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domenica 30 novembre 2008

e bravo Brunetta!


Da un pò di tempo l'onda anomala anti-fannullone del Brunetta pensiero si è stranamente acquetata. Non ci sono più proclami e resse giornalistiche intorno al ministro della Funzione Pubblica. Non ci sono più tornelli ministeriali da immortalare con telecamere e flashes concordati, insomma pare che il momento mediatico che aveva fatto del ministro bonsai una sorta di mito sia passato. E allora, quale migliore occasione per far un regalino ai propri Brunetta boys senza che si sappia troppo in giro? Detto fatto. Il ministro Brunetta passerà pure per «mitico», grazie alla lotta ai cosiddetti fannulloni, ma per compiacere il proprio staff e quello del Presidente del Consiglio Berlusconi non guarda in faccia a nessun criterio di merito, ci mancherebbe altro. Ed infatti nei giorni scorsi ha firmato un accordo sindacale che aumenta stabilmente di ben 600 euro al mese lo stipendio dei 3 mila dipendenti della presidenza del consiglio (tra i quali sono inclusi anche quelli del ministero della Funzione pubblica, quello guidato dallo stesso Brunetta, che in realtà è un semplice dipartimento dell'ufficio del premier). E a fronte della generosissima erogazione (tantopiù in tempi di crisi e di licenziamenti di centinaia di migliaia di precari) cosa chiede l'uomo simbolo della produttività? Un enorme aumento di efficienza, ben due ore di lavoro in più a settimana: arrivare a 38 ore rispetto alle precedenti 36, mica pizza e fichi. I 600 euro esistevano già, ma non erano per tutti: rappresentavano la «indennità di specificità organizzativa», una sorta di erogazione accessoria per particolari funzioni, e sono la media tra un minimo di 350 e un massimo di 900 euro. Il ministro Brunetta adesso quel salario accessorio lo ha «stabilizzato», facendolo passare dall'integrativo al contratto nazionale (speciale per la Presidenza del Consiglio, guarda a volte le coincidenze...). E lo ha generalizzato a tutti i 3 mila dipendenti, con l'unica condizione che accettino di fare 2 ore in più a settimana. Nella direttiva che con solerzia ha inviato all'Aran per perfezionare la contrattazione, spiega che c'è anche la possibilità di rimanere a 36 ore: ma francamente sarà difficile trovare qualcuno che non si «sforzi» di farne 38. Insomma, c'è chi a fronte di otto ore in più al mese, arriverà a prendere anche 900 euro aggiuntivi (pari allo stipendio di un precario); ma anche se ricevesse soltanto il minimo di 350 euro non gli andrebbe proprio male. Il principale firmatario del contratto è la Snaprecom (sindacato autonomo della Presidenza del Consiglio), mentre la Cgil non è rappresentata al tavolo contrattuale, e dunque non ha partecipato nella definizione del profilo della nuova «casta» di filiazione brunettiana. E tanto per fare del sarcasmo ministeriale, c'è già chi la chiama «indennità tornello». Proprio Brunetta aveva scelto di propagandare l'istallazione dei tornelli a Palazzo Chigi, facendosi fotografare mentre passava il badge con una mano e con l'altra faceva sorridente la «v» di vittoria. Mentre Berlusconi, dal canto suo, annunciava che tutti i bar vicini sarebbero falliti, dato che sarebbe stato più difficile concedersi la classica pausa caffè da «fannullone» impenitente: «Avranno pensato di introdurre così l'indennità tornello - commenta il segretario FP-Cgil Carlo Podda - A parte gli scherzi, aumenti così possono pure andare bene, ma se andassero ugualmente a tutti i lavoratori del Paese, e non solo a 3 mila. Tutti gli altri devono accontentarsi dei 70 euro lordi erogati dal recente Protocollo Brunetta. Mi verrebbe da dire a Cisl e Uil: rivendichiamo insieme quei 600 euro per tutti». Passando a un altro scandalo, nel disegno di legge Brunetta in discussione al Senato, si stanziano ben 1,2 milioni di euro per la retribuzione annua dei quattro membri dell'«Authority del merito», quella che dovrebbe stilare le «pagelline» di produttività dei vari uffici pubblici. Ben 300 mila euro di stipendio all'anno cadauno; o 25 mila euro al mese, che poi sono il lordo annuale di un normale dipendente pubblico. E non basta: Brunetta si è fatto riservare ulteriori 500 mila euro per il generico capitolo «consulenze». Altri privilegiati, per ora ignoti, con contratti a più zeri. Il ministro, se tiene alla trasparenza come dice, pubblichi l'elenco di queste consulenze. Allora sì che si potrà dire che Brunetta è un ministro "con merito"...

sabato 29 novembre 2008

braccia sottratte all'agricoltura


Certe volte avere la testa dura non paga. La smodata cocciutaggine dimostrata dal figlio del ministro delle Riforme (nonchè leader riconosciuto del Carroccio) nell'inseguire pervicacemente un pezzo di carta che ne attestasse l'idoneità a fregiarsi del titolo di "maturo", ha rasentato la ridicolaggine. Per non dire altro. Renzo Bossi è uno di quei casi conclamati di braccia sottratte all'agricoltura, alla dura vita nei campi, al nobile esercizio della raccolta dei pomodori o del grano. Piuttosto che insistere con la commissione giudicante del Collegio Arcivescovile Bentivoglio di Tradate, in provincia di Varese (noto feudo leghista), dove Bossi junior ieri mattina ha ripetuto da privatista la parte orale della maturità, l'interessato (che non si è presentato di persona a guardare il tabellone, che peraltro conteneva solo il suo nome di bocciato per l'ennesima volta) avrebbe potuto sfruttare una di quelle innumerevoli inserzioni sui giornali specializzati di ricerca e offerta lavoro. Campi incolti bisognosi di lavorazione e di attenzione, coltivazioni di patate, mais o broccoli e quant'altro offre la natura generosa sono sempre a disposizione per il riccioluto figlio del fedele servitore del cavaliere. Non è nemmeno da scartare l'ipotesi di un impiego in una delle aziende collegate all'universo multimediale del Pifferaio di Arcore. Che so, un posto come gruista nella società di cartellonistica stradale pubblicitaria o un decoroso impiego come scaricatore di materiali standistici alla nuova Fiera di Rho o finanche un più che valido posto come centralinista a Palazzo dei Cigni di Milano 2. Insomma tutto fuorchè l'ennesima prova come studente pseudomodello, intestardito sui libri di testo alla ricerca della giusta coniugazione di verbi e predicati e complementi oggetto di cui il buon Bossi junior non sembra fare eccessivo sfoggio o padronanza. Le sue braccia paiono più che buone e attive (al contrario, ahimè, del padre), idonee quindi per un lavoro più manuale che di concetto. D'altronde, esser figlio di politico non sempre è sinonimo di garanzia di riuscita nella società moderna. Ma i campi sono e resteranno sempre a disposizione. Perchè non approfittarne?

mercoledì 26 novembre 2008

più precari di così!


C'è chi la valanga recessiva di cui ha parlato Guglielmo Epifani nei giorni scorsi l'ha già presa in pieno. Sono i precari, gli atipici. I primi ad essere espulsi, messi fuori, licenziati e senza nemmeno l'ombra di un "ammortizzatore sociale". Come dire che cadono senza cuscini, senza un reddito in grado di alleviare la caduta. C'è chi sta dando l'esempio. È la Brembo, l'impresa di Alberto Bombassei, il vicepresidente della Confindustria. Ha dichiarato la volontà di cacciare 240 tra somministrati (un tempo si chiamavano interinali, ovverosia in affitto) e assunti con contratti a termine. È solo l'avamposto di una lunga catena. Ha informato "Conquiste del lavoro", quotidiano della Cisl, che nella sola Lombardia sono oltre 1200 i contratti di questo tipo non rinnovati da luglio ad oggi. L'elenco, sotto il titolo "E a soffrire di più sono i precari" contiene nomi illustri: Iveco, Candy, Bosch, B-Ticino, Eutelia, Engeneering, Otis, Innse, Nokia, Siemens, Ocean, Moto Guzzi, Riello, Mivar... e chi più ne ha più ne metta. Che fa il governo di centrodestra? È giusto sostenere le banche e le imprese, specie quelle piccole. Ma con che finalità? Per permettere la cacciata dei precari? Sarebbe davvero una beffa. Per i cacciati lo stesso governo sembra propenso a studiare, invece, qualche mancia, una mini cassa integrazione. Nello stesso tempo sta dando i suoi frutti una norma ammazza-precari che impedisce il reintegro nel posto di lavoro a chi ha denunciato violazioni contrattuali. L'asso nella manica governativa consiste, inoltre, nella detassazione del lavoro straordinario. Come se chi è licenziato potesse fare gli straordinari e guadagnare di più. Oltretutto la stessa Banca d'Italia, non la Cgil, ha spiegato come tale misura non faccia che aiutare la riduzione dell'occupazione. Lo stesso discorso sui nuovi contratti che dovrebbero premiare più alti livelli di produttività, appare un po' paradossale alla luce dello sconquasso in atto. Una valanga come quella che si profila merita proposte alternative incisive. Merita anche uno sciopero generale per sostenerle. Il sindacato di Epifani dice di sì. Non si può assistere inerti a quanto avviene. Uno sciopero, però, per parlare al governo, non per eccitare patriottismi d'organizzazione e per incrementare i propri tesserati. Cisl e Uil hanno per ora orientamenti e disegni diversi. La loro convinzione è che il conflitto non aiuti, mentre al contrario aiuta il "dialogo", anche se spesso è tra sordi. Inseguono così l'idea di un sindacato partecipativo. Non serve però, in tali frangenti, agevolare chi come il centrodestra mira alla divisione. Divisione delle forze politiche di opposizione e dei sindacati. Questi ultimi possono riconquistare un ruolo autorevole solo se uniti. Come hanno saputo fare in passato quando le divisioni "ideologiche" erano ben più aspre. E intanto i precari stanno alla finestra e sperano. In che cosa non si sa, ma comunque sperano...

lunedì 24 novembre 2008

stitichezza governativa


Non me lo aspettavo, ma in un certo senso lo temevo. Il famoso provvedimento della "social card" quasi miracolosa che da tempo il governo (in particolar modo il Gatto & la Volpe, ossia Berlusconi & Tremonti) andava sbandierando come fosse il rimedio di tutti i mali, passati presenti e futuri, alla fine si è rivelato una sorta di flop, mediatico e sociale. Dare una carta prepagata da 120 euro ai pensionati per il periodo natalizio, per aiutarli nel difficile compito di destreggiarsi tra gli scaffali dei supermercati, o in farmacia, alla ricerca del prodotto meno caro da acquistare (considerando l'esiguità della pensione percepita), mi sa tanto di presa in giro. E nemmeno tanto bonaria. E non basterà di certo "aumentarla" nel 2009 erogando 40 euro ogni mese, come fossero vincite al Superenalotto. Il Gatto & la Volpe hanno radunato i giornalisti con l'aria di chi doveva dare la notizia del secolo, quella che avrebbe fatto il giro del mondo. In realtà un minimo di vergogna li ha fatti desistere dal calcare troppo la mano su questi eccezionali ritrovati del loro ingegno, messo a disposizione della causa sociale italiana. Ripeto, io al posto loro mi vergognerei di questa stitichezza social-governativa: vorrei vedere Berlusconi jr. con la social card in mano per le vie di Portofino o di Porto Rotondo offrire alla sua compagna Silvia Toffanin la spesa al discount o la pizza a taglio non potendo disporre dell'American Express di platino. Sarebbe una bella esperienza da fare, istruttiva e socialmente edificante per chi non sa nemmeno come fare a spendere i soldi suoi e di papà. Ma tornando alla stitichezza governativa dimostrata con la presentazione odierna delle scelte fatte per combattere la crisi economica, mi auguro con tutto il cuore che qualcuno dell'opposizione (non necessariamente Di Pietro) riesca a trovare nel minor tempo possibile la giusta dose di Guttalax istituzionale per permettere al Gatto & la Volpe di andare tranquillamente (e comodamente) in toilette nei prossimi giorni, dimostrando così di aver brillantemente superato la stitichezza alquanto indisponente di questo periodo. Non dovesse funzionare il Guttalax credo che l'unica soluzione praticabile sarebbe quella di consegnare Berlusconi & Tremonti nelle mani dei pensionati italiani (quelli che percepiscono la minima): ci penserebbero loro a farli andare di corpo...

domenica 23 novembre 2008

Simone Baldelli, sconosciuto ma indispensabile


Nella variegata e poliedrica composizione della Casta, ci sono anche personaggi non propriamente conosciuti dal grande elettorato ma effettivamente indispensabili alla causa politica del partito cui appartengono. E' il caso di Simone Baldelli, 36enne romano laureato in Scienze Politiche, il più giovane consigliere mai eletto alla Regione Lazio. Nel 1998, a soli 26 anni, Baldelli ricopriva il ruolo per nulla trascurabile di coordinatore nazionale del Movimento giovanile di Forza Italia. Attualmente ricopre il ruolo di "sentinella del Popolo della Libertà". Ed è presto spiegato. A lui basta un'occhiata per fare rapidamente un calcolo: quando vede che i banchi della maggioranza, a Montecitorio, sono mezzi vuoti, lui comincia a parlare, a parlare, a parlare. Non smetterebbe mai. D'altronde, gli argomenti non gli mancano mai. Riuscirebbe a discettare su qualsiasi tema pur di consentire ai suoi colleghi del PdL di far rapidamente rientro nell'aula di Montecitorio per pigiare il bottone e votare. E' grazie alla sua abilità che spesso la maggioranza è riuscita a evitare clamorosi scivoloni, come non manca mai di sottolineare Roberto Giachetti, il suo dirimpettaio del Partito Democratico. I loro duelli verbali sono delle autentiche gag nel grigiore dei resoconti parlamentari. A Baldelli tocca infatti l'arduo compito di impedire che la maggioranza di centrodestra vada "sotto" nelle votazioni e la presidenza del gruppo le sta studiando tutte per tentare di persuadere i suoi deputati a fare i deputati: dalla multa di 10 euro da devolvere in beneficienza, alla pubblicazione dei dati sulle presenze (Brunetta docet). Nell'attesa, lui si esercita nell'arte oratoria. A sinistra un tempo esisteva la "frusta", in genere il parlamentare più anziano ed esperto. Famoso nel PCI era Mario Pochetti: non guardava in faccia nessuno e senza tanti complimenti richiamava all'ordine perfino i "big", andandoli a scovare addirittura in bagno, nell'esercizio delle loro funzioni "fisiologiche". Oggi, grazie agli sms, l'ordine del "tutti dentro" arriva quasi in tempo reale. Nel frattempo ad intrattenere l'aula ci pensa il giovane Baldelli che, a differenza della vecchia "frusta", ha nientepopodimenoche il rango di vicepresidente con delega dell'aula: di fatto è il numero tre del principale gruppo parlamentare. Niente male per un semisconosciuto carneade della politica. La sua specialità è quella di prendere sempre la parola prima che la votazione venga indetta, giusto in tempo per far riempire i banchi della maggioranza. Ovviamente lui è il più presente. Dall'inizio dell'attuale legislatura sarà mancato sette volte: tutte giustificate. Occhialini trendy, fisico atletico, faccia da ragazzo perbene, nonostante la sua giovane età il Parlamento per lui non ha segreti: sa come si scrive una mozione e come ci si comporta con emendamenti e sub emendamenti. Conosce tutte le tecniche legislative e anche i trabocchetti parlamentari. Il colpo d'occhio non lo dà soltanto all'aula, ma anche alla bouvette o al cortile di Montecitorio dove si radunano i fumatori: sa che spesso i deputati di opposizione spariscono dall'emiciclo per poi, con un blitz, ricomparire al momento giusto e votare. Del resto Baldelli è cresciuto in quella formidabile scuola politica che è il Partito Radicale. E anche se è deputato da soli tre anni, bazzica Montecitorio fin da ragazzo: aveva 21 anni quando ha calpestato per la prima volta il pavimento del Transatlantico. Nato socialista, al dissolversi del PSI per l'effetto Mani pulite, Baldelli è approdato al partito di Pannella che del primo governo Berlusconi era alleato. Poi, alla rottura, è rimasto con Forza Italia diventando assistente parlamentare del gruppetto Marco Taradash - Elio Vito - Giuseppe Calderisi - Benedetto Della Vedova che non seguì Pannella nell'uscita: con loro ha imparato a destreggiarsi tra i tecnicismi parlamentari. E' con Scaloja coordinatore di Forza Italia che fa però il grande salto, diventando nel 1998 coordinatore dei giovani azzurri. Da quel momento ha cominciato a lavorare con tutti i "big" di Forza Italia, da Paolo Bonaiuti a Sandro Bondi. Di Berlusconi si definisce il collaboratore perfetto: "Non lo cerco mai, quando mi capita di parlarci non gli chiedo nulla e quando sta con me lo faccio pure divertite", racconta il novello comico del ventunesimo secolo. Esilaranti sono infatti le sue imitazioni, da Tremonti a Prodi: "Berlusconi dice che faccio benissimo tutti, tranne lui ovviamente". Con il premier condivide però un'altra passione: il canto, quello da piano bar (e le donne, presumo). Oltre al fatto che tutti e due hanno studiato dai Salesiani. Nato ai bordi della periferia romana, figlio del ceto medio impiegatizio, frequentatore di sale giochi dove da studente si rifugiava per giocare con la sua amata stecca, a Baldelli il pallino per la politica è venuto sui banchi di scuola e l'esordio è stato quello del perfetto politico della prima Repubblica, con tanto di corso alla scuola di formazione quadri "Walter Tobagi". Una laurea in Scienze Politiche all'Università di Urbino, qualche viaggio studio negli USA e nel frattempo l'impegno politico. Esercitato anche attraverso la collaborazione con L'Opinione, il quotidiano diretto da Arturo Diaconale, sul quale per anni ha pubblicato le vignette satiriche. nel 2000, a soli 28 anni, viene eletto nelle file forziste al consiglio regionale del Lazio. Poi nel 2006 il salto a Montecitorio: "Ero così emozionato all'idea di sedere nei banchi di Nenni e Berlinguer che partecipavo a tutte le sedute, anche a quelle del lunedì dove in genere non si vota mai". Secchione al punto giusto (suo è il manualetto del perfetto parlamentare distribuito ai novizi della pattuglia del PdL di questa legislatura), gran lavoratore e pure di bella presenza: la carriera di Baldelli sembra oggi essere destinata a mete ancora più ambiziose. Nella nazionale parlamentari di calcio gioca nel ruolo di mediano, ma in quella della politica sta studiando da centravanti. Senza però sgomitare, come ha sempre insegnato la vecchia scuola radicale. "Sei il nostro Ronaldinho", lo ha appellato giorni fa un vecchio volpone forzista come Gioacchino Alfano. Lui sorride e nel frattempo parla, parla, parla...

sabato 22 novembre 2008

non sottovalutiamo la Carfagna


Incuriosito dall'anticipazione della Bignardi nella puntata di venerdì scorso, ieri sera ho disdetto tutti i miei impegni (galanti e non) e mi sono piazzato comodamente seduto in poltrona per seguire l'imperdibile e attesissima intervista al ministro delle P.O. Mara Carfagna su La7 nel corso del programma Le invasioni barbariche (http://www.la7.it/approfondimento/dettaglio.asp?prop=invasioni). Una Carfagna leggermente più sexy e meno monacale delle ultime apparizioni televisive (tipo Matrix o Questa Domenica) con camicetta di raso nero aperta ma non scollata eccessivamente, gonna nera appena sopra il ginocchio che con l'accavallarsi delle gambe scopre quanto basta, calze nere tipiche da notte di sesso sfrenato e relative scarpe con tacco a spillo. Ultimo tocco civettuolo tipicamente femminile: le unghie laccate rosso fuoco. Non male come look per una ex calendarina prestata alla politica, con l'aspirazione da ministro della Repubblica che lascia il segno e con la voglia da scrittrice che vuole contendere a Vespa i lettori da salotto televisivo. Il faccia a faccia con la Bignardi è scivolato via con indubbia leggerezza mediatica e con meno spigolosità televisiva rispetto alle recenti uscite catodiche. La bella salernitana ha sciorinato le sue idee marcatamente filoberlusconiane con evidente modus da scuola del biscione, controllando nei gesti e nel tono della voce l'effetto classico di chi "buca" lo schermo, tanto in voga nei palinsesti del caimano. La Bignardi stoicamente ha cercato di opporre resistenza giornalistica e televisiva, ma a volte la scaltra e sexy esponente del PdL (e futura portavoce) è riuscita a sovrastarne la carica carismatica tipicamente da anchor woman. Dei suoi inizi politici la Carfagna ha ribadito che sono stati alquanto difficoltosi e gravati da un certo tipico pregiudizio maschilista nei confronti del gentil sesso che si affaccia sul palcoscenico del potere. L'essere stata sottovalutata come Berlusconi e Reagan (all'inizio della loro rispettiva discesa in campo) non fa che accrescerne i meriti per la sua ostinazione nell'entrare in politica e per la sua genuflessa propensione ad accondiscendere i voleri del suo mentore di Arcore. Far capire al mondo che i suoi valori sono la Patria, Dio e la famiglia (e Berlusconi) vale quanto rinunciare ad un nuovo calendario o ad uno spogliarello in diretta tv a reti unificate (quelle del biscione, s'intende). Il nuovo corso carfagnano è oramai cominciato e a vele spiegate punta dritto al porto sicuro e comodo della prossima donna segretario del PdL, dopo l'abdicazione forzata che avverrà giocoforza per età anagrafica o per causa post mortem. Morale della favola: non sottovalutiamo questa bella rappresentante del Popolo della Libertà con lo sguardo leggermente spiritato (o allupato, a seconda di come la si guarda) e con il fisico prorompente tipico della escort alto di gamma che non deve chiedere mai. A parte, forse, il tipo di prestazioni.

un caleidoscopio di nome Maurizio


Come incipit di questo post che mi accingo a scrivere uso un personalissimo ricordo di qualche tempo fa. In qualità di giovane conduttore radiofonico di una semisconosciuta emittente privata romana, vengo incaricato dal direttore della testata giornalistica di contattare e possibilmente intervistare quello che era considerato il re delle interviste, colui il quale aveva inventato il talk-show, l'uomo dello sgabello, l'uomo senza collo della camicia con i baffi: in una parola dovevo incontrare Maurizio Costanzo. A distanza di anni conservo ancora gelosamente quel nastro magnetico (attualmente convertito su cd) contenente la mia intervista ad uno dei miti viventi del giornalismo (e non solo) che nel lontano 1985 mi intrattenne piacevolmente per una mezzoretta dietro le quinte del Teatro Parioli, disquisendo di televisione, di carta stampata (l'unico suo vero cruccio fu il fallimento alla direzione de l'Occhio nel 1980) e di cinema, piuttosto che di politica e di teatro, svariando da un tema all'altro con la leggiadrìa e la intelligente consapevolezza di una farfalla alla ricerca del nettare della vita. Da questo ricordo personale sono ritornato alla realtà dell'altra sera quando Giovanni Minoli ha dedicato uno speciale de La Storia siamo noi al poliedrico giornalista, conduttore, sceneggiatore e chi più ne ha più ne metta. Una puntata che ho seguito tutta d'un fiato (http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/pop/schedaVideo640480.aspx?id=598) e che mi ha fatto riscoprire, ancora una volta, l'uomo che incarna perfettamente un caleidoscopio di arguta intelligenza, bonaria predisposizione allo sfottò e sorniona curiosità nei confronti del mondo. Costanzo ha davvero attraversato la storia degli ultimi quarant'anni della radio e della televisione; ha riscoperto (e ha fatto riscoprire) il gusto dell'intervista unica e plurima, del confronto delle idee senza trucchi e senza inganni, coinvolgendo a pieno titolo il pubblico (in sala o davanti al teleschermo) quasi sempre partecipe ed entusiasta. Quello stesso pubblico che ne ha decretato il successo, più che meritato, frutto di anni di lavoro certosino e mai banale. Un lavoro che dovrebbe essere additato come vero esempio (per le nuove generazioni di giornalisti figli del web e delle nuove tecnologie) di scuola della comunicazione, di scienza delle opinioni a confronto, di modello di caleidoscopio umano che risponde al nome di Maurizio Costanzo.

martedì 18 novembre 2008

il premier burlone


Cosa vogliamo di più dalla vita! Non possiamo proprio lamentarci. Abbiamo il presidente del Consiglio più simpatico, scherzoso e burlone che ci potesse capitare. Vuoi mettere la scanzonata allegria e giovanile ilarità di Berlusconi raffrontati con l'espressione seria e castigata (proprio come un parroco di campagna) e con la poca voglia di scherzare di Prodi? Ma figuriamoci, non c'è confronto. Ed è comprensibile che una Merkel o un Sarkozy, un Bush o un Putin preferiscano cazzeggiare con il premier burlone piuttosto che annoiarsi con i discorsi intrisi di rigore economico e priorità comunitarie del Professore bolognese. E che due palle! D'accordo che la politica (soprattutto quella internazionale) è una cosa seria, va bene che la situazione economica planetaria è disastrosa e che il futuro non promette nulla di buono, ma almeno non facciamoci mancare un bel cucù del nostro presidente del Consiglio nei confronti della giovincella cancelliera tedesca e la vita ci sorriderà. Che dire, francamente sono stupito, sorpreso, quasi sconcertato dalla vitalità e dalla fantasmagorica verve messa in campo dal cavaliere, immune oramai non soltanto per effetto del "Lodo Alfano" ma anche (soprattutto) per imperscrutabili e misteriosi "effetti gerontologici" che lo fanno sembrare un ventenne (come dice lui) a cui hanno dato per sbaglio la carta d'identità di un settantenne. E che addirittura nemmeno i malanni in volo transoceanici riescono a minare, nè nel fisico nè tantomeno nello spirito, visto e considerato che riesce con uno scatto felino a ritroso a nascondersi dietro alla colonna del monumento della piazza per fare cucù (come i bambini) alla sua compagna di giochi innocenti (tralascio per doveroso senso dell'educazione la facile e scontata rima...) che apprezza divertita e ricambia affettuosamente. E poi c'è ancora qualcuno che osa criticare il nostro presidente del Consiglio. Che ingrati...

domenica 16 novembre 2008

la (mala)giustizia & la (mala)politica




Chissà quante volte avrete letto, ascoltato o visto di persona schegge impazzite e frammentate di giustizia, amministrata (male) in nome del popolo italiano, e di politica esercitata (altrettanto male) in nome e per conto degli elettori italiani. Un connubio a volte strettamente collegato, tra i due poteri, a volte lacerante (e lacerato) per i conflitti di interesse e altro non sempre comprensibili per chi, come il sottoscritto, vive e lavora nel Paese che a volte sembra essere il Bengodi e a volte la Repubblica delle banane. Contraddizioni e sfumature che lasciano i più (ma anche i meno credo) basiti e quasi sempre indignati, proprio perchè a certe manifestazioni di ingiustizia, di arroganza, di protervia e di prevaricazione non ci si può abituare, nè tanto meno accondiscendere. I due episodi di questa settimana che, a mio modesto avviso, sono la cartina di tornasole di quanto sto scrivendo sono: 1-la sentenza del processo ai 29 funzionari e rappresentanti delle forze dell'ordine chiamati a rispondere della cosiddetta "macelleria messicana" svoltasi il 21 luglio 2001 a Genova alla scuola Diaz; 2 - l'elezione (per così dire) del presidente della Commissione di Vigilanza sulla Rai e le conseguenti dichiarazioni di quella specie (effettivamente mal riuscita) di rappresentante dell'elettorato italiano, o per meglio dire di parte di esso, che risponde al nome di Maurizio Gasparri (al riguardo consiglio vivamente la lettura dell'articolo di Giovanni Valentini su la Repubblica di venerdì, http://www.partitodemocratico.it/gw/producer/dettaglio.aspx?id_doc=64426) . Sul primo punto l'indignazione, lo scandalo, la rabbia e la conseguente impotenza di fronte ad una sentenza per metà assolutoria sui gravissimi fatti del G8 parlano da soli. A parte gli azzerbinati berlusconiani (che sono regolati per parlare solo quando il cavaliere gira la manopola) la stragrande maggioranza dei commentatori e operatori dell'informazione (non dico della sinistra, ma semplicemente quelli dotati di un minimo di materia grigia) ha censurato l'assoluzione effettivamente vergognosa con la quale i piani alti della polizia, del ministero dell'Interno, dei carabinieri e di quant'altri coinvolti nei fattacci di Genova sono usciti indenni dal processo-farsa. Ci domandiamo ancora se e come funzioni la giustizia in Italia? Secondo me non servono tavole rotonde, nè seminari nè tantomeno congressi internazionali per determinare che la giustizia in Italia non esiste. Se vogliamo essere ottimisti possiamo affermare che esiste una copia stropicciata e illeggibile della Giustizia con la G maiuscola, regolarmente disattesa quando si tratta di punire i potenti, sorprendentemente efficace e presente quando si tratta di punire i ladri polli (o di mele). Secondo me lo stesso presidente del Consiglio dovrebbe, a questo punto, decidere di farsi giudicare senza remore e senza indugi da un qualsiasi tribunale del nostro Paese: tanto non gli succederà niente, essendo lui un potente, perdipiù totalmente immune, come già ampiamente dimostrato in questi tre lustri dalla sua discesa in campo. Il secondo episodio ugualmente vergognoso e sinonimo di sfacciata protervia e arroganza del potere politico (in questo caso della maggioranza) è stato l'elezione coatta del rappresentante del PD Villari (un cognome storico in tutti i sensi ma che lui francamente non onora molto) che, in barba alle aspettative dell'opposizione che da tempo aveva proposto come candidato Leoluca Orlando, ha dovuto chinare il capo e dire sissignore alla truppa berlusconiana. Il risentimento dei compagni di partito di Villari è stato più che legittimo, anche perchè avendogli chiesto di dimettersi e non avendone ricevuto assenso a tal proposito, è logico pensare ad una sorta di tradimento nemmeno troppo celato da parte di un loro rappresentante. Ma il bello (o il brutto a seconda dell'ottica di visione) è arrivato con quel mancato comico di Maurizio Gasparri che, non contento della precedente battuta sull'elezione di Obama ("sarà contenta Al Qaeda..."), si è meravigliosamente ripetuto dando dell'incapace e del cretino (in sintesi) al segretario del PD Veltroni. Il quale non ha risposto al villico rappresentante del PdL (le buone maniere non si acquistano al mercato nè tantomeno a villa San Martino...) preferendo concentrarsi sull'incontro di domani con Villari. La morale di tutto ciò, alla fine, è semplice e normalmente sconfortante: chi ha in mano le leve del potere (sia esso politico o giudiziario) nel 99 per cento delle volte si trasforma da persona normale in fantoccio replicante di chi gli ha consegnato le chiavi del potere stesso. Non è plausibile, altrimenti, che esseri umani normodotati (almeno all'apparenza) si trasformino, non appena entrati nelle segrete stanze del potere, in esseri mostruosamente dotati di cupidigia, di arroganza, di protervia e di totale disprezzo per l'altrui (legittimo) senso di giustizia e di sana e democratica politica.

martedì 11 novembre 2008

se va la Carfagna nessuno si lagna


Mi è parso alquanto strano il silenzio mediatico dedicato ad un personaggio politico che da mesi è sull'onda della popolarità (cercata o meno, dipende dai punti di vista) e che ha sempre innescato polemiche per il suo passato e per le "voci di corridoio" non propriamente favorevoli. Questa volta, però, la prediletta del cavaliere, ovvero colei destinata a diventare l'unica portavoce del governo e dei ministri che lo compongono (senza togliere il posto però all'occhialuto Bonaiuti) l'ha fatta franca, perchè (ad eccezione di un articoletto de la Repubblica di oggi a firma Carmelo Lopapa) nessun organo di stampa ha scagliato qualche pietruzza polemica nei confronti del ministro per le Pari Opportunità Mara Carfagna che ha ricevuto domenica, manco fosse il ministro degli Esteri, il presidente del Brasile Luis Inacio Lula da Silva e signora all'aeroporto di Ciampino in visita di Stato per quattro giorni. Qualche lagnanza, a dire il vero, c'è stata. Ma non bisogna prenderla troppo in considerazione. Come direbbe il cavaliere sono lagnanze dei soliti comunisti, dei soliti imbecilli che vogliono far polemica a tutti i costi, magari affermando che la Carfagna ha sussurrato all'orecchio del presidente paolista che gliela dava in cambio di un suo interessamento (con relativa promessa) per far arrivare in Italia il fratello di Pato (no, non Falcao, ma proprio il fratello del giocatore del Milan) per fargli fare il provino a Milanello. Ma la Carfagna non c'è cascata. Lei la dà solo per la giusta causa. Figurarsi per un calciatore. E mica è una velina!

domenica 9 novembre 2008

l'informazione che (a volte) non c'è


Generalmente non sono uno che voracemente si ingozza di informazioni durante il giorno. Ho i miei tempi, le mie pause, le mie priorità, anche nello scegliermi quale notizia sia più o meno meritevole di attenzione. Anche perchè tenere un paio di blog (compatibilmente con i miei impegni giornalieri di lavoro) non sempre mi dà la possibilità di censire con giudizio ed obiettività tutto lo scibile dell'informazione nazionale e oltre. Ma una notizia (sfuggita ai più) mi ha fatto riflettere su quel tritacarni infernale e non sempre gestibile che risponde al nome di mondo dell'informazione. Capisco e comprendo che lo stesso problema che nel mio piccolo può interessare il mio modo di attingere alle notizie per preparare un post, alla fine possa diventare un problema di difficile gestibilità per chi il giornalismo lo esercita come professione. Ma questo silenzio che ha avvolto la morte (come tante morti analoghe, purtroppo) di una straniera travolta da un'auto pirata non mi è andato giù e mi ha alquanto indispettito.
Di Sofia Smirnova, 37 anni, ucraina, arrivata in Italia con regolare passaporto e uccisa da un pirata della strada la notte tra il 5 e il 6 novembre sulla statale di Pomigliano d'Arco, alle porte di Napoli, non ha parlato nessuno o quasi. Colpa di quella maledetta data, dirà qualcuno: il destino ha scelto di farla morire la stessa notte in cui un'altra donna, di 27 anni, ma italiana, è stata scippata e strattonata da due adolescenti a Napoli. A pochi chilometri, cioè, dal luogo in cui Sofia veniva travolta da un'auto che non si è mai trovata.
Francesca (la donna scippata), per fortuna, non è morta: è finita in coma, però, e solo dopo 24 ore ne è uscita. I suoi scippatori sono stati acciuffati subito. Anche grazie alle testimonianze della gente, che stavolta nella centralissima piazza Dante ha parlato, eccome.
Ma il destino per la giovane ucraina, stavolta, ha voluto farsi beffa giocando con i tempi e con la stessa informazione: qualche ora dopo la sua morte un giovane Rom di origine croata ha travolto con la sua Bmw 13 persone che aspettavano l'autobus ad una fermata di Acilia, alla periferia di Roma. Tre sono risultate subito gravissime. Per fortuna anche in quest'ultimo caso nessuno è morto. Risultato? Per Sofia non c'era davvero spazio. L'immagine del suo corpo coperto da un lenzuolo sul ciglio della strada è apparsa nelle edizioni dei Tg delle 13 (e neanche di tutti). Il Tg3 ad esempio le ha dedicato solo una "macchia", come si dice in gergo, ovvero una notizia breve letta da studio, con le immagini che scorrevano. Non un servizio vero e proprio. Ma già nei tg della sera di Sofia non c'era più traccia. Peggio, molto peggio, è andata con la carta stampata. Nessun quotidiano nazionale (almeno nessuno dei principali) le ha dedicato una riga. Semplicemente la morte di Sofia, causata da un pirata della strada presumibilmente italiano, per i giornali non è avvenuta. O se anche è avvenuta, non meritava certo un doveroso spazio. Meglio, non e' una notizia cui dedicare il giusto spazio. A Francesca, uscita dal coma, sono state giustamente dedicate aperture di pagina e atrettanto al Rom di origine croata che ha investito 13 persone. E allora è inutile negare: nella trappola ci siamo caduti tutti, proprio tutti. Nella trappola del luogo comune, del razzismo strisciante, della disattenzione, dei due pesi e delle due misure. E il teorema è diventato regola: Sofia ucraina, uccisa da un pirata (forse italiano) non vale quanto le 13 persone ferite da un Rom croato. Nè quanto Francesca, finita in coma dopo uno scippo. Tutto italiano, stavolta.

sabato 8 novembre 2008

il difensore d'ufficio


Chissà, forse me lo sentivo. Non ho voluto scrivere alcunchè sulla storica elezione di Barack Obama a 44° Presidente degli Stati Uniti d'America (dopo averne seguito con alcuni post la lunga cavalcata snodatasi attraverso i vari caucases della scorsa primavera e nello scontro con la Clinton lo scorso agosto) proprio perchè avevo sentore che qualcosa, prima o poi, lo avrebbe detto il nostro eminente presidente del Consiglio. E così è stato. Anzi, è successo di più: tenuto conto del vespaio di polemiche scaturite dalle dichiarazioni del Cavaliere, è sceso in campo anche il suo difensore d'ufficio. Che non è il solito trombone Bonaiuti e nemmeno il dinoccolato titolare Ghedini. Nossignori, il difensore d'ufficio notoriamente acclamato e regolarmente stipendiato dal Pifferaio di Arcore è l'occhialuto bellicapelli Vittorio Feltri da Bergamo Alta che anche questa volta, mosso dal sacro furore di pugnace combattente e velenoso corsivista, ha deciso di sua sponte di metter bocca (più precisamente di picchiettare sul suo notebook il solito stucchevole ed evitabilissimo editoriale pubblicato, ahinoi, sulla prima pagina odierna del suo giornalino pseudo Libero, http://rassegnastampa.formez.it/rassegnaStampaView2.php?id=111976) il giorno seguente le aspre e giustificate polemiche alle indecorose battutacce da Bagaglino che il suo mentore (e padrone riconosciuto) ha inopinatamente tirato fuori per commentare l'elezione del primo presidente di colore nella storia degli USA. Francamente mi sembra alquanto inutile tornare sulle dichiarazioni in terra sovietica dell'attuale (purtroppo) nostro primo ministro nonchè primo rappresentante cabarettistico prestato alla politica. Il settuagenario leader del Popolo della Libertà non ha più bisogno di presentazioni o di riferimenti storici del passato. Le sue gaffes sono ormai state già state ampiamente censite e catalogate in una sorta del meglio del peggio di Sua Emittenza; manca poco che qualche gruppo editoriale decida di metterlo in vendita con dvd allegato, tanto per riproporre il suo variegato campionario di dichiarazioni, atteggiamenti, boccacce e corna deliberatamente evidenziate. Un campionario di becere battute e di disdicevoli figuracce fatte di fronte all'opinione pubblica mondiale che sarebbe bastato per far ritirare qualunque leader politico in un qualsiasi sperduto monastero di montagna, pur di farsi dimenticare sopraffatti dalla vergogna. Non nel caso del cavaliere, naturalmente. Anzi, lui ne esce addirittura inorgoglito da questa sua performance da nave da crociera o da villaggio turistico per palati non proprio sopraffini. E altrettanto orgoglio mette in campo il lecchinoso Feltri che se la prende (ma guarda un pò) proprio con il giornale più indigesto al cavaliere (la Repubblica) censurando aspramente l'editoriale uscito ieri sullla prima pagina del quotidiano romano a firma di Curzio Maltese ("L'immagine peggiore") che ha letteralmente fatto a pezzi, con la solita garbata ed intelligente ironìa, il primo ministro italiano. Ma censurare e indignarsi per un pezzo giornalistico di alta scuola è sinonimo, a mio avviso, di ottusa e demente senilità intellettiva, rapportata alla stolta e cementata supponenza di esser titolari dell'assoluta verità politica e sociale, nonchè giornalistica, attualmente in vigore nel nostro Paese. Non rendendosi conto, il Pifferaio di Arcore e il suo difensore d'ufficio bergamasco, di trovarsi al centro del palcoscenico nazionale (e a volte inconsapevolmente anche di quello internazionale) dove va in scena il ridicolo, il trash, l'inguardabile. In una parola l'osceno. E il bello è che ne vanno anche fieri...

domenica 2 novembre 2008

in fila (nel cuore della notte) contro la crisi


Francamente non mi ci raccapezzo più. Sento parlare di crisi economica, di impossibilità ad arrivare a fine mese, di recessione, di tagli forzati ai consumi primari e poi assisto inebetito a scene di ordinaria follia come quella dell'altro giorno a Roma, all'apertura di un nuovo centro commerciale, con la folla in fila dalle 4 del mattino per potersi accaparrare l'ultimo notebook alla moda a prezzi stracciati. A volte i conti non tornano, per chi vuol dare letture un po' troppo schematiche della crisi italiana. Centinaia e centinaia di persone non solo si sono sottoposte a file mostruose per poter entrare nel negozio di elettronica (Trony) a caccia del cimelio ipertecnologico quasi a costo zero, ma qualcuna di esse si è perfino ferita per riuscirci (http://www.youtubissimo.com/2008/10/trony-roma-zona-romanina-un-mega.html). Spinte, infatti, da promozioni che offrivano notebook a 299 euro e lavatrici a 99 "fino ad esaurimento delle scorte", decine di persone si sono messe in coda dalle 4 del mattino per riuscire a tagliare il traguardo senza impedimenti. Purtroppo la ressa è diventata tale che, a un certo punto, alcuni dei primi arrivati sono stati schiacciati contro le vetrine del nuovo punto vendita, che sono andate in frantumi, facendo arrivare le ambulanze per i feriti. Alcune immagini, davvero crude, si sono viste anche in televisione e "parlavano" più di cento saggi sulla società dei consumi. Da notare che questo maxi-ingorgo (che ha avuto ripercussioni anche sul traffico) si è svolto in un giorno feriale. C'è chi, per capirci, anziché andare a lavorare, ha preferito fare la fila da Trony (http://it.youtube.com/watch?v=b5xAjgKL6xs&feature=related). E questo è lo stesso Paese in cui Mister Prezzi decide di convocare la maggiori aziende italiane produttrici di pasta per chiedere loro conto e ragione di offerte tenute nettamente al di sopra dei costi di produzione e in cui sempre più famiglie a metà del mese non sanno come "tirare a campare". Come si spiega? Chi cerca una "teoria generale" rimarrà deluso. Diciamo che c'è una fascia ancora ampia di consumatori che sente il peso della recessione che avanza, ma che non intende rinunciare a far valere bisogni che vanno al di là del pane quotidiano (a proposito, qui il prezzo è finalmente calato), ma che sono pur sempre bisogni vitali. Se mi serve un notebook e posso comprarlo a meno di 300 euro (di solito costa il doppio), perché non approfittare di una promozione? E perché dovrei sottrarmi a una lunga fila, se poi mi troverò tra le mani l'oggetto di cui ho bisogno? Questo episodio di cronaca ha generato un paradossale rovescio della medaglia: molti italiani hanno continuato a cercare la notizia di Trony non per l'episodio in sè ma perché - stimolati dalla pubblicità che è stata fatta sulle radio e su altri media dell'apertura del centro - avevano bisogno del "ventaglio" delle offerte per capirne la convenienza. Insomma l'elettronica, come il pane e la pasta, fa ormai parte della "dieta" del consumatore e forse anche su questo terreno sarebbe auspicabile un intervento di Mister Prezzi per vigilarne il mercato. È ovvio, infatti, che il meccanismo delle promozioni ha logiche tutte sue e che un prodotto in offerta non è comparabile con quello normalmente in vendita. Ma anche in questi casi dovrebbe valere il discorso sui costi di produzione. Quanto costa "produrre" un notebook se può essere messo in vendita a metà del prezzo? E quanto una lavatrice o una lavastoviglie? Sarebbe molto interessante saperlo.