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giovedì 16 luglio 2009

il premier & la casa di vetro


Se fosse possibile ignorare del tutto quel che accade (e che è accaduto) dentro le mura della residenza del premier, se fosse possibile non sapere quasi nulla dell’uomo politico (se non quel che riguarda il bene comune e che appartiene alla res publica), se fosse possibile omettere delle sue notti o delle sue vacanze, delle sue barche o delle sue tribali parentele, nulla neanche del suo credere o non credere in Dio, ritengo che il tutto sarebbe consolante.
Sono dell'idea che secoli di pensiero politico e filosofico hanno cercato di delimitare l’ambito in cui l’uomo è animale politico, per salvaguardare qualche pezzetto almeno di indistruttibile intimità. Oggi quel che il sovrano fa nella camera da letto o nelle camere da letto è affare della nazione.
Il politico che oggi si lamenta di questa degradazione farebbe bene a meditare quello che ha fatto e come l’ha fatto, perché si giungesse a tale baratro e perché le pareti della sua personale dimora smettessero di esser fatte di pietre e si trasformassero in lastre di vetro, trasparenti al mondo. L’imperatore che si mette in scena nudo, sarà nudo sempre. E necessariamente dovrà sopportarne gli infortuni. È spogliato in partenza, prima ancora che il bambino lo scorga e dica: «È nudo».
Son tutte cose che non riguardano l’agorà, a meno di non sapere più in cosa precisamente consista lo spazio separato di conversazione cittadina che secondo Aristotele fonda la civiltà e che i barbari non possiedono.
Goethe ebbe parole giuste, quando descrisse chi portava la corona senza sapere quel che portava: «Perchè mai, come una scopa, un tale re viene spazzato via' Fossero stati veri re, tutti sarebbero ancora indenni». Quel che accadeva dentro le regali mura casalinghe, nell’ancien régime, invadeva ormai ogni interstizio: i tic e i vezzi di Luigi XVI, le peripezie sentimentali di Maria Antonietta…
L'attuale premier è entrato in politica assumendo in pieno la fusione tra privato e pubblico: nella vita personale come in quella degli interessi aziendali. Vide che l’aria dei tempi era questa, ed era aria possente a destra e a sinistra. Aveva radici in molte culture e anche in quella degli Anni Sessanta, nel grande rimescolamento di generi e nella grande fusione tra ribellione politica e personale che animò lungamente i movimenti contestatori, le donne femministe, e i tanti giovani che correvano trafelati e proclamavano che il privato era pubblico e il pubblico privato. Egli fiutò quel vento, ci costruì sopra un suo immaginario televisivo, e cominciò la politica come i monarchi descritti da Goethe: mettendo in scena vistosamente la propria famiglia. e sulla famiglia si gettò anche ideologicamente, trasformandola in supremo valore italiano e in colonna d’un nuovo ordine morale. Non importavano le contraddizioni personali, né i valori che cozzavano contro la pratica: non contano d’altronde mai, nella volontà di potenza che si sfrena. Una volta privatizzata la politica, per forza di cose il privato diveniva kitsch: immagine politico-pubblicitaria che imbellisce la realtà.
Berlusconi è il più grande privatizzatore della politica in Occidente. Altri si son ritratti inorriditi dopo aver suscitato lo spettro, come avvenne a Sarkozy e a Clinton. Lui no, il privato è come l’avesse divorato e forse addirittura non c’è mai stato posto nella sua mente per l’idea di pubblico. Non è questione solo della sua famiglia. Anche quando governa preferisce il recinto personale ai luoghi delle istituzioni: è nel recinto che riunisce ministri, convoca oppositori, nomina dirigenti Rai. Praticamente tutto si cucina a Palazzo Grazioli. È significativo che la dimora romana del premier si sia metamorfizzata in Palazzo per eccellenza. Seppur con le pareti di vetro.

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