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lunedì 30 giugno 2008

presidente, cerchi di non pensare solo a se stesso


Egregio Signor Presidente del Consiglio,
approfitto della mia piccola tribuna da blogger per scriverle qualche riflessione, sperando (forse inutilmente) che qualche suo prezioso collaboratore (dei tanti che ha a disposizione) possa imbattersi in questo mio scritto e magari riferirgliene. A mio modesto avviso, una prima considerazione è d'uopo: n
on si può, grazie anche alle sue infuocate battaglie contro la magistratura, essere tornati di colpo indietro di quindici anni, non si può gettare alle ortiche (grazie sempre ai suoi atteggiamenti) il tentativo di intendere e gestire la politica in un modo nuovo, costruttivo, di confronto, di aiuto per uscire da un tunnel senza luce.
No, caro Presidente, così proprio non va. Sono passati quasi due mesi dal giuramento del suo governo davanti al presidente Napolitano e cosa è successo? Praticamente niente. Certo, ha abolito il resto dell’Ici che non aveva abolito il centrosinistra, ma per il resto? Che fine hanno fatto le sue magiche pozioni per tutto, che fine hanno fatto i suoi miracoli, possibile mai che la sua bacchetta si sia già inceppata?
No, diciamo la verità, qualche miracolino per conto suo l’ha già fatto. Con una piccola norma è riuscito a bloccare centomila processi, perché fra quei centomila ce n’è uno che la riguarda piuttosto da vicino e che è piuttosto imbarazzante; è riuscito a far passare un disegno di legge che prevede l’immunità per le più alte cariche dello Stato dove lei, ovviamente figura al quarto posto dopo il presidente Napolitano e i presidenti di Camera e Senato; sta tentando di bloccare tutte le intercettazioni telefoniche disposte dai giudici perché in alcune c’è anche la sua voce che raccomanda veline e quant’altro.
E per il resto che cosa ha fatto? Ha ridotto forse le tasse come aveva promesso in campagna elettorale? Ha ridotto forse il costo della benzina così alto anche e soprattutto a causa dell’incidenza delle tasse dello Stato che gravano su un litro? Ha pensato alle famiglie numerose che non arrivano oramai alla terza settimana del mese? Ha pensato ai pensionati che non hanno nemmeno i soldi per comprarsi i farmaci (mia madre ancora sta aspettando il suo famoso aumento a 516 euro di qualche anno fa) ? Ha pensato a risolvere il problema sicurezza? E il reato di clandestinità che fine ha fatto? Ha pensato di dare un’occhiata ai prezzi di pane pasta e latte che sono gli alimenti fondamentali per tutti e che hanno fatto registrare aumenti inaccettabili? Ha pensato ai milioni di evasori fiscali che popolano le nostre amate spiagge (ma anche gli entroterra)? Ha risolto il problema Alitalia, ha risolto il problema dei rifiuti a Napoli? E la discarica di Chiaiano, simbolo per alcuni giorni del suo incrollabile decisionismo, che fine ha fatto? E come mai le altre regioni italiane dovrebbero accollarsi l’onere di ospitare la spazzatura napoletana? Forse perché la camorra non la vuole dalle sue parti?
No, caro Presidente, così non va. Certo dirà lei, tra un’invettiva e l’altra contro i giudici: mica potevo fare tutto in meno di due mesi. E’ certo, è ovvio che non poteva fare tutto in così poco, rispondo io. Ma sembra proprio che fino ad oggi il novantanove per cento del suo tempo lo abbia speso solo per se stesso, pensieri (e leggi) solo ad personam, i miracoli li ha fatti per sé, quelli per gli altri possono aspettare.
Ecco il solito comunista o il solito dipietrista che scrive, dirà lei. No, caro Presidente, non è questione di comunismo o di dipietrismo. E’ questione di tentare di guardare in faccia le cose senza tessere in tasca. Comunque se non ci crede, caro Presidente, si faccia un giro per i sondaggi del web e vedrà cosa ne pensa la gente delle sue personali iniziative. Mi sembra che le cose non vadano così brillantemente come lei ce le vorrebbe fare apparire. La gente apre gli occhi, comincia a farsi domande, comincia a mugugnare. La luna di miele è finita e credo che stia per cominciare quella di fiele. E siamo solo a due mesi dall’inizio del suo mandato.
Ma quelli che nei sondaggi votano contro le sue decisioni mica saranno tutti comunisti, mica saranno tutti dipietristi? E se ci fossero anche tanti leghisti che giorno dopo giorno, nella loro qualità di suoi alleati, vedono appannarsi l’immagine di duri e puri del Nord? Chissà quanto Bossi e suoi amici sopporteranno ancora (e fino a quando) le sue sparate in cambio del sospirato federalismo. E se, fra quelli che le votano contro, ci fossero anche tanti di AN, duri e puri del Centrosud? Fini, La Russa, Gasparri hanno avuto tanti posti di potere ma siamo proprio sicuri che siano così contenti delle sue uscite contro la magistratura? E siamo proprio sicuri che AN, se le cose continuano così, voglia sciogliersi e confluire nel suo sospirato PdL?
Caro Presidente, si faccia un giro fra i sondaggi di Internet e pensi ai miracoli che ancora deve fare, altrimenti i suoi adorati nipotini non potranno più chiamarla "Nonno Superman"...

domenica 29 giugno 2008

le religioni del cavaliere




Mi mancava l'intervento caustico e tagliente (come al solito) di Michele Serra, nella sua rubrica settimanale su L'espresso, per farmi concludere al meglio (e con il sorriso sulle labbra) questa settimana infuocata di polemiche, tra nuove intercettazioni, papponi e gnocche di basso profilo. Il pezzo godibilissimo di Serra si rifà alla recente richiesta del cavaliere di poter accedere al rito eucaristico della comunione, pur essendo un divorziato (ottenendo il prevedibile diniego papale). Il titolo è "Vacche sacre ad Arcore" e ve lo ripropongo integralmente. Per aggirare il rifiuto papale di dare la comunione anche ai divorziati, Berlusconi ha organizzato in Costa Smeralda un Eucharistic Party di riparazione: un gigantesco banchetto a base di ostie per soli divorziati, mantenute, bigami e bigame, gigolò, puttanieri, baldracche d'alto bordo e giocatori di poker. Il menù prevedeva ostia alle ostriche, tagliolini con ostie, ribollita di ostie, involtini d'ostia con salsiccia e, per concludere, un'eccellente millefoglie di ostie. "D'ora in poi", ha detto il premier che per l'occasione indossava, al posto del panama, una tiara, "farò da me. È semplicemente ver-go-gno-so che il clero comunista voglia influenzare la mia azione di governo". A chi gli faceva osservare che non c'entra un cazzo, Berlusconi ha risposto ridendo che è vero, ma non gliene frega niente. Ha poi illustrato ai suoi ospiti, deliziati e ubriachi per gli abbondanti brindisi con vino consacrato, il suo programma di riforma delle religioni mondiali: un vero liberale, ha detto, deve potere avere libero accesso a tutte le religioni, indistintamente, senza dover sottostare a odiose restrizioni. ISLAM - Berlusconi, oltre che cattolico, si considera anche un buon musulmano, pur continuando a coltivare la sua passione per le braciole di porco. In segno di buona volontà, alle due mogli attuali conta di aggiungerne almeno un'altra dozzina, legalizzando alcune delle sue relazioni con meteorine, veline, attricette, starlette, trapeziste, danzatrici del ventre e contorsioniste cinesi. Ha poi deciso di erigere nel parco della sua villa sarda un enorme minareto dal quale, al tramonto, intonerà una preghiera a caso, "tanto è lo stesso, l'importante è avere una bella voce". INDUISMO - Una trentina di vacche sacre, emaciate in pochi giorni grazie alla chirurgia plastica, pascolerà liberamente ad Arcore, salutate ogni mattina da un insolito Berlusconi in perizoma. Le abluzioni nel Gange saranno sostituite da un'immersione nel Lambro in compagnia dei fedelissimi, indossando un apposito scafandro sigillato per proteggersi dai liquami fetidi. Le body-guard terranno lontane, a revolverate, le pericolosissime anatre mutagene che popolano quel fiume: grosse come tacchini e aggressive come rottweiler.
PROTESTANTESIMO - Gospel, spiritualità intensa e sermoni infuocati per il Berlusconi protestante rinato, che aprirà una apposita holding, denominata semplicemente La Chiesa di Silvio, destinata a raccogliere fondi per i membri indigenti della Confindustria. Al nuovo premier protestante sarebbe molto piaciuto affiggere solennemente le sue Tesi contro Roma, con chiodi e martello, sul portone del Duomo di Arcore, ma essendo di alluminio dovrà ricorrere al nastro adesivo. Nelle prediche già preparate dai suoi ghost-writer, previsti severi inviti alla moralità sessuale, però seguiti da barzellette sulla gnocca per non scoraggiare troppo i fedeli. EBRAISMO - Berlusconi ha commissionato a Dell'Utri uno studio che dimostra la sua discendenza diretta da Manitù. Quando gli è stato fatto osservare che non era Manitù, ma Mosé, era troppo tardi per rimandare la cerimonia di consegna del suo Master in ebraismo, e dunque, esercitando forti pressioni politiche e versando qualche milione di euro a un paio di rabbini accomodanti, Berlusconi ha ottenuto che Manitù fosse inserito tra i Profeti. BUDDISMO - Moderazione, spirito contemplativo, esercizio del dubbio, senso del limite, sopportazione degli altri, umile accettazione della morte: questi i fondamenti del buddismo spiegati a Berlusconi da un gruppo di monaci tibetani affittati per un pomeriggio. Dopo averli congedati con una barzelletta sulla gnocca, Berlusconi ha depennato il buddismo dalle religioni di suo interesse. SCINTOISMO - Berlusconi mangia spesso il sushi, anche se usando apposite bacchette munite di denti come le forchette, e da ragazzo ha avuto una Kawasaki. Dunque ritiene chiuso anche questo discorso: è un ottimo scintoista.

sabato 28 giugno 2008

la cultura (errata) del tutto e subito


Leggere questa mattina la notizia della dodicenne di Treviso che vendeva per pochi euro le immagini del proprio corpo nudo (http://www.tgcom.mediaset.it/cronaca/articoli/articolo419724.shtml), tramite gli mms inviati ai suoi coetanei acquirenti, mi ha fatto subito pensare a quale sarebbe stata la mia reazione se avessi avuto una figlia dodicenne così. La prima umana (e credo condivisibile) replica a tale avvenimento sarebbe quella di privare mia figlia del bene di consumo oggetto della disputa. Far capire che quell'oggetto diabolico e invasivo risulti essere l'artefice di qualsivoglia comportamento poco ortodosso può già rappresentare un inizio di dialogo. Se non altro potrei affermare (seppur con colpevole ritardo) la teoria del "non possumus" di evangelica spiegazione. Dire ogni tanto ai propri figli non si può è sinonimo di corretta educazione, quantunque non formalmente e benevolmente recepito dagli adolescenti, sempre più pervasi dalla sterile e fatua convinzione che possedere un oggetto di affermazione sociale come il telefonino sia indice di status identificativo nella comunità in cui si vive. Il fatto che ragazzi privi di guida girino in un immenso mercato (a volte virtuale) senza aver imparato ad accettare di non poter avere sempre tutto ciò che si vuole è quantomai significativo e preoccupante. Vendere le proprie nudità tramite foto, per potersi comprare vestitini firmati e alla moda, è il gorgo immorale in cui molte ragazzine affogano ai giorni nostri, a volte anche in maniera cosciente e sprezzante. E, secondo me, ci si trova anche in queste condizioni perchè gli adolescenti vivono (il più delle volte) in un ambiente familiare dove manca l'attenzione per la loro educazione. Manca la quantità del tempo necessaria ad insegnare loro quali sono i confini, dove sta il bene e dove sta il male e, soprattutto, l'esistenza dello sbarramento morale del "non si può". Manca la quantità (e la qualità) del dialogo tra genitori e figli, manca lo "strumento" dell'insegnamento, del far capire ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Per non parlare poi del mondo esterno alla famiglia, che con Internet, i telefonini, le immagini e la televisione delineano per gli adolescenti un contesto sempre più privo di porte, una sorta di immenso giardino aperto, un enorme mercato di stimoli difficile da interpretare per chi (come molti adolescenti di oggi) è privo degli strumenti e del buonsenso generati da una buona educazione. E così, come nel caso della dodicenne trevigiana, non aver avuto "paletti" comportamentali e morali, non aver imparato il senso e l'eventualità della rinuncia (del "non si può e non si deve"), ha generato inevitabilmente questi piccoli ma abnormi gesti di "prostituzione": perchè, in buona sostanza, vendere le foto delle proprie intimità è come un modo di vendere il proprio corpo.

Luigi Crespi ci spiega le paure del cavaliere


Uno degli uomini più vicini a Silvio Berlusconi (almeno fino a qualche anno fa), l'ex sondaggista di fiducia Luigi Crespi, noto alle cronache giudiziarie per il crack finanziario della sua società HDC (dalla cui costola sono uscite le famose intercettazioni Berlusconi-Saccà), ha scritto un articolo per un sito web in cui cerca di spiegare questa esagerata "fobìa" del carcere e dei magistrati che accompagna oramai da quindici anni il cavaliere. Un racconto alquanto interessante che vi ripropongo integralmente. Buona lettura. "Sui magistrati, a questo giro, Berlusconi ha ragione. Il problema è che lui poi esagera un tantino, è troppo ossessionato da queste cose, ha troppa paura di finire in galera…”. Di chi sono queste parole? Forse del peggior nemico del Silvio nazionale, di un’infuriato Di Pietro o di un diffamatore che tenta di minare le fondamenta carismatiche della leadership del Premier?
Ma no! Queste parole sono di Umberto Bossi, amico e fedelissimo alleato che attraverso un apparente ed innocuo intercalare dice una verità spaventosa che condiziona la nostra storia e la nostra convivenza civile. Il capo, il generale, il comandante ha paura nel momento di massima estensione della sua forza, espressa attraverso un consenso plebiscitario che non si limita alla sua persona e alla simpatia che può generare ma si estende alle sue scelte, al suo pensiero, a tutte le sue iniziative. La maggioranza degli italiani è convinta che stia facendo bene per la sicurezza e l’economia, che stia sistemando i rifiuti di Napoli e la questione Alitalia, la maggioranza si schiera con lui quando pretende il ritorno al nucleare, e addirittura quando bacchetta il Papa chiedendo l'eucarestia per i divorziati. La maggioranza è con Berlusconi anche contro i giudici colpevoli di avere ordito nel tempo una vera persecuzione nei suoi confronti, e per questo chiede l’immunità, torna a fare la faccia cattiva, rompe con il suo “benefattore” Veltroni e la gente, anche in questo caso è con lui. Ma il leader più amato d'Italia ha paura di andare in carcere e questo gli impedisce di utilizzare l'enorme consenso che ha nel Paese (e la stragrande maggioranza parlamentare) per determinare quelle riforme della giustizia indispensabili, come ad esempio la separazione delle carriere o il feticcio dell'obbligatorietà dell'azione penale, e si limita scongiurare il rischio di una condanna a oltre 5 anni che il processo Mills gli potrebbe riservare.
Si ripropone la situazione del 2002 quando Berlusconi ha optato per una serie di leggi ad personam anzichè affrontare delle giuste ed eque riforme del sistema giudiziario. All'epoca però il clima politico era differente, la Magistratura vantava una fiducia maggioritaria nell'opinione pubblica che ha perso dopo vicende come quella di De Magistris, inoltre l'opposizione non era certamente nelle condizioni in cui si trova oggi ed il consenso del Premier non era ai livelli odierni. Ma su una cosa certamente Berlusconi sbaglia: le toghe non sono nè rosse, nè gialle, non sono determinate da una ideologia politica ma rappresentano una visione della società di una casta di eletti, di chi per concorso sa cosa è giusto e sbagliato e soprattutto definisce chi sta dalla parte del bene e chi da quella del male, ben lontani da quelle figure atte a tutelare i diritti dei cittadini ed il rispetto delle leggi.
La persecuzione nei confronti di Berlusconi è ormai un dato di fatto e lo testimoniano le migliaia di atti giudiziari posti in essere in questi anni che, al netto delle leggi ad personam, non hanno intaccato la fedina penale del Cavaliere, nè tantomeno la sua credibilità. Ma se quella di Berlusconi è un'ossessione devo dire che anche i giudici ne sono a loro volta ossessionati e la mia esperienza diretta, personale, ne è una prova inconfutabile. Quando nel 2003 ero a capo della HDC e mi sono trovato in conflitto con i miei soci finanziatori della Banca Popolare di Lodi e nonostante tutte le carte, i documenti e le normative fossero a mio favore, tanto da far sperare in una rapida e soddisfacente chiusura della vicenda, ho avuto modo di verificare come la paura possa condizionare Berlusconi tanto da "consigliarmi" in quel caso di non procedere nell'azione contro la BPL e di cedere alla stessa il pacchetto azionario di tutte le mie società, in virtù del fatto che negli anni che avevano preceduto la vittoria del 2001 ero stato il gestore, cioè avevo incassato, pagato, gestito i soldi delle campagne elettorali di Forza Italia, lavoro tra l'altro svolto in modo ineccepibile e con ottimi risultati. Fu questo lavoro a legittimare e gettare le basi del successo temporaneo di HDC, ma al contempo rappresentava un potenziale pericolo, che io non vedevo, ma di cui è evidente Berlusconi aveva paura. La paura spesso è compagna della viltà e così dopo aver "ceduto", il silenzio intorno a me è stato tombale, soprattutto quando la BPL non ha mantenuto nessuno dei suoi impegni. Io che ho sempre creduto, un pò ingenuamente, nella Magistratura e ho sempre ritenuto che Berlusconi esagerasse un pò, non ho esitato ha denunciare la banca per estorsione contrattuale e truffa, denuncia incardinata nel processo che mi auguro che prima o poi vedrà la luce.
La vicenda, manco a dirlo e secondo me solo perchè coinvolgeva Berlusconi, mi è costata 8 giorni a San Vittore e un lunghissimo interrogatorio che sempre di più si allontanava dai fatti e dalle responsabilità oggettive che avevano determinato il dissesto dell'azienda, e sempre di più mi sono trovato nella condizione di dover spiegare ai PM e dimostrare cose per me inconcepibili, cioè che le mie aziende non erano una fonte di fianziamento illecito per le campagne elettorali di Berlusconi e che quel modello aziendale era stato creato per essere quotato in Borsa e non per costruire ingegnosi fondi neri. Ritenevo risibile che qualcuno potesse solo pensare che il rapporto tra me e Berlusconi fosse fondato sul fatto che gli passassi sotto banco dei soldi, eppure non è stato così. Il fatto che io non avessi nomi o denunce clamorose da fare, mi ha reso debole, poco interessante, ma d'altronde nei 7 anni vissuti ad Arcore, non ho mai visto nulla di illegale e quindi il fatto che dopo di me non siano stati fatti altri arresti e che la vicenda non avesse i risvolti attesi, non ha certamente rafforzato gli anni di intercettazioni telefoniche che però hanno dilaniato la vita privata e pubblica di persone, spesso amici che magari nulla centravano con le indagini. Questo però alimentava bene l'idea preconcetta che tutto ciò che ha a che fare con Berlusconi rappresenti malaffare e intrigo, ben alimentata dai giornali come ad esempio il Corriere della Sera che in questo caso hanno agito come veri e propri amplificatori della Procura, senza mai degnarsi di sentire, nemmeno una volta quelle che erano le posizioni della difesa.
Certo, i PM devono scoprire reati, ma una persona che sta in carcere, privata della sua libertà, quanto può essere attendibile, e quanto può essere giusto chiedergli di denunciare reati? E quanti hanno la schiena dritta e non hanno mentito sulle responsabilità altrui solo per riconquistare la libertà? Io non ho mentito nemmeno su Agostino Saccà che da direttore generale della Rai, mi affidò, dopo la vittoria di una gara, l'appalto dei dati elettorali, proiezioni ed exit, e non può essere sfuggito che l'ultimo lavoro decente in Rai è stato proprio firmato dal sottoscritto e chi ha preso il mio posto spesso si è reso ridicolo. Ma i PM queste cose non le guardano, loro vanno a caccia di reati, ed in quel caso l'idea era che io avessi ottenuto il lavoro grazie a Saccà e a funzionari resi compiacenti da sollecitazioni economiche, ignorando che in quel caso era stata fatta una gara, con tanto di commissari e che è stata la prima volta che questo lavoro è stato assegnato con questo metodo, confrontando gli istituti per il rapporto qualità/prezzo e che la quantità di denaro che la Rai avrebbe speso era inferiore a quella che aveva speso nel passato affidando senza gara, sempre ai soliti, questo appalto. Le indagini hanno poi dimostrato la trasparenza di quella vicenda e allora non dico che bisognerebbe dare un premio a Saccà perchè ha fatto risparmiare milioni di euro alla sua azienda, ed è giusto indagare su qualsiasi cosa, ma allora perchè non indagare anche sulle assegnazioni fatte in passato senza l'espletamento di nessuna gara? Ma esisteva un pregiudizio che nel caso di Saccà non è rimasto circoscritto solo a Milano. Immaginate cosa sarebbe successo se io avessi testimoniato nel senso in cui stavano indagando i PM per la mia libertà personale, i protagonisti sarebbero finiti nel tritacarne mediatico e forse solo dopo i tre gradi di giudizio sarebbe emersa la verità, ma sarebbe stato troppo tardi.
Quello che ho tratto dalle oltre 40 ore di interrogatorio è che i PM abbiano un'idea criminogena dei rapporti tra le persone e questo per uno come me che si è sempre fidato della giustizia e che mai in questi anni ha parlato di questa vicenda personale per rispetto delle indagini in corso, oggi chiuse e che ben prima di questa storia aveva lasciato Berlusconi perchè aveva smesso di credere in lui come leader politico, diventa un elemento di sofferenza civile e di perdita di fiducia nelle istituzioni.
Ma è tempo che Berlusconi vada oltre le sue paure e metta in opera quelle riforme attese e condivise dall'opinione pubblica, non tanto per determinare la sua salvezza ma per garantire una giustizia giusta a tutti i cittadini italiani. E' paradossale, per uno dei massimi esponenti delle istituzioni, temere il giudizio in un processo a cui dovrebbe sottoporsi con serenità, anche perchè la magistratura non è fatta solo di PM in cattiva fede e ossessionati da Berlusconi: questi sono una minoranza sempre meno presenti nelle aule dei tribunali e sempre di più invece negli studi televisivi e nelle aule del Parlamento. L'unico giudizio che è giusto temere, ma per rispetto non certo per paura, è quello della Storia.

venerdì 27 giugno 2008

Ustica & il muro di gomma 28 anni dopo


Purtroppo la memoria storica degli italiani non gode di buona salute. Misteri d'Italia, stragi, depistaggi e quant'altro avvenuto nel nostro Paese, dagli anni '70 ad oggi, non hanno scalfito più di tanto la corteccia naturale della memoria e della coscienza collettiva degli italiani. E' un peccato che ci sia questa amnesìa di tipo pandemico, che aggredisce a tutti i livelli il tessuto sociale del Belpaese, relegando nel limbo dei ricordi sbiaditi e delle richieste di verità assopite tutti quegli avvenimenti tragici come quello che ricorre oggi. Il 27 giugno 1980 sugli schermi della torre di controlo di Ciampino, a Roma, alle ore 20, 59 minuti e 45 secondi, sul punto delle coordinate 39°43’N e 12°55’E scompare un velivolo civile. E’ il Dc9 I-TIGI della società Itavia, in volo da Bologna a Palermo, nominativo radio IH870, con a bordo 81 persone, 77 passeggeri e 4 uomini di equipaggio. Il controllore di turno cerca di ristabilire il contatto con il pilota del Dc9. Lo chiama disperatamente una, due, tre volte. A rispondergli solo un silenzio di morte. Scatta l’allarme, ma non scattano i soccorsi che arriveranno sul punto di inabissamento dell’aereo, a metà tra le isole di Ponza ed Ustica, soltanto la mattina dopo. Un ritardo sospetto. Così come misteriosa è la causa della scomparsa del Dc9. La cosa più facile? Attribuire il disastro ad un difetto strutturale dell’aereo, un cedimento. La tesi del cedimento strutturale del Dc9 dell’Itavia resterà per quasi due anni la spiegazione ufficiale della tragedia, tanto che la società proprietaria dell’aereo diventerà il primo capo espiatorio e sarà costretta a sciogliersi. Ma in ambienti giornalistici la tesi semplicistica della sciagura comincia quasi subito a fare acqua (il primo cronista a indagare in altra direzione è Andrea Purgatori, all'epoca inviato speciale del Corriere della Sera). Che qualcosa in questa storia non quadri dovrebbe capirlo anche il magistrato romano al quale l’inchiesta è affidata. Per consegnare al pubblico ministero Giorgio Santacroce i nastri di Roma Ciampino, sui quali era impressa tutta la sequenza del volo del Dc9, fino alla scomparsa dagli schermi radar, l’aeronautica militare impiega ben 26 giorni. Addirittura 99 per consegnare i nastri di Marsala. Senza contare tutto il materiale che verrà tenuto nascosto al giudice. Insomma il fatto che l’arma azzurra giochi sporco di fronte alla morte di 81 persone e che, specie all’inizio, il governo italiano sia più di ostacolo che di aiuto all’inchiesta giudiziaria è la prima vera risposta ad una domanda che ancora oggi in molti si pongono: chi ha abbattuto il Dc9 di Ustica? Il muro di gomma dell'omertà (istituzionale e personale, a vario titolo) ha resistito fino ad oggi, nonostante i tentativi (pochi per la verità) di abbatterlo. Mi sembra comunque giusto (ed umanamente opportuno) ricordare oggi, a distanza di 28 anni dalla strage di Ustica, i nomi delle 81 vittime che non devono rimanere 81 anonimi e sfortunati nomi iscritti su qualche lapide commemorativa, ma devono rappresentare 81 cicatrici profondamente incise nella viva carne del nostro Paese. Ecco l'elenco:
Domenico Gatti, 44 anni, 1°comandante; Enzo Fontana, 32, 2° pilota; Paolo Morici, 39, assistente di volo responsabile in seconda; Rosa De Dominicis, 21, assistente di volo allieva.
I 77 passeggeri:
Andres Cinzia, 25; Andres Luigi, 33; Baiamonte Francesco, 55; Bonati Paola, 16; Bonfietti Alberto, 37; Bosco Alberto, 41; Claderone Maria Vincenza, 58; Cammarata Giuseppe, 19; Campanini Arnaldo, 45; Candia Antonio, 32; Cappellini Maria Antonietta, 57; Cerami Giovanni, 34; Croce Maria Grazia, 7; D'Alfonso Francesca, 5; D'Alfonso Salvatore, 39; D'Alfonso Sebastiano, 4; Davì Michele, 45; De Cicco Giuseppe, 28; De Lisi Elvira, 37; Di Natale Francesco, 2; Diodato Antonella, 7; Diodato Giuseppe, 1; Diodato Vincenzo, 10; Filippi Giacomo, 47; Fontana Vito, 38; Fullone Carmela, 17; Fullone Rosario, 49; Gallo Vito, 25; Greco Antonino, 23; Gruber Marta, 55; Guarano Andrea, 38; Guardì Vincenzo, 26; Gherardi Guelfo, 59; Guerino Giacomo, 9; Guerra Graziella, 27; Guzzo Rita, 30; La China Giuseppe, 58; La Rocca Gaetano, 39; Licata Paolo, 71; Liotta Maria Rosaria, 24; Lupo Francesca, 17; Lupo Giovanna, 32; Manitta Giuseppe, 54; Marchese Claudio, 23; Marfisi Daniela, 10; Marfisi Tiziana, 5; Mazzel Rita Giovanna, 37; Mazzel Erta Dora Erica, 48; Mignani Maria Assunta, 30; Molteni Annino, 59; Norrito Guglielmo, 37; Ongari Lorenzo, 23; Papi Paola, 39; Parisi Alessandra, 5; Parrinello Carlo, 43; Parrinello Francesca, 49; Pellicciani Anna Paola, 44; Pinocchio Antonella, 23; Pinocchio Giovanni, 13; Prestileo Gaetano, 36; Reina Andrea, 34; Reina Giulia, 51; Ronchini Costanzo, 34; Siracusa Marianna, 61; Speciale Maria Elena, 55; Superchi Giuliana, 11; Torres Pierantonio, 33; Tripiciano Maria Concetta, 45; Ugolini Pier Paolo, 33;
Valentini Daniela, 29; Valenza Giuseppe, 33; Venturi Massimo, 31; Volanti Marco, 36; Volpe Maria, 48; Zanetti Alessandro, 8; Zanetti Emanuele, 31; Zanetti Nicola, 6.
Le famiglie delle vittime sono riunite in un'Associazione Parenti delle Vittime della Strage di Ustica con sede in Via Polese, 22 - 40122 Bologna - Tel. 051/253925. L’Associazione è presieduta dalla senatrice Daria Bonfietti, componente della Commissione Stragi.

giovedì 26 giugno 2008

Novella 2000 & il "pacco" di Gianfranco Fini


Di solito non sono avvezzo alla lettura della cosiddetta "stampa rosa" ma questa volta sono rimasto incuriosito dall'articolo che il sito del Corriere della Sera ha dedicato allo scoop di Novella 2000 in edicola da domani. L'anticipazione è ghiotta, oltremodo intrigante e riguarda la terza carica dello Stato. Ebbene sì, proprio il presidente della Camera dei Deputati, l'onorevole Gianfranco Fini, è l'involontario protagonista di un servizio fotografico che ne mette in risalto gli "attributi" e che fa capire cosa abbia fatto "ingolosire" la sua compagna Elisabetta Tulliani al momento della scelta di affiancarsi al leader politico di destra, dopo aver lasciato i presumibili e svalutati "gioielli di famiglia" di Luciano Gaucci. Una delle foto che corredano il servizio di Novella 2000 e che il nuovo direttore donna, ed ex collaboratrice di Vanity Fair, vale a dire Candida Morvillo, ha deciso di pubblicare in copertina, ritrae la mano sinistra di Elisabetta Tulliani intenta a controllare che il "pacco" del suo onorevole compagno sia sempre al suo posto e che non sia evaporato al cocente sole di Porto Ercole. Rassicuratasi sull'evento, la ex soubrette televisiva nonchè avvocato del Foro di Roma, si è lasciata andare ad effusioni e "strusciamenti" tipici dei livelli testosteronici alto di gamma, con prevedibile "atto finale" (la sera stessa) nel talamo estivo predisposto alla bisogna. Chissà che il servizio fotografico, riguardante l'attestata "bontà" della virilità dell'onorevole Fini, non possa determinare una sorta di indiretta gelosia nel presidente del Consiglio che invece (per la testimonianza dei suoi "gioielli di famiglia") deve ricorrere ad una foto quasi ingiallita che ancora circola sulla Rete e che risale oramai alle guerre puniche...

mercoledì 25 giugno 2008

Berlusconi, il baluardo della libertà (personale)


Il rumore alquanto fragoroso delle polemiche inerenti la norma "salva-premier" (per il blocco dei processi cosiddetti "meno importanti") sta assediando i corridoi dei palazzi di potere, dal Transatlantico a Palazzo Madama, dalle segreterie dei (pochi) partiti d'opposizione alle redazioni dei giornali non riconducibili alla "sfera d'influenza" del cavaliere. E tutto questo solo perchè il presidente del Consiglio ha pensato bene di dare la precedenza a quei processi che vedono protagonisti criminali di grosso spessore e dal curriculum impressionante, non certo a quei processucoli di poco conto che lo vedono impegnato (alquanto controvoglia) a rispondere di fronte ai magistrati, che fanno un uso criminoso della legge, per dei reati di infimo valore come la corruzione in atti giudiziari. Un tipo di reato che, come scrive giustamente Giuseppe D'Avanzo stamani su la Repubblica (http://www.repubblica.it/2008/06/sezioni/politica/giustizia-2/prezzo-impunita/prezzo-impunita.html) è sulla via del tramonto, più unico che raro: se ne celebrano, infatti, due l'anno. E vuoi allora che il presidente del Consiglio non colga la palla al balzo e non dica che questo tipo di reato deve essere "congelato" (se proprio non si riesce a farlo sparire...) per far posto a reati e relativi processi molto più "freschi"? Il ragionamento dell'omino di Arcore non fa una grinza (quasi come i suoi Caraceni) e ancor di più non crea problemi o intoppi al sistema giudiziario, anzi! E allora perchè tutte queste sterili e insulse polemiche? Perchè questo immotivato e perpetuo astio nei confronti di uno "statista" dall'altissimo profilo morale ed istituzionale, dal cristallino e irreprensibile passato imprenditoriale, dall'innegabile senso del dovere e (tanto per non farci mancare niente) dall'eccezionale animo umano, caritatevole e filantropico? Perchè questa stupida e reiterata avversione? Mah, francamente non capisco. Però, a pensarci bene, un dubbio mi viene. Vuoi vedere che tutta questa antipatia è generata dal fatto che il cavaliere si è fatta a sua immagine e somiglianza una ennesima legge "personale"? Ho letto stamani che si lamentava con alcuni eurodeputati che "...la situazione in Italia è molto triste, perchè c'è un regime dei magistrati di sinistra. Ma io sono il baluardo della libertà e non mi piegherò, e non me ne andrò!..."; immagino stesse parlando della situazione di qualche suo vecchio amico, non credo della propria. E comunque che lui rappresenti un baluardo della libertà, della sua libertà personale (non certo di quella degli altri) è un dato di fatto incontrovertibile. Come altrettanto evidente è la sua ossessione per i magistrati, miscelata con la paura che un giorno o l'altro (magari alle 4 di mattina) qualcuno bussi alla porta della sua villa di Arcore. E che magari (guarda un pò) non sia la sua scorta...

martedì 24 giugno 2008

il caso Orlandi & la prescrizione della verità


La scomparsa della cittadina vaticana Emanuela Orlandi, avvenuta a Roma il 22 giugno del 1983, è ritornata prepotentemente d'attualità dopo le recenti dichiarazioni della cosiddetta "supertestimone" Sabrina Minardi, ex moglie del famoso Bruno Giordano e compagna (all'epoca del rapimento Orlandi) di Enrico De Pedis, detto Renatino, personaggio apicale della famosa Banda della Magliana (http://www.raiclicktv.it/raiclickpc/secure/stream.srv?id=29253&idCnt=26523&path=RaiClickWeb^Storie^Home), la quale banda era sempre presente, per un verso o per un altro, ogni qualvolta c'era un "mistero" nella storia d'Italia degli ultimi 30 anni: dalla strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980, alla morte del giornalista Mino Pecorelli, alla morte del banchiere Roberto Calvi, solo per fare qualche esempio. L'intricato caso della scomparsa di Emanuela Orlandi ha avuto, nel corso di questi 25 anni, un percorso simile alle montagne russe, con rivelazioni e smentite, ipotesi suggestive e amare realtà. Tutto sempre all'insegna dei misteri italiani, tipici del nostro Paese, dove si è ineguagliabili maestri nel nascondere o distorcere la verità, a seconda delle esigenze e delle evenienze. Dove c'è sempre qualcuno, legato a doppio filo ora ai servizi segreti ora a una banda di criminali, che ha interesse a depistare, a sviare, a fare in modo in buona sostanza che la verità non venga scoperta, facendo magari trascorrere decenni e incanalando il caso verso la classica prescrizione, chiamata anche archiviazione. Nella fattispecie del caso Orlandi, però, c'è stata sempre la volontà di ferro della famiglia della cittadina vaticana nel non voler accettare l'oblìo, nel battersi comunque per arrivare alla verità, supportata anche dalla trasmissione televisiva Chil'havisto? che anche ieri sera ha dedicato gran parte della puntata a queste nuove rivelazioni della "supertestimone". E i maggiori quotidiani nazionali ne hanno dato ampio risalto sulle prime pagine di oggi (http://www.corriere.it/cronache/08_giugno_24/re_gol_boss_mala_caccia_19e20058-41b3-11dd-b0b2-00144f02aabc.shtml) cercando, almeno in parte, di contribuire a non far scattare questa dolorosa "prescrizione della verità" sul caso della oramai quasi quarantenne (nel caso fosse ancora viva, come spero) Emanuela Orlandi.

lunedì 23 giugno 2008

Donadoni & il solito plotone (mediatico) d'esecuzione


E' sempre la solita storia. Non c'è nulla da fare. Si ripete per l'ennesima volta l'ennesima farsa mediatica. Dalle stelle degli elogi sperticati per la conquista dei quarti di finale europei, alle stalle delle critiche rancorose e velenose degli "addetti ai lavori" che quasi sempre sono dei commissari tecnici mancati, che avrebbero volentieri voluto essere al posto di chi in questo momento stanno impallinando, con i loro taccuini vergati con il curaro o con i notebook picchiettati con sadismo e acredine. Roberto Donadoni il giorno dopo è come Nostro Signore sulla croce, insultato e deriso dalla popolazione, con i centurioni-giornalisti tutti lì pronti a passare le loro spugne (critiche) imbevute di aceto sulle labbra del crocifisso, con qualcuno che con maggiore sadismo gli trafigge anche il costato con la lancia delle auspicate e invocate dimissioni. Ma l'uscita della Nazionale italiana di calcio, dal palcoscenico prestigioso degli Europei di Austria e Svizzera, non può certamente limitarsi all'addossare tutte le colpe sulle spalle non certo titaniche di Donadoni. Non si può sommariamente processare l'uomo che avuto il coraggio (di questo si deve parlare) di prendersi l'eredità mondiale di Marcello Lippi e in due anni ha cercato di mettere insieme quei 23 -24 giocatori che il campionato di calcio italiano (oltre a quello tedesco, spagnolo e francese) aveva messo in evidenza. Come non si può non far finta che alcuni giocatori italiani abbiano profondamente deluso in questa competizione europea. Sarà stato lo stress accumulato per via delle 60 e più partite disputate in stagione, sarà stato qualche notte a luci rosse più del consentito, sarà quel che sarà, ma nomi di un certo spessore come Toni, Aquilani, Materazzi (e mi fermo qui) non hanno certamente fatto fino in fondo il loro dovere (seppur i diretti interessati dichiarano il contrario). Alcune partite sono state caratterizzate dalla "mollezza" psicologica e fisica con cui si è entrati in campo (quella con l'Olanda per esempio), altre dalla paura di sbagliare (quella di ieri sera con la Spagna per esempio), altre ancora da una somma di fattori che includono errori arbitrali e mancanza di nerbo agonistico (quella con la Romania). Al tirar delle somme, comunque, non si può certamente essere di che soddisfatti di un attacco presentato alla vigilia degli Europei come "l'attacco delle meraviglie", con il capocannoniere italiano (Del Piero) e con quello tedesco (Luca Toni) capaci di segnare in due una cinquantina di reti in stagione e di non segnarne neanche una in quattro partite. Non si va certo avanti in una competizione dura e selettiva come quella europea con i gol di Panucci o di Pirlo o di De Rossi, non si può sempre sperare nella "buona stella" e confidare negli errori altrui (le testate allo sterno avvengono una ogni morte di papa), non è sempre possibile cullarsi sugli allori vinti e sulla tradizione vincente del tricolore. Ci vogliono anche gli attributi alla Gattuso, che non sempre pendono dalle parti di altri strapagati giocatori. Quindi cari miei (e mi rivolgo al plotone giornalistico d'esecuzione), abbassiamo le baionette, disinseriamo il colpo in canna e voltiamo pagina. Che ora la nuova pagina, il nuovo capitolo della storia della Nazionale di calcio, venga scritta da chi l'ha fatto nel recente passato (Lippi) o da un nuovo commissario tecnico è abbastanza relativo: l'importante è che il nuovo "nocchiero" sappia condurre e navigare bene la barca per approdare tra due anni alle coste del Sudafrica. Sperando in un cielo stellato come quello di Berlino di due anni fa...

questo insano disprezzo per la vita


L'agghiacciante fatto di sangue accaduto ieri pomeriggio in un quartiere-bene di Roma (http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=26375&sez=HOME_ROMA), che ha visto la morte di due giovani di 24 e 25 anni, a seguito di un presumibile omicidio-suicidio, mi ha lasciato letteralmente stordito e incapace di cercare una motivazione (seppur ipotetica e lontana) che desse un senso, una parvenza di logicità ad un accadimento di per sè insano e illogico. Per quanto mi sia sforzato di capire cosa possa spingere due ragazzi poco più che ventenni a togliersi la vita, ancora oggi, a distanza di ventiquattro ore dal tragico fatto, mi è impossibile capirlo e accettarlo. Capirlo proprio no, perchè non c'è nulla che si possa capire quando la mente (forse offuscata, malata, comunque non certo lucida e funzionante) di una persona nel fiore dei suoi anni si mette in moto in un cortocircuito cerebrale così maniacale e letale da portare alla tragica extrema ratio di togliere la vita alla propria compagna e successivamente di togliersi la propria. Una vita talmente disprezzata e calpestata da non capire che non è una nostra nuda proprietà, che non abbiamo un diritto di prelazione o di priorità che ci permetta di deciderne il destino e la eventuale conclusione della stessa. Un dono divino, ricevuto per interposta persona (nostra madre), che niente e nessuno potrà mai pensare di rifiutare, di abiurare, di lacerare con un atto autolesionistico. E che nessuna motivazione di "mal di vivere", di difficoltà esistenziali o finanziarie, di delusioni amorose o familiari potrà mai giustificare o tendenzialmente "approvare" al di là dell'umana pietà. Capire e apprezzare la ineguagliabile fortuna di avere una vita a disposizione per osservare un tramonto, per guardare negli occhi chi vogliamo bene, per goderci tutti gli attimi che il Signore ci ha regalato e continua a regalarci, non ha prezzo, non ha valutazione che tenga. E' un dono immenso che ognuno di noi dovrebbe gelosamente custodire e centellinare per ogni mattino in cui abbiamo la fortuna di riaprire gli occhi. E vivere. Ringraziando di poterlo fare.

domenica 22 giugno 2008

il ministro (berlusconiano) dalla parolaccia facile


Il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, viene contestato e fischiato ieri alla Festa della Cisl; perde le staffe e reagisce con un "vaffa" all’indirizzo dei contestatori (http://www.lastampa.it/multimedia/multimedia.asp?IDmsezione=17&IDalbum=10518&tipo=VIDEO). Episodio che monopolizza l’attenzione in una giornata di confronto, sui temi dell’economia, tra rappresentanti del governo e della politica, banche e imprese, ed il leader della Cisl Raffaele Bonanni come padrone di casa. Il ministro difende con passione le mosse del governo. La platea rumoreggia, qualche fischio, qualche contestazione. Il ministro smette per un attimo di parlare, allontana il microfono, abbassa la voce, ma il sistema di amplificazione lo tradisce: gli scappa un «vaffanculo». La contestazione scatta dopo il riferimento di Sacconi alle «toghe politicizzate». «Cinque persone», dice il ministro, ipotizzando che possano essere simpatizzanti di Antonio Di Pietro, ospite di una tavola rotonda prevista subito dopo. L’episodio arriva dopo un cenno di Sacconi al delicatissimo tema della Giustizia, nel quadro di un ragionamento sulle difficoltà di dialogo con l’opposizione. «Dovremmo far finta di non vedere che con una mano si dialoga e con l’altra si ricorre ancora all’arma di una giustizia politicizzata», dice. Dalla platea un ex operaio delle vicine acciaierie, ex delegato sindacale, pensionato, lo interrompe. E lui sbotta. Poi ammonisce: «Non interpretate il labiale». E solo dopo, incalzato, farà una mezza ammissione: «Può darsi che l’abbia pensata», quella parola. I giornalisti insistono, hanno sentito, e ci sono le registrazioni dei tg. Ministro, lo ha detto? «Dipende, dipende da a chi era rivolto». Non alla Cisl: «Con cui non mi arrabbio mai». A farlo arrabbiare, forse, «quelle cinque persone venute per ascoltare Di Pietro». Il padrone di casa, Raffaele Bonanni, striglia la platea. Chi disturba «non può essere della Cisl. Non appartiene alla nostra cultura»: poi dice di essere dispiaciuto «per l’amico Sacconi», e chiede di evitare strumentalizzazioni politiche. A mantenere caldo il clima ci pensa anche il leader dell’Italia dei Valori, Antonio Di Pietro, che torna sul tema della Giustizia: parole dure contro «il caimano-Berlusconi», contro «un comportamento da dittatura dolce». Restano sullo sfondo i temi economici: la manovra, la crisi dei mercati. Banche e assicurazioni accusano il colpo della Robin Hood Tax, voluta dal ministro dell’Economia Giulio Tremonti per redistribuire la ricchezza.

sabato 21 giugno 2008

elogio di Curzio Maltese


Questo mio post di oggi è interamente dedicato al magnifico articolo scritto da Curzio Maltese per la Repubblica, dedicato al cavaliere e intitolato "Il morso del Caimano" che, a mio modesto avviso, dovrebbe essere inserito nei testi di preparazione all'esame di giornalismo. Un pezzo asciutto, intelligente, mordace e godibile dalla prima all'ultima frase, con un senso dell'ironia e della critica difficilmente riscontrabili in altre "prime firme" dell'editoria italiana. Un personalissimo applauso al quarantonevenne giornalista milanese che difficilmente delude i suoi lettori quando scrive un articolo (non soltanto dedicato a Sua Emittenza), come questo che vi ripropongo. Buona lettura. E' un po' ingenuo, anzi molto, stupirsi che Berlusconi sia tornato Caimano. Se esiste una persona fedele a se stessa, oltre ogni umana tentazione di dubbio o di noia, questa è il Cavaliere. Era così già molto prima della discesa in politica, con la sua naturale carica eversiva, il paternalismo autoritario, l'amore per la scorciatoia demagogica e il disprezzo irridente per ogni contropotere democratico, a cominciare dalla magistratura e dal giornalismo indipendenti, l'insofferenza per le regole costituzionali, appresa alla scuola della P2. Il problema non è mai stato quanto e come possa cambiare Berlusconi, che non cambia mai. Piuttosto quanto e come è cambiata l'Italia, che in questi quindici anni è cambiata moltissimo. In parte grazie all'enorme potere mediatico del premier. Ogni volta che Berlusconi ha conquistato Palazzo Chigi ha provato a forzare l'assetto costituzionale e per prima cosa ha attaccato con violenza la magistratura. Lo ha fatto nel 1994 con il decreto Biondi, primo atto di governo; nel 2001, quando i decreti d'urgenza sulla giustizia furono presentati prima ancora di ricevere la fiducia; e oggi. Con una escalation di violenza nei toni e, ancor di più, nei contenuti dei provvedimenti. Il pacchetto giustizia di oggi è più eversivo della Cirami e del lodo Schifani, a sua volta più eversivi del "colpo di spugna" del '94. Ma, alla crescente forza delle torsioni imposte da Berlusconi agli assetti democratici, ha corrisposto una reazione dell'opinione pubblica sempre più debole. Nel '94 la rivolta contro la "salva-ladri" azzoppò da subito un governo destinato a durare pochi mesi. Nel 2001 i "girotondi" inaugurarono una stagione di movimenti, con milioni di persone nelle piazze, che si tradussero fin dal primo anno in una serie di pesanti sconfitte elettorali per la maggioranza di centrodestra, pure larghissima in Parlamento.
La terza volta, questa, in presenza di un tentativo ancora più clamoroso di far saltare i cardini della magistratura indipendente, la reazione è molto debole. L'opposizione, accantonate le illusioni di dialogo, annuncia una stagione di lotte, ma non ora, in autunno. La cosiddetta società civile sembra scomparsa dalla scena. I magistrati sono gli unici a ribellarsi con veemenza, ma sembrano isolati, almeno nei sondaggi. Quasi difendessero la propria corporazione e non i diritti e la libertà di tutti, così come l'hanno disegnata i padri della Costituzione. Ecco che la questione non è che cosa sia successo a Berlusconi (nulla), ma che cosa è successo al Paese. Siamo davvero diventati un "Paese un po' bulgaro", come si è lasciato sfuggire il demiurgo pochi giorni fa? La risposta, purtroppo, è sì. In questo quarto di secolo che non ha cambiato Berlusconi, l'Italia è cambiata molto e in peggio, il tessuto civile e sociale si è logorato, il senso comune è stato modellato su pulsioni autoritarie. Molti discorsi che si sentono negli uffici, nei bar, sulle spiagge oggi, da tutti e su tutto, si tratti di immigrazione o di giustizia, di diritti civili come di religione, di Europa o di sindacati, nell'Italia del '94 sarebbero stati inimmaginabili. Il berlusconismo è partito dalla pancia di un Paese dove la democrazia non si è mai compiuta fino in fondo, per mille ragioni (ragioni di destra e di sinistra), ma ora ha invaso tutti gli organi della nazione ed è arrivato al cervello. La mutazione genetica della società italiana è evidente a chi ci guarda da fuori. Perfino negli aspetti superficiali, di pelle: non eravamo mai stati un popolo "antipatico", com'è oggi. Più seriamente, il ritorno di Berlusconi al potere e le sue prime e devastanti uscite hanno evocato i peggiori fantasmi sulla scena internazionale. Si tratta però di vedere se il "caso Italia" è tale anche per gli italiani. Se nell'opinione pubblica esistano ancora quei reagenti democratici che hanno impedito nel '94 e nel 2001 la deriva, più o meno morbida, verso un regime. I segnali sono contraddittori, la partita è aperta. Certo, in questi decenni la forza d'urto del populismo berlusconiano è andata crescendo, così come la presa su pezzi sempre più ampi di società. Non si tratta soltanto di potere delle televisioni o dell'editoria, ma di una vera e propria egemonia culturale. E sorprende che nell'opposizione, gli ex allievi di Gramsci, ancora oggi, a distanza di tanto tempo, non comprendano i meccanismi e la portata della strategia in atto. Altro che "l'onda lunga" di craxiana memoria. Anche loro, purtroppo, non cambiano mai. Si erano illusi (ancora!) di trasformare Berlusconi in uno statista, offrendogli un tavolo di trattative. S'illudono (ancora!) di poter resistere con la politica del "giù le mani" e con l'arroccarsi nelle regioni rosse, che sono già rosa pallido e rischiano prima o poi di finire grigie o nere. In attesa di tempi migliori. Non ci saranno tempi migliori per l'opposizione. Bisogna trovare qui e ora il coraggio di proposte forti e alternative al pensiero unico dominante, invenzioni in grado di suscitare dibattito e bucare così la plumbea egemonia "bulgara" dell'agenda governativa. Bisogna farsi venire qualche idea, anzi molte, una al giorno, per svegliare l'opinione pubblica democratica dal torpore ipnotico con cui segue gli scatti in avanti di Berlusconi. Lo stesso torpore ipnotico che coglie la preda davanti alle mosse del caimano. Che alla fine, attacca.

venerdì 20 giugno 2008

il PD e una ripartenza (politica) difficoltosa




L'assemblea costituente del Partito Democratico in corso alla nuova Fiera di Roma (da seguire in diretta su http://www.democratica.tv/) ha permesso al segretario Walter Veltroni di far conoscere ancora più nei dettagli (con la sua articolata e pungente relazione di questa mattina, http://www.partitodemocratico.it/gw/producer/dettaglio.aspx?ID_DOC=53360) la sua idea e il suo giudizio su queste prime settimane del governo berlusconiano. Un giudizio estremamente critico e negativo (e non poteva essere diversamente) che però questa volta ha una maggiore e più concreta valenza oppositiva, propria di un leader di partito di opposizione, a differenza di qualche tempo fa quando il PD si schierava su posizioni "dormienti" e poco incisive. Per far sentire ancora più forte la sua voce Veltroni, dal palco dell'assemblea del PD, ha annunciato che "in autunno ci sarà una larga parte degli italiani che noi chiameremo a raccolta per un'azione di protesta e di proposta in tutto il Paese e culminerà con una grande manifestazione nazionale" facendo intendere così alla maggioranza berlusconiana che i segni di risveglio politico del partito di opposizione ci sono e continueranno ad esserci. Certo, ci voleva lo "strappo" sull'emendamento "salva-premier" per far ridestare le coscienze critiche del PD e dei suoi delegati, che proprio in questa assemblea romana stanno offrendo un segnale chiaro e positivo di voglia di riprendere in mano un ruolo costituzionalmente e politicamente importante, vitale com'è quello del partito di opposizione. Una ripartenza certamente difficoltosa e piena di incognite, dovuta anche ai malumori di alcune "correnti" interne (Parisi in testa) che ovviamente non sono "allineati e coperti" alle direttive del segretario. Ma nonostante ciò, ho l'impressione che questa "animata" discussione politica, in corso alla Fiera di Roma, sia il segnale inequivocabile di una effettiva "presenza" del Partito Democratico nel panorama politico italiano, senza ombre e senza compromessi, ma alla luce del sole e con l'approvazione di milioni di italiani che un paio di mesi fa avevano espresso senza indugio un voto favorevole.

giovedì 19 giugno 2008

Veltroni e i segnali di risveglio




Ho la netta impressione che il leader del Partito Democratico, Walter Veltroni, si sia risvegliato dal lungo torpore post-elettorale. I sintomi evidenti sono le sue ultime dichiarazioni dopo l'emendamento "salva-premier" e la sua chiacchierata di ieri con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Segnali evidenti di risveglio e di ripristino delle funzioni di capo dell'opposizione, recentemente cloroformizzate dalla situazione di stallo e di attesa per un eventuale dialogo sulle riforme con il cavaliere e le sue legioni. E così, dopo le ultime misure del governo Berlusconi su giustizia e clandestini, sembra essere giunto al capolinea quel clima di dialogo che si era instaurato subito dopo le elezioni del 13 e del 14 aprile.
Ieri mattina, come detto, Veltroni è salito al Quirinale per spiegare direttamente al Capo dello Stato le motivazioni che lo hanno spinto a interrompere il dialogo con la maggioranza, cambiando linea nonostante l'auspicio, espresso dal presidente della Repubblica e fatto proprio da Veltroni, di un nuovo clima tra gli schieramenti.
L'incontro ha dato l'occasione per uno scambio di vedute tra il presidente della Repubblica e il capo del maggior partito di opposizione: entrambi, Napolitano dal punto di vista istituzionale e Veltroni da quello politico, avrebbero espresso preoccupazione per gli effetti che può avere sul Paese un clima politico più aspro. Il segretario del PD avrebbe evidenziato che il cambio di linea dell'opposizione è dovuto alle scelte della maggioranza, ma non sarebbe irreversibile, nel caso in cui da parte del Governo ci fosse una correzione di rotta ed un ritorno ad un confronto costruttivo tra gli schieramenti. L’evento che ha sancito la fine del dialogo risale a ieri, quando la capogruppo del PD Anna Finocchiaro tra gli applausi scroscianti dell’aula del Senato, ha annunciato che il Partito Democratico non avrebbe partecipato al voto dell'emendamento "salva-premier", che sospende i processi per i reati commessi fino al giugno 2002. L'emendamento è passato nell'aula del Senato con 160 sì e 11 no. «Berlusconi avrebbe potuto comportarsi da statista e da persona attenta alle sorti del Paese - ha sottolineato in aula il presidente dei senatori del PD -. Non lo ha voluto fare, forse per paura, certamente per pregiudizio. Trovo che sia un fatto grave. Noi non possiamo votare per quell'emendamento». «Forse il premier riuscirà ad evitare questa sentenza – ha continuato -, che sarebbe stata peraltro di primo grado proprio grazie a queste norme che ora state votando, ma ha senz’altro perso una grande occasione di rinnovamento dell'Italia. Stiamo assistendo a un film già visto e non è questa la politica che avremmo voluto vedere». Appena concluso il suo intervento, tutti i senatori dell'opposizione si sono alzati in piedi per applaudirla, mentre quelli della maggioranza sono rimasti immobili e muti ai loro posti. Anche l’Italia dei Valori mercoledì ha lasciato l’Aula. «Sono venuto a dare sostegno morale a questo impegno di civiltà – ha detto il leader dell'Idv Antonio Di Pietro -, un dovere civico a cui sono chiamati i senatori dell’Italia dei Valori in questo momento così delicato per lo stato di diritto». In buona sostanza, questi energici interventi della Finocchiaro e di Di Pietro mi sembra abbiano avuto un ottimo effetto ricostituente sulla precedente apatìa politica di Veltroni, determinando un cambiamento di rotta (spero definitivo) nel comportamento del Partito Democratico nei confronti del cavaliere che non ne vuol sapere di rispondere delle sue malefatte di fronte a un tribunale e che (come si evince dalla vignetta di Staino in alto) della legge ne vuol fare
un uso improprio...

mercoledì 18 giugno 2008

il "bluff" è stato scoperto!




Come un qualsiasi giocatore di poker (neanche troppo esperto), impegnato in una partita la cui posta in palio corrisponde alla propria credibilità, Silvio Berlusconi è ricorso al più classico dei bluff per ingannare i suoi elettori. In campagna elettorale (e parliamo di qualche mese fa, non di tempi remoti) ha invogliato il suo popolo di aficionados facendo credere loro che avrebbe cambiato l'Italia, realizzato tutti i progetti e i programmi che (poverino!) non gli avevano permesso in precedenza di portare a termine ('sti comunisti cattivoni!) e che avrebbe ripulito Napoli e la Campania dalla spazzatura. Incassato il voto, insediatosi a Palazzo Chigi e sistemati per bene i suoi scudieri sotto forma di ministri, vice-ministri e sottosegretari, ecco il cavaliere che getta sul tavolo le sue carte. Come prevedibile era un bluff, un modo come un altro per ingannare gli italiani. E adesso ce ne stiamo accorgendo. Ma oramai... Di questo (e di altro) parla un ottimo articolo di Luca Ricolfi in prima pagina oggi su La Stampa di Torino, dal titolo "A carte scoperte", che vi voglio riproporre. Buona lettura.
Peccato. Era probabilmente ingenuo sperarci, ma in molti ci eravamo augurati che fosse iniziata una nuova stagione politica. Forse non una stagione esaltante, di concordia nazionale e di rinascita dell’Italia, ma almeno una stagione di proposte ragionevoli e costruttive. Una stagione in cui i politici, pur continuando a litigare fra loro, si occupassero anche un po’ di alcune cose che stanno a cuore a noi: sicurezza, tenore di vita, servizi sociali. Dopotutto molte delle cose che in questi mesi il centro-destra ha fatto o si accinge a fare erano copiate dall’opposizione. Il pacchetto sicurezza riprendeva molte misure volute da Giuliano Amato, l’aliquota fissa sugli affitti ripropone un’idea cara a Rutelli e alla Margherita, la riforma dei servizi pubblici locali dovrebbe seguire il tracciato del disegno di legge Lanzillotta. Insomma, per molti versi il governo Berlusconi stava facendo le stesse cose che avrebbe voluto fare il PD, e che il PD non fece solo per non litigare con Rifondazione comunista. E invece no. Ora torneremo allo scontro e alla diffidenza, perché Berlusconi ha scoperto le carte e nessuno dei suoi osa fiatare. Che cosa ci dicono le carte che ora si vanno scoprendo una dopo l’altra? La prima carta ci rivela che la priorità delle priorità di Berlusconi è proteggere se stesso. Emendamento «salva Rete 4», limiti alle intercettazioni e alla libertà di stampa, norme per fermare il processo Mills, ricusazione del magistrato che dovrebbe giudicare il premier, riproposizione del lodo Schifani, tutto indica che ci risiamo: Berlusconi avrà anche un’idea del futuro dell’Italia, ha sicuramente ragione in alcune critiche alla magistratura, ma quando si mette in movimento è del tutto incapace di separare l’interesse personale da quello del Paese. Come ha suggerito Vittorio Feltri ieri su Libero, sarebbe molto meglio che parlasse chiaro dei propri guai senza pretendere di ridisegnare istituzioni e regole solo per bloccare un singolo processo, quello che lo riguarda. La seconda carta ci rivela che Berlusconi confonde sicurezza e legalità. Sia le norme sulle intercettazioni sia quelle sulla sospensione dei processi «minori» tendono a limitare l’azione di contrasto della criminalità ai soli reati considerati di forte «allarme sociale», e allentano la presa su quelli che - non toccando direttamente il cittadino medio - suscitano minori ansie e paure. Rientrano tipicamente in questa categoria i reati ambientali, economici, finanziari, ossia i cosiddetti reati dei «colletti bianchi»: in poche parole i reati commessi da dirigenti, funzionari, impiegati, imprenditori, finanzieri, politici, ivi compresi - naturalmente - alcuni reati di cui è stato accusato Berlusconi. Dettando alla magistratura le priorità sui reati da perseguire, e pretendendo di accantonare i procedimenti per reati di minore allarme sociale, il governo mostra che, ammesso che qualcosa gli importi della sicurezza, della legalità gli importa invece ben poco. Questo è un guaio, non tanto e non solo perché in troppi la faranno franca, ma perché se il Paese è ridotto nello stato in cui è dobbiamo dire grazie anche alla continua e spudorata violazione delle regole del vivere civile. Se ci fosse un po’ più di legalità, non avremmo ogni anno 80 miliardi di sprechi nella Pubblica Amministrazione e 100 miliardi di evasione fiscale. E magari sarebbe anche meno diffuso quel senso generale di ingiustizia, di iniquità e di impotenza che si è impadronito di tanti cittadini. Ma c’è anche una terza carta che sta venendo allo scoperto. Il governo non solo se ne infischia della legalità, ma sembra curarsi ben poco della stessa sicurezza. Dalle maglie artificiosamente allargate per salvare i «colletti bianchi», oltre a vari reati finanziari stanno uscendo anche reati di forte allarme sociale. Succede così che, con le nuove norme, non possano più essere intercettati i soggetti sospettati «soltanto» di associazione per delinquere semplice, truffa, rapina. E rischiano di essere sospesi migliaia di procedimenti per reati predatori, come lo scippo o il furto. Per non parlare dell’aspetto simbolico di questi provvedimenti. La sospensione per un anno (o per sempre?) dei processi minori di fatto funzionerà come un’amnistia mascherata, e nel frattempo manda un segnale opposto a quello che si intendeva inviare con il reato di clandestinità. Quanto a quest’ultimo, e più in generale alla minaccia di norme più severe contro gli irregolari, la loro credibilità resta minima perché non è accompagnata né da provvedimenti capaci di accelerare i processi né da stanziamenti adeguati in materia di edilizia carceraria.

martedì 17 giugno 2008

dalla lettera di San Silvio ai suoi discepoli...




"Caro Presidente, come Le è noto stamane i relatori senatori Berselli e Vizzini, hanno presentato al cosiddetto decreto sicurezza un emendamento volto a stabilire criteri di priorità per la trattazione dei processi più urgenti e che destano particolare allarme sociale. In tale emendamento si statuisce la assoluta necessità di offrire priorità di trattazione da parte dell'Autorità Giudiziaria ai reati più recenti, anche in relazione alle modifiche operate in tema di giudizio direttissimo e di giudizio immediato. Questa sospensione di un anno consentirà alla magistratura di occuparsi dei reati più urgenti e nel frattempo al governo e al Parlamento di porre in essere le riforme strutturali necessarie per imprimere una effettiva accelerazione dei processi penali, pur nel pieno rispetto delle garanzie costituzionali. I miei legali mi hanno informato che tale previsione normativa sarebbe applicabile ad uno fra i molti fantasiosi processi che magistrati di estrema sinistra hanno intentato contro di me per fini di lotta politica. Ho quindi preso visione della situazione processuale ed ho potuto constatare che si tratta dell'ennesimo stupefacente tentativo di un sostituto procuratore milanese di utilizzare la giustizia a fini mediatici e politici, in ciò supportato da un Tribunale anch'esso politicizzato e supinamente adagiato sulla tesi accusatoria. Proprio oggi, infatti, mi è stato reso noto, e ciò sarà oggetto di una mia immediata dichiarazione di ricusazione, che la presidente di tale collegio ha ripetutamente e pubblicamente assunto posizioni di netto e violento contrasto con il governo che ho avuto l'onore di guidare dal 2001 al 2006, accusandomi espressamente e per iscritto di aver determinato atti legislativi a me favorevoli, che fra l'altro oggi si troverebbe a poter disapplicare. Quindi, ancora una volta, secondo l'opposizione l'emendamento presentato dai due relatori, che è un provvedimento di legge a favore di tutta la collettività e che consentirà di offrire ai cittadini una risposta forte per i reati più gravi e più recenti, non dovrebbe essere approvato solo perché si applicherebbe anche ad un processo nel quale sono ingiustamente e incredibilmente coinvolto. Questa è davvero una situazione che non ha eguali nel mondo occidentale. Sono quindi assolutamente convinto, dopo essere stato aggredito con infiniti processi e migliaia di udienze che mi hanno gravato di enormi costi umani ed economici, che sia indispensabile introdurre anche nel nostro Paese quella norma di civiltà giuridica e di equilibrato assetto dei poteri che tutela le alte cariche dello Stato e degli organi costituzionali, sospendendo i processi e la relativa prescrizione, per la loro durata in carica. Questa norma è già stata riconosciuta come condivisibile in termini di principio anche dalla nostra Corte Costituzionale. La informo quindi che proporrò al Consiglio dei ministri di esprimere parere favorevole sull'emendamento in oggetto e di presentare un disegno di legge per evitare che si possa continuare ad utilizzare la giustizia contro chi è impegnato ai più alti livelli istituzionali nel servizio dello Stato. Cordialmente, Silvio Berlusconi". Questa è la lettera che il cavaliere (dopo aver gettato la maschera, come scrive giustamente oggi Ezio Mauro su la Repubblica, http://www.repubblica.it/2008/06/sezioni/cronaca/sicurezza-politica-9/mauro-volto-cavaliere/mauro-volto-cavaliere.html) ha inviato al suo discepolo preferito, il presidente del Senato Renato Schifani, il quale, credo, non mancherà di far sentire al suo capo tutta la propria vicinanza e solidarietà, in un momento così "doloroso e triste" come quello in cui versa Sua Emittenza dopo il solito "attacco" delle Toghe Rosse...Povero cavaliere, ma ce l'hanno sempre tutti con lei! E' proprio un vergognosa congiura!

lunedì 16 giugno 2008

La Russa l'afghano & la voglia di militarizzare




Chissà perchè ma in questi giorni di polemiche, a proposito della decisione del ministro della Difesa Ignazio La Russa di mandare nelle strade 2.500 miliari italiani dell'Esercito per fronteggiare la oramai cantilenante "emergenza sicurezza" (all'interno del famigerato "pacchetto sicurezza"), mi è tornato alla mente la caricaturale macchietta di qualche tempo fa che Fiorello faceva del mefistofelico esponente di Alleanza Nazionale, quando nel programma "Stasera pago io" evidenziava, oltre che il caratteristico tono della voce, anche il senso oltremodo "macho" delle sue dichiarazioni o degli slogan usati dall'attuale Ministro, unitamente alla scelta di un determinato dopobarba per l'uomo che non doveva chiedere mai, fino alla scelta del nome tipo Vercingetorige da affibbiare al nipotino appena arrivato ad allietare il clan La Russa. Caratterizzazioni sarcastiche usate all'epoca dallo showman siciliano ma che ben si sposano anche oggi alle definite caratteristiche "decisionistiche" da uomo forte del governo berlusconiano. La sua proposta di militarizzazione delle città ha fatto subito scatenare le naturali polemiche di chi, non essendo d'accordo con la scelta, ne critica i contenuti e gli obbiettivi. Primo fra tutti, come sempre, Antonio Di Pietro, che ha detto che non siamo in Colombia e che quindi non si avverte questa esigenza di inviare l'Esercito nelle piazze. Ha fatto eco anche l'ex ministro della Difesa Antonio Martino che oggi, in un'intervista a il Messaggero (http://carta.ilmessaggero.it/view.php?data=20080616&ediz=20_CITTA&npag=5&file=J_174.xml&type=STANDARD), ha fatto notare che questa decisione potrebbe dare all'esterno (e quindi all'estero) una sensazione negativa di mancanza di sicurezza, quasi come se ci trovassimo a Kabul e non a Roma. Parole condivisibili, ma che credo non arriveranno ad intaccare la sicurezza filo-afghana del "macho" Ignazio, che si sta sempre più avvicinando ad una cultura "dura e pura" che ricorda sempre più da vicino un personaggio storico con la pelata e con gli stivali, che amava affacciarsi da un importante balcone di una piazza altrettanto importante di Roma. Non di Kabul...

sabato 14 giugno 2008

in nome del popolo...di Berlusconi


Questo fatto che Berlusconi, al termine del CdM di ieri, abbia fatto notare che "gli italiani hanno voluto il ddl sulle intercettazioni" perchè secondo lui "...durante la campagna elettorale ho girato piazze piene di gente e di entusiasmo, e vi assicuro che ogni volta che ho parlato di limitare il sistema delle intercettazioni la gente mi ha applaudito moltissimo..." mi ha alquanto indispettito (per usare un eufemismo) e convinto ancor di più che il cavaliere parli sempre di più per se stesso e non per conto degli italiani. Al massimo parla in nome dei suoi aficionados, prendendo spunto dagli applausi della sua claque per cercare di convincerci che tutta la Nazione è con lui e con le sue scelte, con i suoi provvedimenti a favore della comunità (e non per se stesso). Aveva detto bene un paio di settimane fa Massimo D'Alema, in un suo intervento a Ballarò, quando (riferito al cavaliere) faceva notare che aveva una innegabile qualità, riconosciuta da tutti: quella di dire una cosa non vera, facendo credere agli italiani che era la sacrosanta verità. Lo stesso principio possiamo applicarlo al discorso inerente le leggi che Sua Emittenza (ed il suo ristretto circolo di yes man) di volta in volta concepisce per se stesso, tutelando i propri interessi e quelli della sua famiglia e dei suoi amici più cari, facendo credere all'Italia che sono stati pensati e realizzati per il bene comune di tutti i cittadini. Questa storia delle intercettazioni con lo sbarramento dei 10 anni è la tipica furbata di chi sa che così, per esempio, nel processo che lo vede imputato a Milano per "corruzione" nei confronti dell'avvocato David Mills, dove la pena edittale non supera gli 8 anni, tutto il materiale accusatorio costruito su intercettazioni e quant'altro resterà carta straccia. E carta straccia è già diventata tutta la monumentale prova d'accusa nell'affare RAI-Mediaset dello scorso anno (la costola dell'inchiesta della GdF sul fallimento della società HDC dell'ex sondaggista personale di Berlusconi, Luigi Crespi, come ci raccontano, in un esauriente articolo pubblicato oggi su la Repubblica, i due cronisti d'assalto Emilio Randacio e Walter Galbiati (http://www.repubblica.it/2008/06/sezioni/politica/giustizia-1/rai-mediaset-macero/rai-mediaset-macero.html), facendoci capire che aria tira con il Berlusconi quater. Un'aria talmente inquinata che l'ultimo baluardo dell'opposizione (Antonio Di Pietro) non ha potuto fare a meno di dichiarare che "...questa storia delle intercettazioni così come presentato in Consiglio dei Ministri mi ricorda il comportamento di un violentatore di bambini che ci prova e una volta tanto non gli riesce. Ma le mani addosso gliele ha messe e non è riuscito a violentarlo per cause indipendenti dalla sua volontà..." ricordandoci in questo modo che il lupo (di Arcore) ha perso il pelo (successivamente reimpiantato) ma non il vizio. E che vizio!

giovedì 12 giugno 2008

la tela del ragno del cavaliere




Seguendo la conferenza stampa di ieri pomeriggio di Silvio Berlusconi da Napoli (in diretta su Rainews24), in occasione della sua ennesima visita alla città per cercare di risolvere il problema rifiuti, ho intravisto nel suo sguardo e capito dalle sue parole che la sua più grande preoccupazione attuale non è tanto quella di rimuovere la monnezza dalle strade partenopee, quanto quella di poter velocemente portare a termine il suo progetto sulle intercettazioni, e di conseguenza uscire indenne da una situazione giudiziaria (il processo Mills di Milano, dove è accusato di aver corrotto con 600 mila dollari l'avvocato inglese David Mills per non fargli rivelare in qualità di testimone di aver "...gestito la sottoscrizione di fittizi contratti di compravendita di diritti di trasmissione tra società occultamente appartenenti al gruppo Fininvest..." come si legge nel capo d'accusa dei pm milanesi Fabio De Pasquale e Alfredo Robledo) alquanto pesante ed ingarbugliata. Il processo era stato sospeso per le elezioni politiche di aprile (non è difficile capire il motivo per cui il cavaliere tenesse tanto a vincerle...) ed ora dovrebbe riprendere, a patto che lo staff "tecnico" berlusconiano (Niccolò Ghedini in primis) non riesca a trovare in tempi rapidissimi la chiave di volta per far cadere tutto (come al solito) nel limbo delle prescrizioni o del non luogo a procedere. E questa mia personalissima impressione è stata avallata anche da Liana Milella che oggi su la Repubblica scrive questo interessante articolo che vi voglio riproporre integralmente. Buona lettura. Un gradino dopo l'altro. Passando per una norma che blocchi tutti i processi in corso per un anno, e tra questi principalmente quelli di Berlusconi a Milano (corruzione Mills, diritti televisivi Medusa). E puntando poi diritto a un disegno di legge che riproponga, riveduto e corretto per evitare i fulmini della Consulta, il famoso lodo Schifani, la legge che nel 2003 fermò per sei mesi tutti i procedimenti contro le cinque più alte cariche dello Stato. Cavaliere compreso, visto che l'attuale presidente del Consiglio rivestiva la stessa carica allora e, per giunta nel semestre di presidente di turno della Ue, vedeva incombergli addosso la conclusione del processo Sme. Il cammino è segnato, i passi legislativi decisi, i testi di massima già pronti, visto che Niccolò Ghedini, avvocato e consigliere giuridico del premier, ha lavorato mentre il capo di Forza Italia stava all'opposizione. L'unica incognita, e non di poco conto, sta nella Lega che vigila, legge e stanga i tentativi di mandare avanti progetti ad personam che poco piacerebbero al suo elettorato. È già successo, con un doppio e pesante intervento: il primo, con un altolà del ministro dell'Interno Roberto Maroni contro l'ipotesi di riaprire, a tempo ormai scaduto, le maglie del patteggiamento, infilando la norma nel decreto sicurezza. Il secondo stop, ancora riservato, è arrivato dallo stesso Maroni, quando si è profilata l'ipotesi di piazzare, sempre nel dl, un blocco generalizzato dei processi per mandare avanti solo quelli di più rilevante allarme sociale. Maroni ha detto no, al Senato il decreto andrà avanti com'è, ma non è escluso che Berlusconi torni alla carica. L'obiettivo è troppo importante per chi vuole governare con le mani libere da processi passati e futuri.
In questa strategia l'idea di ricorrere a una legge d'urgenza per bloccare le intercettazioni, anche se sarebbe piaciuta al premier per la sua speditezza, non si è mai consolidata in una richiesta esplicita. E dunque quello di ieri - il ddl sugli ascolti che diventa un dl nell'ordine del giorno del consiglio - è un mero errore formale, una svista. "Sarà stato un lapsus freudiano" come lo definisce, facendosi una risata, Bobo Maroni mentre arriva al Senato per seguire il voto sulle pregiudiziali di costituzionalità sul dl sicurezza. Maroni s'incontra con l'ex Guardasigilli Roberto Castelli. Tra i due corre una pacca sulle spalle e una battuta. Dice Maroni: "Hai visto? Su corruzione e concussione ho seguito la tua linea. Per entrambi i reati, e per quelli della pubblica amministrazione, le intercettazioni saranno possibili". Su questo la Lega, ancora ieri, era rigida e irremovibile. E oggi Bossi lo ripeterà a Berlusconi. Di ricorrere al decreto, invece, non s'è mai parlato perché si è sempre saputo che la strada non era percorribile. Se Berlusconi in cuor suor ci ha pensato e lo ha desiderato non lo ha chiesto. Lo conferma il Guardasigilli Angelino Alfano che non riesce a spiegarsi lo sbaglio. "Decreto? Un incredibile errore, ma un errore e basta. Ci metto la mano sul fuoco". Del resto, a Palazzo Chigi tutti sapevano bene, per le tante telefonate intercorse tra il sottosegretario alla presidenza Gianni Letta e il Colle, quale fosse la posizione di Napolitano. Che poi è la stessa di Ciampi il quale, il 9 settembre 2005, quando Castelli presentò il ddl sulle intercettazioni, escluse che si potesse ricorrere alla decretazione d'urgenza. La partita è ben altra. E a Berlusconi, che punta a togliersi dai piedi i suoi processi (Milano, e Napoli per i colloqui con l'ex presidente di Rai Fiction Saccà), poco importa di litigare col Colle per le intercettazioni. Per le quale semmai, con la sponda di Napolitano, può spuntare il voto dei democratici. Il nodo è tutt'altro. Il Cavaliere vuole evitare che i processi di Milano arrivino a sentenza. È irritato per l'accelerazione imposta nel procedimento Mills in cui è imputato per corruzione giudiziaria per via della falsa testimonianza dell'avvocato londinese. Per fermare le toghe c'è una sola via: prima bloccare il processo poi ricorrere a un nuovo lodo Schifani. Il piano di Ghedini era perfetto. Intrecciato con le norme sulla sicurezza. Poiché i tribunali sono intasati e la polizia si lamenta che ladri e scippatori, una volta arrestati, ritornano liberi, l'unica via è anticipare quei processi. Per farlo bisogna bloccare, per un anno, tutti gli altri. Compresi quelli del Cavaliere. Quando Maroni si è visto mettere sotto il naso il progetto lo ha bloccato. La strategia giudiziaria del Cavaliere ha subito una battuta di arresto. Ma la norma del congela i processi è lì, pronta a rispuntare da un momento all'altro. Poi toccherà al lodo Schifani purgato da quelle anomalie - la violazione del principio di uguaglianza e del diritto di difesa - che costrinsero la Consulta a bocciarlo. Non serve una legge costituzionale, come la Corte disse a gennaio 2004, quindi il premier può andare avanti. Ma prima i suoi processi devono fermarsi. Lega permettendo.

martedì 10 giugno 2008

un popolo di santi, poeti, navigatori e...zozzoni!


Quando si parla degli italiani non si può non affondare nelle "sabbie mobili" delle frasi fatte, degli stereotipi, delle classificazioni che fanno gli altri popoli del nostro. Chi ci vede con invidia, chi con malcelata compassione, chi con sufficienza. Ma comunque tutti hanno a che ridire sugli usi e costumi del popolo italico. Oltre ad essere universalmente conosciuti come un popolo di santi, navigatori e poeti, ultimamente ci conoscono anche e soprattutto come un popolo di zozzoni, immersi nelle immondizie partenopee estese a tutto l'italico stivale. E un arguto ed intelligente scrittore come Andrea De Carlo ci scrive su anche un ottimo articolo, pubblicato ieri su Il Sole 24Ore dal titolo "Italiani campioni di immondizia" che vi voglio riproporre. Buona lettura. Qualche settimana fa stavo attraversando una strada a Milano, teso come in un percorso di guerra per fronteggiare accelerate potenzialmente mortali di automobilisti o motociclisti insofferenti delle regole della circolazione. Al volante di una delle macchine ferme nel traffico ho visto una giovane signora soffiarsi il naso, abbassare il finestrino e, con la più grande naturalezza, buttare fuori il fazzoletto di carta e la scatola ormai vuota che l'aveva contenuto. I nostri sguardi si sono incrociati: ho mimato un applauso sarcastico. La guidatrice – vestita, pettinata e truccata con estrema cura, seduta nella sua vettura ben lucida – ha allargato le braccia, come a esprimere rammarico per un evento indipendente dalla sua volontà. Subito dopo il suo imbarazzo si è trasformato in risentimento, il gesto a due mani in un gesto a una mano sola. Le sue labbra dietro il parabrezza si sono mosse rabbiose, a pronunciare parole che potevo facilmente immaginare. Mentre continuavo il mio percorso, ripensavo al contrasto tra la cura che la guidatrice riservava al proprio aspetto personale e la trascuratezza con cui trattava la città in cui viveva. Il suo comportamento discende probabilmente dall'idea che il mondo appena fuori dalla porta di casa, o dall'abitacolo della propria automobile, sia terra di nessuno. È una concezione diffusa, da noi: basta osservare un qualunque prato o spiaggia alla fine di una giornata di festa, quando le famigliole si ritirano lasciandosi dietro fogli di giornale, sacchetti di plastica, bottiglie, tappi, mozziconi di sigaretta. Nei luoghi costruiti, come in quelli naturali, ci si libera dei rifiuti come di pensieri ingombranti e fastidiosi. Lo fanno i singoli cittadini, lo fanno le imprese private e pubbliche che riversano nel territorio migliaia di tonnellate di spazzatura e scorie inquinanti. Messe di fronte alle conseguenze dei loro atti, reagiscono come la guidatrice del mio incontro, allargando le braccia, come se la responsabilità fosse da attribuirsi a forze esterne e superiori alle loro. Si potrebbe parlare di mancanza di coscienza ambientale o civica, ma in fondo si tratta di espressioni di una maleducazione diffusa, i cui effetti, sgradevoli su scala personale, si traducono su scala più vasta in sfacelo e barbarie. È difficile stabilire una graduatoria delle forme di maleducazione in ordine di gravità, perché i comportamenti umani sono legati uno all'altro in modo inscindibile e un'espressione apparentemente innocua può rivelarsi più pericolosa di come sembra. Per esempio, è frequente vedere persone che, malgrado abbiano investito una grande quantità di tempo e attenzione nel proprio aspetto, mangiano in modo indecente: stravaccate su un gomito, a testa bassa, sollevando la forchetta con uno sciatto e incurante movimento del polso. Può sembrare una forma minore di maleducazione, fastidiosa per ragioni puramente estetiche. Ma se pensiamo che da sempre il comportamento a tavola rivela non solo il livello di educazione di chi mangia, ma addirittura le sue caratteristiche morali, capiamo che è un sintomo da non sottovalutare. Nella prima metà del secolo scorso una cornice sociale insopportabilmente vecchia e oppressiva è stata rotta per far posto alla libera espressione, e quello che è rimasto sono solo macerie. La libera espressione, invece di tendere verso l'alto – verso la meravigliosa armonia naturale – ha puntato rapidamente verso il basso: verso il gesto triviale, la mancanza di rispetto, il gergo postribolare, l'immagine truculenta, l'aggressione verbale e fisica. Alla distanza formale e alla pantomima sociale si sono sostituiti la vicinanza appiccicosa e molesta, l'avidità e l'arroganza ostentate, la mancanza di pudore, l'assenza di misura. I genitori che non correggono i modi dei propri figli a tavola arrivano, per cedimenti morali progressivi, a giustificarli anche quando si mettono a tirare sassi da un cavalcavia o – per citare episodi di cronaca italiana più recenti – a bruciare i capelli di un compagno di scuola, a travolgere persone sulle strisce pedonali e darsi alla fuga, a stuprare una compagna di scuola per poi strangolarla e buttarla in un pozzo. Interrogati da telecamere acritiche e conniventi, padri e madri dicono «In fondo sono ragazzi», e guardano nell'obbiettivo. Il fatto è che la famiglia italiana produce sempre più spesso persone con la tendenza a occuparsi esclusivamente di sé stesse e delle proprie ragioni, convinte di essere al centro dell'universo, senza alcuna curiosità né attenzione per gli altri, incapaci di ascoltare. È forse la forma ultima di maleducazione, e si accompagna all'idea che non ci sia nessun bisogno di imparare, migliorarsi, avere delle aspirazioni, coltivare delle capacità. Nella propria casa, anche il peggior somaro può sentirsi il protagonista del suo personale spettacolo per il solo fatto di esistere, con i genitori a fare da claque e da pubblico a servizio permanente, passivo e succube come un vero pubblico televisivo. Alla fine è qui che si arriva, parlando di maleducazione: alla televisione, l'unico vero diffusore di cultura che è rimasto in questo Paese. Nella sua apparente neutralità, di strumento che si limita a riprodurre il mondo come è, esercita un potere di influenzare e determinare comportamenti infinitamente maggiore di quello della scuola o della famiglia. Dietro la televisione c'è la forza implacabile di un mercato che ha bisogno di milioni di consumatori condizionati all'emulazione, privi di spirito critico e di criteri autonomi di scelta, incapaci di riconoscere per conto proprio la qualità e perfino di distinguere il giusto dallo sbagliato. Vale a dire, maleducati. Quanto agli altri educatori, alcuni hanno abdicato al loro ruolo per viltà o per pigrizia, altri assistono impotenti, altri ancora nel tentativo di lottare contro un deterioramento generalizzato finiscono per ritrovarsi fuori dal tempo. Così la televisione continua, incontrastata, nella sua opera di diffusione di informazioni frammentarie, manipolate o sbagliate, mode deteriori, ambiguità, equivoci. Assolve per astensione di giudizio, dà voce alle ragioni dei colpevoli di ogni delitto, chiede ossessivamente ai parenti delle vittime di perdonare i loro carnefici. Senza mai assumersene la responsabilità, detta il lessico, i comportamenti, i modi di vestirsi, di sistemarsi i capelli, di stabilire relazioni di amicizia o d'amore. Da tempo i riferimenti di una giovane persona "media" non sono più i divi cinematografici, e nemmeno quelli, più ordinari e accessibili, televisivi. Sono le persone normali che la televisione usa nei suoi "reality show", e che ne escono trionfanti per il solo fatto di essere rimaste abbastanza a lungo sotto l'occhio elettronico che le trasporta in ogni casa. La loro consacrazione prescinde totalmente dai loro difetti caratteriali, dalle loro carenze morali, dai loro limiti culturali, dalla loro incapacità di esprimersi e anche di pensare in modo articolato. Perché in fondo la maleducazione svolge, con efficacia e rapidità superiori, il ruolo che in un mondo civile spetta all'educazione: offre dei modelli, pronti per essere adottati.