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domenica 22 marzo 2009

la Fiamma s'è spenta...


Non so voi, ma io proprio non riesco a commuovermi come fa Gianfranco Fini di fronte all'ultima flebile fiammella di AN che si sta spegnendo lentamente al termine del congresso romano. Non si squaglierà (come pomposamente titolava ieri in prima pagina l'occhialuto Vittorio Feltri su Libero) ma di certo da oggi la Fiamma non c'è più. L'ultimo congresso di Alleanza Nazionale si era aperto sulle note di "meno male che Silvio c'è"e il coordinatore Ignazio La Russa si era sentito in dovere di rispondere in via ufficiale: «Sarà l'Inno di Mameli ad aprire il congresso, cantato da un coro di voci bianche». Puro e duro insomma, nel segno di quel partito in grisaglia che Gianfranco Fini ha modellato a sua immagine e somiglianza. Tanto da aprire uno spazio a destra per gli italiani che ancora coltivano fiamme e fiammelle nel loro reliquiario personale. La Destra di Storace ringrazia, e ringraziano anche le piccole realtà neofasciste che nel corso di questi anni sono uscite dai sotterranei della storia e si sono fatte vedere in giro. A sua volta il presidentissimo Fini non può che salutare senza rimpianti gli ex camerati del MSI nel suo viaggio politico che porta fino a Strasburgo. Al Partito popolare europeo. Certo, la nostalgia c'è. Anche per l'antico ardimento perduto. Fini è politicamente obbligato a rassicurare i colonnelli: «Confluire nel Popolo delle libertà non significa che bisognerà dire signorsì». Dalla teoria alla pratica il passo sarà lungo (a mio avviso forse impossibile da percorrere), visto e considerato che il signore e padrone del Popolo delle libertà è un fisiologico amante della cultura aziendalista. In altre parole quando il Pifferaio di Arcore decide, si fa come dice lui. Un presidente, c'è solo un presidente che non ha bisogno del congresso di Forza Italia per stabilire la road map verso il PdL. Un PdL che, a occhio, lo eleggerà conducator per acclamazione. In parole povere il nuovo caudillo meneghino. Anche perché altri candidati all'orizzonte non se ne vedono. Nemmeno le forme. «Non saremo succubi di Forza Italia», spiega il presidente della Camera. Saranno un corpo e un'anima. Quest'ultima incarnata dal caimano, naturalmente. Del resto grazie al Pifferaio i giovani arditi di Almirante sono diventati importanti, più di quanto essi stessi avrebbero creduto. A riprova, l'incontro tra il presidentissimo Fini (attuale terza carica istituzionale della Repubblica) e gli ex camerati di una volta è una riunione di alti rappresentanti delle istituzioni e degli enti locali. C'è il ministro della Difesa Ignazio La Russa, il capogruppo dei senatori delle libertà Maurizio Gasparri, il ministro dei trasporti Altero Matteoli, il ministro per le politiche comunitarie Andrea Ronchi, il sindaco di Roma Gianni Alemanno. Nessuna donna, e questa è una vecchia abitudine (nonchè vizio). Da Fiuggi a Roma ci sono meno di 100 km (83 per la precisione): Fini e AN di strada ne hanno fatta molta di più. E sono pronti per il prossimo salto. Verso l'Europa. C'è un palco a forma di ponte alla Nuova Fiera di Roma, il ponte verso il PdL, il ponte verso Strasburgo. Ma non finisce sotto un ponte AN, semplicemente smette di esistere per volontà superiore. Quella del caimano e del suo delfino Fini. Il reggente Ignazio La Russa parla ai 1.800 delegati in apertura dell'assise e prima degli altri big della destra. Ma l'intervento più atteso è senz'altro quello di Gianfranco Fini, nella tarda mattinata di questa assolata domenica di inizio primavera. Fini non si candida per i prossimi anni ad una infruttuosa guerriglia di contrapposizione con l'incontestato leader del partito che nasce: il premier, per chi ancora non l'avesse capito. Il perchè è semplice: molto si può rimproverare al giovane delfino di Almirante ma non il fatto che sia un politico di razza e di lunghe vedute. Una destra formalmente elegante, di governo, questo vuole il presidentissimo, questo otterrà dal suo popolo. Così come a Fiuggi chiese ai missini di «lasciare la casa del padre con la certezza di non farvi più ritorno», Fini sprona la destra ad andare verso il PdL senza difendere nicchie minoritarie, ma allargando, includendo, avvicinando anche chi è estraneo al progetto con proposte ed idee. Altro che corrente di AN nel Popolo delle Libertà. «Non preoccupiamoci dell'identità della destra, ma dell'Italia dei prossimi 20-30 anni», è stato del resto il messaggio della vigilia al partito, dal bianco salotto di "Porta a Porta". Un Paese conservatore, di destra, dove i treni arrivano in orario e il conflitto sociale non c'è più. In fondo non è che la realizzazione, quasi vent'anni dopo, di quell'andare oltre il Polo prospettato da Pinuccio Tatarella. E ancora prima, azzarderà qualcuno al congresso, dal leader missino Giorgio Almirante quando lanciò la Destra nazionale in doppiopetto. Perché il pantheon di AN verso il PdL resta questo: Almirante, Tatarella, Fini. Il resto è bene conservarlo gelosamente nel cassettone di casa. «Probabilmente mi commuoverò (e così infatti è stato), c'è sempre un cuore oltre al cervello», confessa Fini prima dell'ultimo soffio sulla fiammellina modello Italgas di AN. Tanto quella vera è a Predappio e nessuno può impedire ai futuri elettori del PdL di andarci in pellegrinaggio ogni anno. Perché oltre al cervello c'è anche il cuore, l'ha detto pure Fini. E al cuore, si sa, non si comanda. Invece al Pifferaio si obbedisce...

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