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sabato 25 aprile 2009

chiamiamo le cose con il loro nome


Non si può certo stravolgere il significato di una festa importante, di una ricorrenza così sentita come quella del 25 aprile, con il semplice giro di ruota delle parole e cambiare in un battibaleno la parola Liberazione con la parola (oramai marchiata a fuoco, purtroppo, dal Pifferaio di Arcore) Libertà come ha proposto, senza un minimo accenno di vergogna, nel suo discorso il premier a Onna. E così si è riaperta la discussione sul 25 aprile come festa di tutti gli italiani. Mi corre l'obblico di ribadire ancora una volta che il 25 aprile è la festa della Liberazione dal nazifascismo, in cui si festeggia la vittoria dell'antifascismo contro l'oppressione dei negazionisti della libertà: senza questa vittoria in Italia non vi sarebbe la democrazia. Il 25 aprile è quindi la festa in cui si ricorda e si ribadisce che l'antifascismo è il fondamento della democrazia e del vivere civile nel nostro Paese. In altri paesi europei la sconfitta del nazifascismo è stata principalmente un fatto militare, di eserciti. In Italia è stato un fatto politico, di popolo, che in nome dell'antifascismo ha contemporaneamente sconfitto la dittatura fascista e ha posto le basi per la democrazia costituzionale. L'antifascismo è a tutti gli effetti la religione civile del Paese, il punto fondante della possibile convivenza democratica tra diverse ipotesi politiche. L'antifascismo è la base materiale della democrazia nel nostro Paese. Il 25 aprile è una festa nazionale, il presupposto della nascita della Costituzione repubblicana, proprio in quanto festeggia la vittoria dell'antifascismo sul fascismo. La festa del 25 aprile è quindi diventata in Italia una festa di parte semplicemente perché gran parte degli esponenti politici che oggi governano il Paese non si riconoscono nei valori dell'antifascismo. Larga parte della destra (e segnatamente il Pifferaio) si è sempre rifiutata di dichiararsi antifascista perché si pone politicamente e moralmente in continuità con il fascismo. Al massimo, su un terreno di equidistanza tra fascismo e antifascismo. Nella lotta di liberazione la grande maggioranza dei dirigenti del PdL sarebbe stata schierata con Salò o sarebbe rimasta alla finestra a guardare come andava a finire. Proporre il 25 aprile come festa di tutti, compresi i La Russa e gli Alemanno, vuol dire svuotare il 25 aprile della sua essenza antifascista per trasformarlo nella festa dell'unità del ceto politico presente nell'attuale parlamento. Una sorta di unità nazionale dei trasformisti. Non a caso l'invito a partecipare a questa festa al Caimano è venuto dal PD, in particolare dal suo segretario che più improvvida iniziativa non poteva prendere. Il tratto saliente del centrosinistra negli ultimi venti anni è stata il costante espianto delle proprie radici, attuato sostituendo all'antifascismo l'unità nazionale. Mentre la parte maggioritaria della destra ha coltivato e per certi versi costruito e reinventato la propria tradizione, rifiutandosi pervicacemente di tagliare i ponti con il ventennio fascista. Mentre Zapatero rivendica le sue radici nell'esperienza della repubblica spagnola del '36, mentre Chirac preferisce perdere le elezioni piuttosto che allearsi con Le Pen, in Italia la destra di governo non ha confini di separazione con il neofascismo e il centrosinistra fa di tutto per scoprirsi orfano. Contro questo anacronistico abbraccio bipartisan, contro il trasformismo della sinistra moderata, mi sembra giusto sottolineare, in questa giornata, che il 25 aprile è la festa dell'antifascismo e non può quindi essere una festa condivisa.

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