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sabato 20 dicembre 2008

l'uomo che comprava i sogni


Dieci anni (di reclusione) non si negano a nessuno. Figuriamoci al cavalier Calisto Tanzi, l'uomo del bidone (finanziario), l'uomo che ha infranto i sogni, di ricchezza tramite il risparmio, di migliaia di famiglie italiane con i famosi "bond" rivelatisi carta straccia. Il crollo si verificò alla fine di dicembre 2003. Un mese prima, il 21 novembre, sette analisti finanziari su quattordici consigliavano alla clientela di «comprare» le azioni della società Parmalat, mentre 2 suggerivano di «tenere» le azioni stesse e solo 5 di «vendere», almeno un po'. Al contrario dei metereologi quanto al clima, gli analisti finanziari influenzano l'andamento materiale della loro scienza. Gli analisti hanno infatti un ruolo importante perché orientano le banche e gli investitori istituzionali. Pesano sulle scelte: comprare, tenere, vendere. E' assai probabile che gli analisti ne sapessero di più; ma le informazioni erano a disposizione dei clienti di rango superiore, di banche predilette. I pareri degli analisti dovevano servire agli investitori istituzionali basandosi sulle migliori informazioni disponibili. Tutto fasullo, tutto privo di ogni attendibilità, per non dire di peggio. Essi sono consegnati alle cronache di Parmalat e del Parlamento italiano; fanno parte della documentazione presentata dall'allora governatore della Banca d'Italia, Antonio Fazio, alle apposite commissioni di Camera e Senato, nel corso di un'indagine conoscitiva su «sistema delle imprese, mercari finanziari e tutela del risparmio» già nel gennaio del 2004, poco dopo lo scoppio dello scandalo. Per non cadere, il capo indiscusso e sostanziale padrone di Parmalat, Calisto Tanzi, doveva pedalare sempre più forte. Però pedalava nella neve, anzi nel fango e gli occorrevano sempre più forze per restare in sella. Tanzi finanziava la politica allargata, cioè una parte consistente di personaggi influenti con seguito e potere nei palazzi romani e parmensi. Intorno ai politici vi era un sottobosco di gente di spettacolo e di sport, affaristi e burloni, insomma un certo numero di cortigiani, legati a esponenti con voce in capitolo e richieste esorbitanti. Ma anche Tanzi era diventato potente tra i potenti; e il ruolo gli piaceva. Le spese sontuose andavano oltre ogni immaginazione; ma non si poteva tornare indietro. Serviva sempre più denaro e quindi un giro d'affari più spettacolare, allargato. Il sostegno politico ora non occorreva più solo per avere vantaggi produttivi nell'alimentare, ma in ogni situazione aperta. Dallo sport al turismo, passando per il credito. Uomini della Parmalat entravano nelle banche locali, potenti banchieri davano consigli decisi a Tanzi e ai suoi. Un banchiere interessato alla sopravvivenza di un quotidiano in difficoltà, suo cliente, convinse Tanzi a sottoscriverne un pacchetto di azioni. Tanzi eseguì, ma il giornale gli rimase del tutto estraneo. E lui al giornale. Avevano solo un banchere in comune. L'Italia era piccola per Tanzi; come gli altri grandi dell'alimentare tricolore (Barilla e Ferrero). Occorreva puntare sull'Europa, sul mondo. Inoltre serviva un continuo spettacolo, per sostenere la quotazione delle azioni in Borsa. Gli acquisti di società estere non furono tutti equilibrati. Anzi, quasi nessuno lo fu. I prezzi pagati sbalordirono la concorrenza. Si scese a battaglia con le case più forti, per esempio con la Nestlè nel settore del latte in Amerca latina, con piani ambiziosi e irresoluti. In Italia si inventò il latte fresco a lunghissima conservazione e l'acqua di rubinetto minerale o mineralizzata. Erano invenzioni sostenute dalla politica. Si lasciarono dietro una scia di sconcerto e di multe. All'estero, per sostenere il proprio standard di multinazionale trionfante, Parmalat fu costretta a comprare grandi imprese fatiscenti. Con il risultato di raggiungere alla fine del 2002 un fatturato consolidato di 7,6 miliardi di euro per un quarto realizzato in Italia; «quasi due terzi provenivano da mercati extra europei. I dipendenti erano 37.000, circa 4.000 dei quali in Italia» (Fazio 27 gennaio, Senato della Repubblica). Le società del gruppo erano 213, in 50 Paesi (30 in Italia). Le banche avevano preteso che Parmalat emettesse delle obbligazioni; e in circolazione ce ne erano per 7,7 miliardi di euro. Quando venivano a scadenza era necessario emettere nuove obbligazioni a tassi sempre peggiori. Vendere qualcosa era impossibile, sia per la debolezza del mercato, sia per la necessità di manifestare sempre un successo dopo l'altro. Così Parmalat puntò su un fondo di 3,9 miliardi di euro in tasca a una società del gruppo dal nome fatidico Bonlat, con sede alle isole Cayman. Ma per un antipatico equivoco tra Tanzi e i banchieri, c'erano le isole, c'era Bonlat, ma di soldi neanche l'ombra. Fu un equivoco tropicale; o una truffa in comunella? I dieci anni, comminati all'uomo che comprava i sogni, stanno lì a dimostrare qualche cosa.

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