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lunedì 17 marzo 2008

Lucia Annunziata & le paure del cavaliere


Ho letto questa mattina su La Stampa di Torino un articolo pienamente condivisibile di Lucia Annunziata sulla situazione attuale a quattro settimane dal voto e delle paure del cavaliere riguardo ai brogli elettorali. Un deja vu da illo tempore, riproposto in chiave di propaganda elettorale da chi incomincia ad avvertire la vittoria sfuggirgli tra le dita. Eccovi l'articolo dell'ex presidente della Rai. Buona lettura (e buona riflessione).

Tutto già visto

C'è un problema grandissimo», dice Silvio Berlusconi: «Quello dei brogli». Non l’aveva forse già detto? Ma sì, era solo due anni fa, e la storia ci ha perseguitato fino a quasi l’anno scorso. Già visto. E la raccomandazione ai candidati del Pdl di richiamare sempre l’ombra di Stalin? Un classico del berlusconismo: già visto. Non che dall’altra parte non ci siano domande: il Ciarra, ad esempio, quanto conta? Davvero la sua presenza nel centro destra è una tale traumatica scoperta per il centro sinistra da indignarsi fino al cielo? E che crimine è stracciare un programma, come ha fatto Berlusconi? Non sarà mica, dopotutto, la Costituzione! Insomma, già visto, già visto. Non è vero che, come molti sostengono, i grandi temi sono fuori dalla campagna elettorale. C’è lo scontro sulla natura della crisi globale, e sulla politica estera italiana, sulla ricetta per la ripresa economica, e sull’analisi del capitalismo. Alla fine, tuttavia, fatte alcune eccezioni, si ripresentano nella veste di sempre, guardati attraverso i soliti occhiali. Facciamo l’esempio più paradossale che lo scontro in corso ci offre: entrambi i maggiori partiti, e in maniera marcata quello di Veltroni che ne è stato l’inventore e l’apripista, puntano oggi a liberare la campagna elettorale dal più antico vizio della politica italiana, la partigianeria. La promessa nuova fatta a noi elettori è stata quella di una politica che si focalizza sul fare e non sull’odio, sul «per» e non sul «contro». Propositi assolutamente condivisibili, e che hanno suscitato infatti molti entusiasmi in tutti. La verità del giorno per giorno ci svela però che quando la battaglia si accende, è per tornare sui soliti cliché. Nel centro sinistra, per quanto Veltroni provi con sforzo immane a segnare la sua diversità, i cuori si sono davvero accesi sul Ciarrapico, cioè sull’antifascismo. E se fra i due schieramenti si deve parlare di identità non ci sono né ricette sulla precarietà né promesse di detassazione che contino: il filo della divisione corre piuttosto sul nome di Calearo, in un rigurgito marxista che vuole, a destra come nella estrema sinistra, che stiano «padroni con i padroni e operai con operai». In politica estera, dopo tante disquisizioni sugli «interessi nazionali», si ricasca alla fine nei soliti schemi: con gli Usa il centro destra, con gli arabi il centro sinistra. Al punto che il centro destra, pur di sottolineare il suo punto, arriva a proporre di ri-inviare soldati italiani in Iraq, mentre Washington ha solo il problema di come ritirarli. E il centro sinistra gli risponde con la solita, speranzosa, litania del «dialogo come migliore strada». Interessante invece che l’unico accordo fra i due grandi partiti, l’opposizione al boicottaggio delle olimpiadi in Cina, si sia formato senza nessuna sottolineatura. Sulle donne nelle liste elettorali, si è detto fin troppo. Ma, giovani o vecchie che siano, possiamo smetterla, a questo punto di usarle come bandierine su un balcone? Abbiamo capito che fanno tendenza, ma che la Cgil, dopo l’ampiamente sfoggiata novità Marcegaglia, senta l’urgenza di annunciare l’intenzione (ripeto: «annunciare l’intenzione») di scegliere una donna come leader in futuro, è davvero un abuso della pazienza di tutti. Tutte sempre insieme (la presentazione delle candidate è sempre plurima), tutte sempre accanto al leader, con accuse incrociate fra Pd e Pdl su segretarie e veline (non cito quanto strasentite siano le battute), alla fine questo insistito modo di usarle come il volto del rinnovamento, sta cominciando a farle sembrare più come i polli di Renzo che come le facce di una rivoluzione alla finlandese. Infine, la giustizia: la grande desaparecida della campagna elettorale è forse la più banalizzata. Se ne parla infatti solo (e quanto già visto!) per evocare lo scontro politica-giudici. Ma non lamentiamoci, potrebbe andare peggio: questa fuga della politica dalla giustizia si tramuta poi nella cosiddetta società civile, ai casi del padre di Gravina, della Knox di Perugia, o di Alberto con la bicicletta. Già visto anche questo: solo che una volta si chiamavano fotoromanzi. Niente di nuovo sotto il sole, dunque. A quattro settimane dal voto, per spiegare la propria identità, il ripiegamento sulle opinioni di sempre rispunta ancora come la vera strategia elettorale. Né questa tentazione è un dettaglio. A dispetto, o forse proprio a causa, della continua evocazione del cambiamento, le vecchie culture, le vecchie ideologie, sfidate, criticate, strappate come manifesti dal muro, continuano a tornare in scena, e vi ci si riaccomoda dentro come un buon vecchio rifugio. Per ritrovare un po’ di quella sicurezza cui il cambiamento sottrae.

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