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domenica 5 ottobre 2008

non siamo tutti uguali (di fronte alla legge)




Non è difficile supporre che chiunque sia mai entrato in una qualsiasi aula di Tribunale (per qualsivoglia motivo, in veste di imputato o di testimone) non ne abbia mai ricevuto una strana sensazione di diseguaglianza, di diverso trattamento, di formale ingiustizia, di danno accompagnato alla beffa. E' sempre stato così e sempre sarà, nonostante le vistose scritte che campeggiano nelle aule: LA LEGGE E' UGUALE PER TUTTI e LA GIUSTIZIA E' AMMINISTRATA IN NOME DEL POPOLO. Tante belle parole, tanti rispettabili auspici, nessuna rispondenza nella realtà dei fatti. Da sempre la giustizia (o il contrario di essa) è il nervo scoperto del tessuto sociale e morale del nostro Paese. Nonostante la buona volontà di insigni giuristi, di validi costituzionalisti e di maestri della giurisprudenza, non si è mai giunti ad una reale unificazione nel metro di giudizio che dovrebbe sovrintendere ad una serena e imparziale valutazione del Giudice deputato ad emettere una incontrovertibile sentenza. Negli ultimi anni l'esempio più lampante (e più anomalo) di questa incredibile incongruenza, nell'applicazione del dettato di eguaglianza di fronte alla Legge, è rappresentato dal nostro presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, indice sublime, insuperabile, praticamente ineguagliabile, di come si riesca a sfuggire impunemente (con tutti modi, leciti e non) alle maglie della Giustizia. Il famigerato "caso Mills" ne è la riprova. «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». Così recita l'articolo 3 della nostra Costituzione. E in base a questo articolo Fabio De Pasquale, che rappresenta la pubblica accusa nel cosiddetto processo Mills, ha sollevato l'eccezione di costituzionalità sull'applicazione del famigerato «lodo Alfano» davanti ai giudici della decima sezione di Milano. Lo aveva già fatto, con successo, il 26 settembre scorso di fronte a quelli della prima sezione. E l'altro ieri ha «bissato». I magistrati presieduti da Nicoletta Gandus, considerata dal cavaliere (che ne ha chiesto invano la ricusazione) sua «avversaria dichiarata», hanno infatti accolto la richiesta del pm. In attesa che la Consulta si pronunci, il tribunale ha stralciato la posizione del premier e disposto che il dibattimento prosegua comunque. Una decisione considerata «politica» dalla difesa del leader PdL, che chiedeva l'applicazione del «lodo» e, quindi, la sospensione di tutto il procedimento penale nel quale sono imputati Berlusconi e l'avvocato inglese David Mills per corruzione in atti giudiziari. «Milano non applica le norme approvate dal Parlamento - afferma l'avvocato Niccolò Ghedini, uno dei legali del premier - che consente al presidente del Consiglio di curare gli interessi del Paese». Invece per i giudici Nicoletta Gandus, Pietro Caccialanza e Loretta Dorigo il ddl approvato il 22 luglio «interferisce con l'architettura ad oggi delineata dalla Costituzione» non garantendo «l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge» e «mina la scala gerarchica delle fonti del diritto e quel primato della Costituzione che costituisce il nucleo fondamentale dello Stato democratico». Inoltre, per il premier, «accomunato ai ministri dalla Costituzione per i reati funzionali, viene previsto uno strumento diverso, introdotto con legge ordinaria, per i reati extrafunzionali, così stabilendo uno jus singulare francamente irragionevole». Infine il "lodo" si scontra con il principio della ragionevole durata del processo. Questi alcuni dei motivi (in tutto sei) con cui è stata accolta la richiesta del pm. Ma adesso che succederà? Il processo andrà avanti per il solo Mills e, di conseguenza, dopo la sentenza, quegli stessi giudici non potranno più giudicare Berlusconi. Tuttavia, processando il coimputato del premier, il giudizio finale si rifletterà inevitabilmente anche sulla parte assente. E ci saranno anche problemi «tecnici»: il 10 ottobre, ad esempio, è previsto l'esame dei periti nominati dalla difesa di Berlusconi. Avverrà in assenza dei legali del cavaliere? Sarebbe, sottolinea Ghedini, «al di fuori di qualsiasi codice, anche extracomunitario». Un bel pasticcio, insomma. Anche perché, con tutta probabilità, la Corte Costituzionale dichiarerà il lodo incostituzionale sempre in base all'articolo 3 della Carta. Le differenze dal «lodo Schifani» non dovrebbero essere sufficienti a «salvare» il suo «erede». E Berlusconi, in base a quello che per la maggioranza è una sorta di «ostruzionismo giuridico» delle toghe milanesi, potrebbe ritrovarsi, come ha osservato Di Pietro, «cornuto e mazziato». Non male...

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