possibile, ancor di più amplificato le sue (già note) peggiori espressioni di laide rimostranze nei confronti dell'ordine costituito e delle regole in generale. Non avrà dormito per alcune notti, si sarà arrovellato il cervello (per quella poca parte rimastagli) alla ricerca di qualcosa che potesse mettere in cattiva (diciamo in pessima) luce il giudice Raimondo Mesiano, quello che in primo grado lo ha condannato al risarcimento di 750 milioni di euro nei confronti della CIR di De Benedetti, e alla fine ci è riuscito. Aveva promesso nel suo penultimo show di fronte agli imprenditori brianzoli: "...ne sentirete delle belle su di lui..." e così ha dato mandato a quell'altro lecchino di Claudio Brachino (fa pure rima) di sputtanare il giudice. E il direttore della testata Videonews che fa? Incarica la migliore (in senso ironico ovviamente) giornalista della redazione, una certa Annalisa Spinoso dal trascorso professionale tale da candidarla per il premio Pulitzer (http://209.85.129.132/search?q=cache:n7b9QfiSW6EJ:www.ateneonline-aol.it/basecurriculumaspi.html+%22annalisa+spinoso%22&hl=it&gl=it&strip=0), di confezionare un bel servizio stile Signorini: telecamera nascosta, pedinamento da 007 dei miei stivali, fermo immagine su espressione poco acconcia del giudice, voyeurismo da Grande Fratello nella barberia dove il giudice, come i comuni mortali, si fa la barba e non tocca certo il culo al barbiere o fa piedino allo sciampista. Bene, accertato questo si segue Mesiano fino ad una panchina e si sfruculia con la telecamera il suo calzino che non è intonato alle scarpe e ai pantaloni e lo si definisce uno stravagante. Poi si torna in studio dove il lecchino Brachino passa la parola ad un altro appecoronato berlusconiano, il condirettore del Giornale Alessandro Sallusti (dalla faccia sembra più un pedofilo con inclinazioni al trans che un giornalista), che ripete la storiella del ristorante e del giudice già sentita ieri sera ad Annozero (http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-7eac459e-b7c4-43f6-a5b8-c2a63bcc3edf.html?p=0). Ora mi verrebbe da dire: ma un proprietario di televisioni come l'attuale presidente del Consiglio, in base anche alla sua presunta deontologia di imprenditore e di uomo di cultura, non sente il bisogno di recarsi negli studi di Cologno Monzese la mattina presto (verso le 8 e 45) e prendere a calci in culo, in diretta tv, il lecchino Brachino? E già che ci sta pure quell'altro bavoso campione di indipendenza giornalistica che risponde al nome di Maurizio Belpietro? No, Berlusconi questa esigenza non ce l'ha, non ne avverte la motivazione di fondo: per lui, anzi, i suoi lanzichenecchi dell'informazione taroccata sono la massima espressione della stampa e della tv esponenzialmente libera; ma che dico libera, di più molto di più. Praticamente il monte Sinai del sapere e della verità. Ecco cosa rappresenta oggi l'azienda del Pifferaio di Arcore. Alla fine mi viene da dire una sola cosa: in Italia, e lo dico seriamente, in questo momento abbiamo la schifezza della schifezza, ma della schifezza dell'uomo e del premier!! Post Scriptum: per chi si fosse perso quella perla di trasmissione del lecchino Brachino, vengo in ausilio con il filmato: agevoliamolo (http://www.youtube.com/watch?v=tYg9JEVSMCA&feature=player_embedded#). Ulteriore aggiornamento sulla professionalità di Brachino: anche le Iene si sono interessati all'attuale direttore di Videonews, con questo servizio andato in onda martedì sera (http://www.youtube.com/watch?v=1T0UurPBPak) che ci ricorda un falso scoop del lecchino nel 2001, quando era vicedirettore di StudioAperto. Dal che possiamo intuire i meriti professionali del nostro eroe televisivo che lo hanno portato a fare una prodigiosa carriera all'interno di Mediaset...

giovedì 15 ottobre 2009

è già un dato di Fatto (Quotidiano)


A tre settimane dal lancio in edicola (con il botto), il Fatto Quotidiano attira sempre più curiosità e qualche invidia. Curiosità per l'indubbio successo non preventivato nella diffusione, invidia per il pericolo che eroda fette di mercato a qualche concorrente. E' comunque un dato di fatto che il giornale dallo stile retrò sia in questo momento una delle voci più ascoltate quanto ad inchieste e servizi su Berlusconi e soci. Non solo: il Fatto si sta distinguendo anche per le critiche all'opposizione (è di stamani in prima pagina l'invito a cacciare la Binetti), il che la dice lunga sul paventato allarme dei soliti noti sulla matrice forcaiola e requirente che avrebbe ispirato la nascita del quotidiano di via Orazio. A parte ciò volevo oggi evidenziare la bella intervista che il direttore Antonio Padellaro ha concesso al giornalista Francesco Oggiano e pubblicato sul sito di Affaritaliani.it che di seguito riporto. Affiancandolo con i miei personali complimenti a Padellaro, a Travaglio e a tutta la redazione del Fatto, augurando loro sempre maggiori successi editoriali e auspicando la loro duratura indipendenza.

Ore 8 del mattino del mattino del 23 settembre: centinaia di edicolanti prendono carta e penna e, servendosi di un pezzo di scotch, incollano un avviso fuori dal loro chiosco: Il Fatto è esaurito. "110mila copie. Ne avevamo stampate tante, ma giusto perché era il primo giorno. E chi se l'aspettava".
Antonio Padellaro è appena uscito dalla riunione di redazione delle 12. Piuttosto rilassato, il nuovo direttore del Fatto Quotidiano cerca di stare coi piedi per terra. I suoi lo pressano per aumentare copie e pagine del nuovo giornale. Dai lettori arrivano richieste di espansione per la distribuzione. "Stiamo calmi. Non è passato neanche un mese dal lancio. Teniamo conto dell'effetto novità. Siamo stati i primi a essere presi in contropiede".
Messi da parte i fuochi d'artificio del primo giorno, a che tiratura viaggiate ora? "La media è sulle 85mila copie. Ma in giornate particolari, come quella successiva alla bocciatura del Lodo Alfano, possiamo toccare anche quota 115mila".
Beh, di che si lamenta? "Di niente. Pensi che il nostro obiettivo per stare a galla erano 10mila lettori. Ma, me lo lasci ripetere, escludo che questo sia un giornale da 100mila copie al giorno. Per averne anche la metà, andrei al Santuario della Madonna del Divino Amore a piedi".
Una bella passeggiata. Che magari le verrà risparmiata dagli abbonati al giornale. 36mila, giusto? "No, sono saliti. Ora siamo a 42mila".
Vi collocate come primo o come secondo quotidiano? "Mhm...".
Qual è il vostro target? "Mah, dai sei ai 70 anni".
Sì vabbè. "In realtà non lo sappiamo. Ci sono i lettori più anziani, che ci raccontano di essere 'tornati in edicola', dopo aver abbandonato i quotidiani. E poi ci sono i più giovani, quelli più internettiani, che ci leggono online. Pensi che il 70% degli abbonamenti sono nella versione in Pdf".
Chi sono, i Travaglio boys? "Eh, più o meno. Negli scorsi mesi ho girato l'Italia con lui e le posso assicurare che c'erano megaraduni di 2-3mila ragazzetti, tutti con i libri di Marco in mano".
E perché comprano Il Fatto? "La mia impressione è che ci sia una forte componente d'appartenenza. Molti ci vedono come un giornale indipendente da qualsiasi potere politico-economico e ci comprano come testimonianza di una loro voglia di libertà".
Andiamo, confessi: a chi sta rubando lettori? "A nessuno! Il bello dei giornali italiani è che tutti sono col segno più! Tutti i quotidiani vantano delle cifre fantastiche, hanno un successo magnifico. Ne siamo molto felici, ecco".
Passiamo alle critiche che vi vengono rivolte. Numero uno, la distribuzione. Siete ancora parecchio assenti al Sud. "E' vero. Ma le anticipo che l'espansione della distribuzione sarà all'ordine del giorno del prossimo Cda dell'azienda".
Prima critica aggirata. Seconda: i refusi. Un giorno c'era un "Abbruzzo" con due b. E dai... "I refusi ci sono, è inutile prendersi in giro. Ma le anticipo anche che ci stiamo attrezzando per prevenirli. Presto chiameremo dei correttori di bozze. E poi, mi perdoni, ma siamo pochissimi".
Immagino. Quanti siete? "Io faccio un giornale con un desk di dieci-undici giornalisti, anche perché eravamo partiti pensando di vendere 10mila copie. Tant'è vero che all'inizio le pagine erano sedici. Ora sono salite a venti. E di qui, nonostante le pressioni che vengono dalla redazione, non mi schiodo".
E perché? "Perché, al momento attuale, non le sosterremmo. Dobbiamo misurare bene le energie, non strafare per non ritrovarci col fiato corto. E poi noi abbiamo un problema enorme. Sa a che ora chiudiamo il giornale?".
Alle 23? "Macché. Noi dobbiamo chiudere per le 21 spaccate. Nei centri di stampa abbiamo una finestra temporale che chiude verso le 22 e 30. Poi bisogna far spazio agli altri giornali, come La Stampa o Libero. Ogni sera ci ritroviamo tutti con la lingua di fuori. E a me stanno saltando le coronarie. Per questo stiamo pensando di sfruttare un terzo centro di stampa, che si aggiungerebbe a quelli di Milano e Roma".
Passiamo alle altre obiezioni: c'è chi trova la grafica del Fatto un po' retrò. "Mah, ce l'hanno detto in molti. Premesso che il nostro Paolo Isidori è uno dei migliori grafici italiani, può darsi che qualche caratteristica, tipo l'uso dei caratteri bastoni nei titoli, possa sembrare un po' pesante".
Eh, un pochino. "Può darsi che, avendo noi immaginato un giornale di nicchia, abbiamo pensato di poterci permettere un design un po' più sui generis. Oggi, con un'utenza più diffusa, potremmo cambiare qualcosa. Non c'è problema".
Quindi, che cosa cambierete? "Mah, io trovo che la prima pagina sia molto pulita. La seconda parte, costituita dalle rubriche e dalle lettere, è anch'essa elegante. Effettivamente pare un po' disordinata la parte centrale, dedicata all'attualità. Ovviamente non per colpa dei grafici, ma di noi giornalisti, che interveniamo, modifichiamo...".
Cito dal Foglio di Giuliano Ferrara: "Il Fatto è l'unico giornale che, quando lo sfogli, tintinna". Definizione cattiva ma geniale, non trova? "Ahahah, guardi: pensavo che il tintinnio si riferisse al rumore del salvadanaio. Perché, vede, in questo momento la nostra è un'impresa molto florida".
Se la ride, eh? "Ma sì, scherziamoci sopra. Poi io sono contrario alle manette, per carità. Mi auguro solo che i delinquenti finiscano in galera". Come tutti. Anche come Beatrice Borromeo. A proposito: molti studenti delle scuole di giornalismo sono incazzati neri e si chiedono: 'Ma come gli è venuto in mente di concedere il praticantato alla Borromeo? "Anzitutto Beatrice ha un co.co.co. E poi io respingo con sdegno queste accuse. Beatrice Borromeo è, due punti virgolette, un'ottima giornalista, piena di idee, desiderosa di imparare e umile. Passa le lettere e scrive di tutto, dalle didascalie alle inchieste. Il 14 ottobre, ad esempio, ha pubblicato un bellissimo pezzo... Ecco, a pagina 7: Come licenziare 2mila persone senza che nessuno se ne accorga. Bene, questa inchiesta la porterei come esempio nelle scuole di giornalismo".
Merita un bel contrattino da praticante, allora. "Certo. Lo annuncio ad Affaritaliani.it: siccome sta dimostrando di essere molto brava, le darò presto il praticantato".
Ormai ha fatto la sua promessa. Io scrivo. "Scriva scriva. E devo dire un'altra cosa: le volgarità contro di lei, provenienti da molti altri giornalisti, sono la prova di cos'è diventato questo mestiere in Italia, sempre più autoreferenziale".
Mmm, leggo un sottile riferimento al dialogo a distanza tra i direttori Eugenio Scalfari e Ferruccio De Bortoli. "Dialogo? A me sembra più uno scambio de' bordate. I giornalisti non devono parlare dei giornalisti. Chi sono io per giudicare i miei colleghi? Chi sono per giudicare la qualità morale o professionale di un Feltri o di un Belpietro? Anche se fanno dei giornali differenti anni luce dalle mie idee, io li rispetto, perché penso che facciano molto bene il loro lavoro. Scambiarsi accuse del tipo 'Tu sei più servo di me', non solo non è giusto, ma è anche poco interessante. Noi giornalisti abbiamo altre storie di cui parlare".
Giusto. Quanto guadagna? "Eh eh eh".
Se non vuole non me lo dica. "No no. Anzi, sono contento della domanda. Io percepisco circa 5.200 euro di pensione al mese. Poi però, siccome dovevo dirigere un giornale, l'Inpgi ha chiesto che avessi almeno un contratto da articolo 1 del contratto giornalistico. Così mi sono fatto assumere e ho chiesto il minimo sindacale".
Quanto? "2.400 euro. Non mi sembra moltissimo, che dice? Ma io credo molto nel progetto e devo dare l'esempio".
Esempio che è stato seguito anche dagli altri? "Sì. Abbiamo chiesto ai nostri giornalisti di accontentarsi del minimo sindacale. Le grosse firme, quelle che venivano da altre testate, si sono accontentate di prendere esattamente quello che prendevano nelle testate di origine. Un atto di generosità, se pensa al rischio che hanno corso".
A proposito di grandi firme: ne ha in mente qualcun'altra da chiamare o qualche progetto in cantiere? "No, nel modo più assoluto. Ora dobbiamo pensare soltanto a consolidarci. Solo a dicembre capiremo veramente cos'è questo giornale. E solo allora saprò o no se fare quella passeggiata".
Quale passeggiata? "Come quale? Ma gliel'ho detto prima: quella al Santuario della Madonna del Divino Amore!".

mercoledì 14 ottobre 2009

Scalfari, De Bortoli & la (presunta) guerra dei giornali


Lo spunto per scrivere questo post l'ho preso da una puntata andata in onda lunedì sera su La7 e condotta da Gad Lerner (http://www.la7.it/approfondimento/dettaglio.asp?prop=infedele&video=31732), dedicata (tra le altre cose) alla cosiddetta guerra dei giornali a seguito della querelle insorta, un pò a sorpresa a mio modo di vedere, tra due pezzi forti del giornalismo italiano: Eugenio Scalfari e Ferruccio De Bortoli, uno fondatore e direttore per 20 anni de la Repubblica, l'altro direttore (o per meglio dire bidirettore) del Corriere della Sera. Non sto quindi parlando dei direttori di Bresciaoggi e Barisera (con tutto il dovuto rispetto alle due testate e ai rispettivi direttori) ma di due tra i più celebrati e influenti giornalisti nel panorama nazionale dell'editoria. Orbene, seguendo la trasmissione di lunedì sera (L'infedele), mi sono reso conto che se non si conoscono i retroscena di quanto accaduto precedentemente alla puntata stessa, non ci si raccapezza poi tanto. Personalmente avevo letto l'editoriale di Scalfari di domenica mattina su Repubblica, e ne avevo anche disquisito un pò sull'altro mio blog proprio nella stessa giornata (http://l-antipatico.blogspot.com/2009/10/scalfari-bocca-due-signori-del.html); successivamente, anche per completezza d'informazione, mi vado a leggere l'editoriale di De Bortoli che aveva suscitato la piccata risposta dell'ottuagenario ex direttore del quotidiano romano e capisco che a volte basta un leggero fraintendimento (o vezzo da prime firme) per precludere di fatto una normale discussione sul merito e sulla sostanza che, alla fine della fiera, determinano giudizi e prese di posizione su Berlusconi e il berlusconismo, sulla stampa e sulla sua presunta libertà. In questa sede non ho voglia di schierarmi, altrimenti finirei per sottoscrivere quanto affermato da De Bortoli in trasmissione con la teoria delle divise e degli elmetti, e visto e considerato che mi reputo un grande estimatore di Eugenio Scalfari preferisco far parlare lui attraverso il suo editoriale di ieri mattina (http://rassegnastampa.formez.it/rassegnaStampaView2.php?id=180810), accompagnandolo con quanto da lui affermato nella trasmissione di ieri sera della Dandini (http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-29bd7226-311d-4939-8cc3-10715f42f5af.html?p=0), non prima di aver sottolineato quanto sia stato scorretto e fazioso il servizio dedicato, alla cosiddetta guerra dei giornali, dal TG1 di Augusto Minchiolini (http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-3d73c1a7-12cd-4aa2-a6d1-7b54bae6c6ef.html?p=10) che non ha dato volutamente spazio all'intervento di Scalfari o di qualcuno che ne rappresentasse il giornale. Per finire questa mia semplice ricostruzione di quanto accaduto in quest'ultima settimana a livello editorial-televisivo, sottopongo all'attenzione di voi lettori il magistrale articolo scritto nel settembre scorso da Barbara Spinelli sul quotidiano di Torino La Stampa (http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=6357&ID_sezione=29&sezione=) che ha dato un pò il via, ideologico ed intellettuale, a tutta la discussione. Se io fossi nella possibilità di farlo, telefonerei a Scalfari e a De Bortoli invitandoli ad incontrarsi e a stringersi la mano. Anche perchè in questa (presunta) guerra dei giornali non c'è stato nè un vinto nè un vincitore. Con buona pace del Pifferaio di Arcore che ha tanta nostalgia del vecchio Corriere dei fastosi tempi di Tassan Din e Di Bella e di tutta la banda dei piduisti capitanati dal suo datore di tessera (n. 1816) Licio Gelli. Post Scriptum: di tutta questa faccenda mi piacerebbe conoscere il pensiero di Enrico Maria Porro (http://pazzoperrepubblica.blogspot.com/) di cui sono un affezionato lettore.

lunedì 12 ottobre 2009

un puttaniere che si sente sputtanato


Mi fa un pò sorridere un presidente del Consiglio che dal palco dell'ennesima festa in suo onore (per permettergli di avere sempre il megafono aperto, come se non bastassero le sue televisioni) agita il solito spettro dell'attacco metodico e voluto nei suoi confronti: quasi fosse una delegittimazione del suo status di rappresentante del popolo italiano. A volte mi chiedo: ma lui ci è o ci fa? Che sia scaltro, furbo e mediamente intelligente non lo devo certo ribadire io; che faccia di tutto per attirarsi sempre di più le antipatie di molti italiani è, a mio avviso, un altro dato di fatto inconfutabile. Con il discorso di ieri a Benevento il premier ha voluto ancora una volta attaccare chi lo censura e chi lo critica (giustamente, a mio modo di vedere), ma nello stesso tempo non ha voluto perdere l'occasione per ribadire una sorta di ossimoro del suo essere, di quello che fondamentalmente lui è sempre stato (fin dai tempi degli stornelli sulle navi da crociera a caccia di pelo): un puttaniere che viene sputtanato. In questo caso dalla stampa estera (http://tv.repubblica.it/italia/berlusconi-la-stampa-sputtana-l-italia/37866?video=&pagefrom=2). Ma è ovvio che non è l'unico caso, visto e considerato la più che consistente campagna di stampa, sia a livello interno che internazionale da lui subìta. E a tal proposito suggerirei al presidente del Consiglio (o almeno a qualcuno del suo capace entourage) la lettura, attenta e non prevenuta, dell'editoriale odierno del direttore de La Stampa (http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna&currentArticle=NNBIV). Alla fine della lettura si dovrà convenire che quanto argomenta Mario Calabresi (che ha fatto il corrispondente in America per svariati anni, sia per il quotidiano torinese sia per la Repubblica) è senz'altro condivisibile in quanto è fuori da ogni ragionevole dubbio che il comportamento personale del premier abbia dato adito, agli occhi di chi guarda dall'esterno, di farsi un'immagine niente affatto edificante di chi ci rappresenta nei luoghi e nei momenti in cui sono presenti autorità internazionali di ben altro lignaggio. E se proprio non bastasse, è opportuno anche leggere il pezzo odierno di Giuseppe D'Avanzo (http://rassegnastampa.formez.it/rassegnaStampaView2.php?id=180548) che, tra le altre cose, ristabilisce la verità storica sul famoso avviso di garanzia e sul voltafaccia dell'epoca di Bossi. Per finire: caro presidente del Consiglio, non se la prenda sempre con i fantasmi comunisti (anche esteri) o con chi ha l'umile pensiero di metter bocca sulle sue condotte morali e materiali; pensi piuttosto a ritornare in sè, a far retromarcia nel gusto e nel modo di agire. Vedrà che ne troverà significativi giovamenti. Almeno per il suo spirito (se vuol guadagnarsi un posto in Paradiso...), se non per il suo irrequieto animo.

sabato 10 ottobre 2009

in lapsus veritas


A volte non c'è bisogno di scomodare Freud e la psicanalisi per decodificare quello che l'inconscio suggerisce in modo naturale. Basta ascoltare un passaggio della conferenza stampa di ieri del presidente del Consiglio per capire tutto ciò (http://www.youtube.com/watch?v=EPBNoaWPIjc&feature=popular). Il lapsus è stato quasi fatale. E' scivolato giù (e infatti lapsus è parola latina che letteralmente significa scivolone) al Pifferaio di Arcore in modo inconsapevole e inconscio, nel bel mezzo della altisonante conferenza stampa di Palazzo Chigi. Inconsapevolmente e inconsciamente ma davanti a tutti: microfoni, commessi, carabinieri, giornalisti, big di governo. Gli è scivolato giù bello e perfetto: «Ho dovuto spendere 200 milioni di euro per consulenti e giudici». Proprio così: bello e perfetto, chiaro, chiarissimo, senza possibilità di equivoci. Gli è scappato, il suo doppio lo ha fregato, il suo avatar si è distratto. Sbigottimento in sala stampa. Brunetta si smarrisce. Ci sarà forse una confessione lì in pubblico, coram populo, Mills e tutto il resto? No no, fremito in sala, voleva dire consulenti e avvocati , si è sbagliato... Ma Freud è spietato, non ci sta. Lui ci ha scritto libri e costruito sopra un'intera teoria. No, non è un errore. Il lapsus non è solo un lapsus: il lapsus è solo apparentemente un errore casuale, perché è il canale inconscio per esprimere pensieri che altrimenti l'io conscio manterrebbe sotto censura. Insomma sarebbe come dire in lapsus veritas (una volta successe anche all'amico Dell'Utri, gli sfuggì "sono un mafioso" invece che "sono un siciliano", strano). In buona sostanza (e non mi correi sbagliare) sarebbe come se al Cavaliere ieri gli fosse scappato di dire la verità. Una volta tanto. Freudianamente. Inconsciamente.

il Win for Life dell'architetto Fontana


Forse non tutti lo sanno, ma proprio nel giorno del dolore in cui si sono celebrati i funerali a Messina di gran parte delle vittime del nubifragio, c'è una persona che ha vinto il suo personalissimo Win for Life: si chiama Gaetano Fontana, ha 58 anni ed è l'architetto scelto dal governo del Pifferaio per dirigere la cosiddetta cabina di regia per la ricostruzione de L'Aquila e dei comuni limitrofi del dopo terremoto (http://www.inabruzzo.com/?p=15798). La cosa curiosa è che l'architetto, senza spendere 1 euro in ricevitoria, si è assicurato l'equivalente di 10 volte la vincita massima del nuovo gioco della SISAL. Il suo numerone portafortuna è stato il Governatore berlusconiano della Regione Abruzzo, Gianni Chiodi, il quale ha caldeggiato fortemente la nomina di Fontana al quale andranno, per l'incarico di commissario dal 1° ottobre al 30 giugno 2010, emolumenti pari a 41.000 euro al mese per nove mesi, che fanno 369.000: quanto cioè incasserebbe un vincitore del Win for Life (con il 10 più il numerone) per i prossimi 8 anni. Un bel colpo, non c'è che dire. A questo punto darei un consiglio spassionato a tutti quegli incalliti giocatori a caccia del numerone: iscrivetevi a qualche scuola serale (anche la Radio Elettra di Torino potrebbe andare bene), conseguite un bell'attestato da architetto e attendete fiduciosi qualche altro bel terremoto. Buona fortuna.

venerdì 9 ottobre 2009

e se fosse davvero un delinquente?


Ieri sera ho seguito l'imperdibile puntata di Annozero dedicata alle verità nascoste (http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-4226b14e-9ecb-4a24-86c1-cb81c4ef5218.html?p=0) con l'ottima intervista di Sandro Ruotolo a Massimo Ciancimino che ha svelato, tra le altre cose, come la famosa storia del papello avesse dato l'incipit a tutta una serie di situazioni che il sottoscritto aveva già trattato sull'altro blog (http://l-antipatico.blogspot.com/2009/01/il-processo-invisibile.html) e che ha fatto capire, tra l'altro, come il grande amico (di vita e di mafia) dell'attuale presidente del Consiglio, ovvero il già condannato Marcello Dell'Utri, sia stato l'anello di congiunzione reale tra gli interessi tipicamente illeciti di Cosa Nostra e gli interessi non propriamente del settore edile nella Milano degli anni 70. Le conferme avute dal racconto di Ciancimino jr. (già di conoscenza della DIA e della Boccassini) hanno ancor più innervosito, per interposta persona che nella fattispecie era Mavalà Ghedini, il premier più perseguitato della Storia, quello che ha subìto più di duemila udienze (alle quali non ha quasi mai partecipato) in ragione dei 100 e più procedimenti giudiziari a suo carico, iniziati però (è bene ricordarlo) quando lui era un palazzinaro e la politica non sapeva nemmeno cosa fosse (se non per i racconti e le filastrocche che gli snocciolava al tempo Bettino Craxi). Politica che lo ha salvato dalla galera, e dal fallimento della Fininvest negli anni 90, con la formazione dal nulla di Forza Italia (grazie al frenetico lavorìo di Dell'Utri) e con la famosa discesa in campo nel gennaio 1994. Ieri sera Di Pietro ha ripetuto un paio di volte che Berlusconi è un delinquente: non è un'accusa, è un dato di fatto. Personalmente sono convinto che il Pifferaio di Arcore abbia commesso più delitti di natura finanziaria (con relative corruzioni) rispetto a quelli che rasentano l'odore di mafia: il solo fatto delle accertate frequentazioni (grazie al solito Dell'Utri e alla buonanima di Mangano) con boss mafiosi del calibro di Stefano Bontate, anche lui passato a miglior vita, non fanno che deporre a sfavore della limpidezza morale del presidente del Consiglio. Che poi si debba aspettare una sentenza definitiva per levare quel punto interrogativo che ho di proprosito messo nel titolo di questo mio post, beh mi sembra il minimo. Comunque, per chi volesse rinfrescarsi la memoria sul passato remoto e prossimo del premier, viene in ausilio un bel filmato tratto da YouTube (http://www.youtube.com/watch?v=FuEpyfYcCe8): come si dice, a pensar male si fa peccato ma quasi sempre ci si azzecca...

giovedì 8 ottobre 2009

Silvio, fai una cosa giusta: dimettiti!


Stavo seguendo ieri pomeriggio la diretta su RaiNews24 quando, poco dopo le 18, ho notato la scritta in basso sul teleschermo che annunciava la notizia tanto attesa: la Consulta aveva bocciato il lodo Alfano. Mi son detto, adesso qualcosa succederà. Ma mai avrei creduto che il rancore e la rabbia politicamente accumulata in questo ultimo periodo, spingesse poi il presidente del Consiglio a fare dichiarazioni e a lanciare invettive e accuse fuori da ogni senso pratico e istituzionale come quelle da lui vomitate fino a notte inoltrata. Ha perfettamente ragione il direttore de la Repubblica quando stamane, nel suo editoriale (http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna&currentArticle=NM1I5), certifica quello che il sottoscritto ha sempre pensato da quando ha aperto questo blog: in 15 anni nessun picchetto d'onore, nessuna prova di governo e nessun vertice internazionale è mai riuscito a trasformare Silvio Berlusconi da leader di una coalizione in uomo di Stato. E mai nessuno ci riuscirà. In genere chi nasce tondo non può morire quadrato. Non basta essere un ottimo venditore di se stesso e delle proprie aziende per farsi accettare dalla collettività come statista riconosciuto. Non è sufficiente gridare al microfono di essere di gran lunga il miglior presidente del Consiglio degli ultimi 150 anni per cercare di far passare questa baggianata. Non sempre funziona il fatto di raccontare barzellette (che poi non fanno ridere nessuno) durante cene conviviali nella propria residenza privata, alla presenza di sottosegretari, mignotte e menestrelli da strapazzo, per riuscire sempre a risultare simpatici e adulati. Il carisma personale e la credibilità politica non si inventano, nè tantomeno si acquistano al mercato degli spot: o uno ce li ha (quasi come un dono di natura) o è meglio rinunciare in partenza. L'intervento (prevedibilissimo) del premier ieri sera nel suo salotto preferito (http://tv.repubblica.it/copertina/berlusconi-15-minuti-di-sfogo-a-porta-a-porta/37770?video) ha ancor di più peggiorato, se possibile, la situazione personale del premier che, davanti agli occhi e alle orecchie sbalordite di quanti seguono il programma di Vespa, ha sfrontatamente chiesto l'intervento del presidente della Repubblica nei confronti dei giudici costituzionali dopo averlo indegnamente attaccato appena uscito da Palazzo Grazioli. Come se non bastasse ha offeso in modo becero una donna (Rosy Bindi) presente nel salotto televisivo e non ha risparmiato tutta quella sua solita sciorinata di frasi truculente contro tutto e tutti, dai comunisti ai giornalisti, passando per toghe rosse e avversari politici forcaioli. Un delirio in piena regola, sintomo irreversibile di una degenerazione neurovegetativa di un uomo al capolinea, di un politico scoppiato, esautorato e depotenziato della materia grigia e della sensibilità morale e politica che un uomo che si professa di Stato (o con ambizioni da statista) dovrebbe conservare come patrimonio personale. Non credo ci siano oramai più dubbi: in un modo o nell'altro qualcuno (in questo caso credo sia meglio glielo dica il popolo) deve farglielo capire che è meglio fare la cosa più giusta e onesta. Quella di dimettersi e di togliersi finalmente dalle scatole.

martedì 6 ottobre 2009

una colletta per il Cavaliere


Una cosa è certa: se davvero, alla fine dei tre gradi di giudizio civili, il presidente del Consiglio dovrà sborsare 750 milioni di euro a favore della CIR di De Benedetti, ci dobbiamo aspettare una legittima sua richiesta d'aiuto. Una sorta di colletta che lo favorisca nella raccolta del quantum necessario ad espiare la pena pecuniaria. Non so quanti lettori di questo blog siano disposti a metter mano al proprio portafogli e a fare questo gesto di caritatevole vicinanza umana nei confronti del premier; consiglio però di dare un piccolo segno di solidarietà sottoscrivendo perlomeno un abbonamento a Panorama oppure a Mediaset Premium e perchè no una sottoscrizione per il terzo anello di San Siro da dove gustarsi le gesta sportive di Ronaldinho. Certo, lo sforzo economico è notevole (in tempo di crisi) ma volete mettere la soddisfazione di ricevere a casa una bella letterina di ringraziamento firmata di suo pugno dal Pifferaio di Arcore? A parte tutto, e tornando seri, questa mazzata del lodo Mondadori ha messo in fibrillazione non soltanto Silvio ma l'intera sua famiglia. Intaccare il patrimonio personale del premier (valutato intorno ai 7 miliardi di euro) è un gesto eversivo che avrà ripercussioni (morali o materiali?) sul giudice Mesiano e sui suoi diretti discendenti, a causa delle prevedibili ritorsioni verbali di tutti i berluscones, unitamente agli auguri di passar a miglior vita (nel minor tempo possibile) espressi dai portavoce e dai capigruppo del Popolo della Libertà. E non dimentichiamoci delle conseguenze economiche che il prossimo divorzio in casa Berlusconi porterà alle casse della Holding di famiglia: nata alla fine degli anni 70, questa Holding (formata da Mediaset, Mondadori, A.C. Milan e Mediolanum) è un pò il cuore della galassia finanziaria che fa capo a Silvio e attualmente (secondo il bilancio consolidato di fine 2008) si registra una posizione finanziaria negativa netta pari a 1 miliardo e 300 milioni di euro. Nelle casse della S.p.A. invece ci sono circa 720 milioni di liquidità che, se impegnati nella restituzione del maltolto del lodo Mondadori, rischierebbe di lasciare Fininvest all'asciutto. Da qui la naturale richiesta d'aiuto del Pifferaio di Arcore (supportata nemmeno tanta larvatamente da Veronica e da Marina e Piersilvio) che in questo momento non mi sento di censurare. Che volete, anch'io (come dice Depardieu in uno spot) tengo 'o core italiano...

lunedì 5 ottobre 2009

le Sturmtruppen delle redazioni


Oramai siamo arrivati al più classico dei paradossi. Scendono in campo le Sturmtruppen delle redazioni, anzi della redazione: quella de il Giornale (e chi se no!) diretto dal famigerato Uffizialen Superioren con gli occhiali, Vittorio Feltri. La cosa potrebbe anche far ridere (ricordando il passato e la nostra adolescenza trascorsa anche davanti all TV di Supergulp o leggendo le strisce di Bonvi) se non fosse che la realtà dei fatti è tremendamente vera: i berluscones stanno gridando allo scandalo, al golpe (basta vedere la prima pagina del giornale del Cavaliere, http://rassegnastampa.formez.it/rassegnaStampaView2.php?id=179005), al sovvertimento dello Stato democratico. E sapete perchè? Perchè una sentenza ha deciso che il Pifferaio di Arcore, diciotto anni fa, si è impossessato illegittimamente della Mondadori sfilandola sotto il naso (e con dolo e relativa corruzione del giudice) al legittimo proprietario, Carlo De Benedetti. Basta leggersi la sentenza (http://download.repubblica.it/pdf/2009/sentenza-fininvest-mondadori.pdf) e farsi un'idea; basta rileggersi la cronistoria (http://www.misteriditalia.it/tangentopoli/processo-imi-sir/LevicendeImi-SireLodoMondadori.pdf) e rinfrescarsi la memoria. Due semplici passaggi per sapere di cosa si sta parlando. Ma questo non è sufficiente perchè l'Uffizialen Superioren di cui sopra, indossato l'elmetto (con precauzione, in modo da non spettinarsi), si è messo alla testa della sua sgangherata armata Brancaleone di fedeli pennivendoli e questa mattina ha cominciato a bombardare (http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna&currentArticle=NKUWB) i poveri lettori ignari o dimentichi del passato. Ma quel che è peggio è che il Sottotenenten di Komplementen, tale Luca Fazzo, definisce debole la sentenza del giudice monocratico Raimondo Mesiano (http://www.ilgiornale.it/interni/attacco_premier_fininvest_pronta_ricorso_e_cicchitto_in_piazza_contro_colpo_mano/05-10-2009/articolo-id=388247-page=0). Ora, non per dire, ma vorrei ricordare ai miei lettori che Luca Fazzo scrive per il quotidiano padronale dopo essere stato un ottimo cronista giudiziario a la Repubblica, dopo aver seguito gli anni di Tangentopoli e ultimamente le scalate dei furbetti del quartierino (Fiorani, Fazio, Gnutti, Coppola, Consorte e compagnia cantando); fin qui niente di male, ognuno è libero di fare il voltagabbana e cambiare bandiera giornalistica, ma occorre anche ricordare che il buon Luca Fazzo è amico più che intimo di Giuliano Tavaroli (condannato con il patteggiamento per la spy-story di Telecom) ed è stato a libro paga di Marco Mancini (pezzo da novanta del vecchio SISMI del generale Pollari), arrestato per il rapimento di Abu Omar e attualmente sotto processo a Milano (il pm Spataro ha chiesto per lui 10 anni di reclusione), ma soprattutto conviene sottolineare che Luca Fazzo è stato sospeso per 12 mesi dall'Ordine dei Giornalisti (http://www.odg.mi.it/node/30184). Insomma, l'Uffizialen Superioren ama circondarsi (dopo il caso Betulla di Renato Farina e il re di Calciopoli Luciano Moggi) di tanti bei soggetti che hanno nel loro DNA tutti i giusti sintomi di cieca obbedienza e fedele appartenenza alla causa di servizio: quella per la quale le Sturmtruppen delle redazioni sono state messe in piedi. Difendere il Capo, costi quel che costi. E negare, negare sempre. Anche di fronte all'evidenza. Tanto la memoria storica non abita in questo Paese.

sabato 3 ottobre 2009

strategia dell'intimidazione


Oggi dovrebbe essere una giornata di riflessione e di solidarietà umana per le vittime dell'apocalisse scatenata dalla natura (e dall'abusivismo delle costruzioni) nella provincia di Messina. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha detto bene, ieri, quando sottolineava che piuttosto di opere faraoniche (implicito riferimento alle manie di grandezza del Cavaliere e del ponte sullo Stretto) il nostro Paese ha bisogno di interventi seri che riguardano la sicurezza con un piano che prevenga altri disastri idrogeologici. Tutta la stampa nazionale (non ci si crederà ma persino il Giornale lo ha fatto) stamani ha dato ampio risalto al tragico avvenimento e alle parole del Presidente. Ma, tanto per cambiare, qualcuno doveva farsi riconoscere e così Libero (nel nome, non nella realtà) e il suo direttore, campioni di civiltà e di indipendenza politica ed ideologica (dicasi Maurizio Belpietro), se ne sono usciti con due righe scritte sopra la testata, quasi come fosse una manchette pubblicitaria. Ma oggi è anche la giornata della manifestazione in difesa della libertà di stampa e di opinione ed è l'occasione (non unica e spero non rara) per far capire a chi continua a manovrare la sua personale strategia dell'intimidazione, attraverso i propri lautamente pagati pennivendoli, che non riuscirà a colonizzare il pensiero del popolo italiano (almeno di quello che non l'ha votato) nè a ridurre all'impotenza la libera espressione della stampa italiana a lui non asservita e sottomessa. Non ci riuscirà perchè come dice Roberto Saviano (http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=search&currentArticle=NK0P4) è la forza della parola, e del pensiero aggiungo io, che può permettere di cambiare uno stato di cose. Uno stato di cose determinato dalla ostinata e vergognosa volontà di un premier che non vuole render conto al Paese delle sue azioni e delle sue evidenti difficoltà morali e materiali, nate da qualche scappatella sessuale che possono adombrare, però, possibili scenari di ricattabilità e di ridotta credibilità e autorità per guidare il Paese. Il direttore del quotidiano che per primo ha avuto l'ardore e la spudorata facoltà di rivolgere delle domande al premier, oggi scrive in prima pagina che stiamo vivendo una preoccupante anomalia (http://newrassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna&currentArticle=NKFNF) che sembra quasi non interessare nessuno e che anzi viene sempre più negata dai tromboni di regime, ancora persi dietro agli attacchi scriteriati nei confronti di Michele Santoro (http://rassegnastampa.formez.it/rassegnaStampaView2.php?id=178581) piuttosto che intenti a erigersi martiri della censura e paladini della stampa e della libertà di opinione (http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna&currentArticle=NKF6Y). Meno male che la pubblica opinione, quella dotata di discernimento e facoltà cognitive, riesce ancora a capire e a riconoscere chi parla a vanvera e chi invece si attiene solo ai fatti (http://tv.repubblica.it/dossier/10-domande/io-non-rispondo-il-docu-film/37530?video). Altrimenti altro che manifestazione per la libertà d'informazione. Ci ritroveremmo tutti allo stadio, come ai tempi di Pinochet. E non certo per vedere giocare il Milan...

venerdì 2 ottobre 2009

Silvio B. a Palazzo Grazioli (senza escort)


Per una volta tanto gli sfarzosi saloni della residenza privata del presidente del Consiglio sono rimasti desolatamente vuoti, senza nemmeno l'ombra di una ragazza immagine. Di escort nemmeno a parlarne, di fisioterapiste men che meno. Addirittura non c'era manco Apicella. Silvio si è dovuto accontentare, ieri sera (secondo i bene informati), della non certo eccitante presenza di Niccolò Mavalà Ghedini e di Gianni Letta. Non proprio il massimo, ma di questi tempi il premier ci va cauto. Immagino il naturale nervosismo e le dovute imprecazioni uscite dalla forbita bocca del Cavaliere, non è stata certo una serata facile: dover vedere in diretta televisiva l'altra faccia della D'Addario (dopo aver conosciuto quella più interessante nel lettone di Putin) e sentire soprattutto che la signora barese confermava tutto, compreso che lui era a conoscenza del lavoro di lei, non credo gli abbia fatto un bell'effetto. Sebbene avesse smosso mari e monti per impedire (attraverso avvertimenti, azioni legali, messaggi in codici trasversali) la presenza della D'Addario ad Annozero, nonostante l'incontro carbonaro avuto nel pomeriggio con quei galantuomini di Maurizio Belpietro e Bruno Vespa volto a cercare di imbastire una controffensiva mediatica contro la escort, fatto sta che il Pifferaio di Arcore si è dovuto arrendere e assistere impotente (mi si passi l'eufemismo dialettico) all'evento della serata che ha catalizzato l'attenzione davanti alla tv di 7 milioni e passa di italiani, incuriositi o forse desiderosi di imparare le tecniche di acchiappo di un presidente del Consiglio che non deve mai chiedere quella cosa lì a una donna, perchè gliela danno spontaneamente. E adesso che succederà? Ci sarà un'altra epurazione bulgara per uso puttanesco della televisione pubblica pagata con il canone dei cittadini e non già con le marchette di lusso di escort di vario tipo? O forse ci sarà una par condicio televisiva che permetterà anche a Vespa di ospitare gigolò e trans che racconteranno le ultime prestazioni avute con sottosegretari e portaborse del Popolo della Libertà? Staremo a vedere. Per il momento, comunque, non è andata a finire tutto a puttane. Almeno così sembra...

giovedì 1 ottobre 2009

il lato oscuro (e molto desiderato) della D'Addario


Non credo che questa sera su RaiDue, poco dopo le ore 21, l'ospite tanto agognata e pubblicizzata degli ultimi tempi possa mostrare liberamente quanto si vede nella foto a corredo di questo mio post. Il lato B di Patrizia D'Addario, in verità davvero notevole, è stato visto (e ampiamente usato) dal presidente del Consiglio in almeno un'occasione, a Palazzo Grazioli, in quel comodo lettone a tre piazze made in Putin e per il momento tutti i detrattori di Silvio (ma anche i suoi lecchini) possono solo sbavare per l'invidia, non potendo disporre dello stesso abbagliante oggetto del desiderio. Forse questa sera, se non avrà altre incombenze amorose, anche il Pifferaio di Arcore si gusterà la puntata di Annozero di Michele Santoro dall'esplicito titolo No Gianpi, No Party (http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-4b2a60ef-9c7e-4d03-9c86-1bc286cbf452.html?p=0), nella quale la pluri intervistata (meno che in Italia) escort barese potrà raccontare la sua verità su Tarantini, le serate a base di sesso e coca e finalmente ci potrà ragguagliare sulle misure del pene di Berlusconi, perchè alla fine della fiera quello che gli italiani (o meglio, le italiane) vogliono sapere è se ancora ce l'ha e se soprattutto funziona. Per evitare ciò giornali (i soliti) e politici (sempre i soliti) stanno cercando preventivamente di censurare l'avvenimento televisivo che, prevedo, questa sera farà il boom di ascolti. Addirittura anche Tarantini ha diffidato, tramite i suoi legali, la RAI dal mandare in onda l'intervento della sua protetta (parliamoci chiaro, lui non è un imprenditore: è un protettore), mentre Cicchitto, uno di quegli invidiosi di cui scrivevo prima, manda lettere al CdA di viale Mazzini (http://www.repubblica.it/2009/10/sezioni/politica/rai-5/primo-ottobre/primo-ottobre.html) accludendo il suo biglietto da visita, con preghiera di farlo recapitare alla D'Addario. Che volete, così va il mondo. Siamo tutti peccatori...

su gentile richiesta di Rossaura


Una mia carissima amica lettrice e commentatrice (Rossaura), tra l'altro ottima blogger (http://laltrametadelcielo.wordpress.com/), ha gradito il post di ieri dedicato alla Carfagna e mi chiede se ho notizie circa le case acquistate "dall'altro nanetto governativo". Arguendo si riferisca al ministro bonsai Renato Brunetta, sono andato a rispolverare un'inchiesta scritta da Marco Lillo (lo stesso dell'inchiesta sulla Carfagna) su L'espresso del 13 novembre 2008, in collaborazione con Emiliano Fittipaldi, che qui ripropongo (http://espresso.repubblica.it/dettaglio/che-furbetto-quel-brunetta/2049037//1). Come dire, il moralizzatore della Pubblica Amministrazione, il fustigatore dei fannulloni (e non), il rivelatore delle cospirazioni contro lo Stato ad opera dell'èlite di emme, è anche una sorta di furbettino del mattoncino (a leggere la lista delle sue proprietà immobiliari) da far invidia ai palazzinari storici dall'unità d'Italia ad oggi. Mi viene il sospetto che il ministro bonsai volesse emulare (e possibilmente superare) le indubbie doti di costruttore e cementificatore già evidenziate in passato dal Pifferaio di Arcore, perlomeno a titolo di possessore. L'invidia è proprio una brutta bestia.

le omissioni di Augusto Minchiolini (e del suo TG1)


Questa mattina devo fare un post monumento ad un giornalista de la Repubblica, per il semplice motivo che si è sacrificato per la comunità immolandosi davanti allo schermo televisivo per seguire (spero per lui che qualcun altro lo abbia aiutato) le 150 edizioni del TG1 delle ore 20, mandate in onda da quando Augusto Minchiolini ha assunto la direzione del telegiornale più seguito dagli italiani. Il nome del giornalista eroe di Repubblica è Carmelo Lopapa, 37 anni, palermitano, laureato in Giurisprudenza; dopo due anni di praticantato avvocatizio in Sicilia ha preferito la redazione isolana di Repubblica nella quale è entrato nel 1997. Si è trasferito a Roma successivamente e dal 2006 è notista parlamentare, dalla cui esperienza ha scritto il libro Sparlamento (http://www.unilibro.it/find_buy/findresult/libreria/prodotto-libro/autore-carmelo_lopapa_.htm). Per tornare al mio personale ringraziamento a Lopapa vi propongo il suo reportage sul TG1 e Minchiolini di stamani (http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna&currentArticle=NJMYG) e lo voglio accompagnare con l'editoriale, sullo stesso argomento, di Giuseppe D'Avanzo (http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna&currentArticle=NJMU5) che rafforza indubitabilmente la teoria di Lopapa sulle omissioni del direttore del TG1, noto leccaculo del presidente del Consiglio. Per motivi di autoreferenzialità vorrei anche ricordare ai lettori di questo blog due miei interventi del passato sull'argomento Minchiolini (http://tpi-back.blogspot.com/2009/06/minzolini-loscuramento-pro-caimano.html e poi http://tpi-back.blogspot.com/2009/06/la-linea-editoriale-di-augusto.html), così tanto per completezza d'informazione. Piccola nota a margine: dopo aver ripercorso tutta la storia dell'Augusto direttore vorrei far presente a Vittorio Feltri (autore insieme alla Santanchè della campagna ridicola per l'abolizione del canone RAI) che un ottimo motivo per non pagare la tassa non è la trasmissione di Michele Santoro ma solo e soltanto per la presenza mistificatoria di Minzolini sulla poltrona (usurpata) di direttore del telegiornale più seguito (ahimè) dagli italiani. Che magari adesso, dopo aver letto Lopapa, D'Avanzo e forse il sottoscritto, decideranno di seguire qualche altro tiggì...